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La festa degli innamorati esisteva già nel IV secolo, nel giorno del dio Lupercus venivano formate coppie a sorteggio per un anno di intimità e... procreazione
Il patrizio Valentino, divenuto Vescovo di Terni e martirizzato il 14 febbraio, giorno di cui si celebra la ricorrenza, è un’immagine distante dal “nostro” S. Valentino che ci rimanda immediatamente alla festa degli innamorati. Per capire la liaison che si intercala tra l’amore e un beato basta andare alla ricerca delle tante leggende che lo vedono coinvolto in romantiche storie sentimentali.
La più nota parla del pagano Sabino e della cristiana Serapia che, per superare l’ostacolo religioso, si rivolgono al Vescovo. In procinto di sposare il suo giovane, convertito per opera del santo, la fanciulla si ammala: al capezzale della morente, un Sabino disperato chiede di non essere separato da lei e Valentino, dopo il rito del battesimo e il successivo matrimonio, concede loro di addormentarsi insieme in un sonno eterno.
Un’altra leggenda narra di come lo stesso Valentino, in attesa del martirio, si innamori della figlia cieca del suo carceriere, Asterius, e come la fanciulla, per quell’amore, riacquisti la vista. Ed ancora: due giovani innamorati litigano, passando vicino al religioso. Questi coglie una rosa invitandoli a reggerla insieme, segno di unione che li porterà ad un duraturo matrimonio. Sempre legato ai fiori è il racconto che vede il Vescovo imprigionato, lontano dal suo giardino che, ogni giorno, apriva per farvi giocare i bimbi del vicinato. Sarà la mano pietosa del Signore ad aprire la gabbia di due piccioni viaggiatori, custoditi presso la casa del Santo, per permettere ai pennuti, raggiunto il prigioniero, di recuperare la chiave e poter far riaprire l’oasi verde.
Non ultima è la storia di quel fiore donato ai bambini, prima di rincasare, da donare alla mamma per alimentare l’amore verso i genitori, gesto da cui trarrebbe origine l’usanza di scambiarsi doni.
Tanti esempi per un sentimento che la Chiesa ha voluto indirizzare verso valori più spirituali in contrapposizione ai culti pagani della fertilità. Fin dal IV secolo, infatti, in occasione della festa dedicata al dio Lupercus, venivano formate, per sorteggio, giovani coppie che avrebbero vissuto in intimità, per un intero anno, con l’intento dichiarato di portare a termine la procreazione.
Persa questa cerimonia tribale, rimangono nella credenza popolare e, in particolare, in quella della nostra regione (leggi le antiche tradizioni genovesi di San Valentino), dei riti divinatori /propiziatori “pe fâ andâ e cose drïte”…
A “Calendimaggio”, ad esempio, il corteggiatore posava un ramo fiorito o decorato con dolciumi sulla soglia dell’amata: se veniva raccolto era implicito l’amore corrisposto. Oppure… qualcuno ha mai sentito parlare di “fare il verde”? I giovani innamorati, a maggio, si scambiavano una foglia da costudire con cura. Quando uno dei due chiedeva di vederla, a seconda dello stato di conservazione, si poteva dedurne l’affetto e la dedizione ma se il fedifrago (o la fedifraga) sbagliava fronda, esibendo quella ricevuta da un altro, erano, ovviamente, seri guai.
Che dire, infine, dei filtri magici per legare l’amato? Tra i tanti, le cui ricette sono reperibili ovunque, mi pare degno di menzione questo in dialetto romanesco: “Pè ffà ddiventà innamorata morta de voi una persona: procurateve un pò de piscio de stà persona, poi mettetelo drent’una piluccia, con un sordo de cchiodi e uno de spille. Mettete ‘sta piluccia sur foco, e quanno piscio, spille e cchiodi hanno bbullito bbene bbene, annate a casa de quela persona che vvolete che s’innamori de voi, e ssenza favve accorgé sversateje tutta quella pila o in cantina o in soffitta o in d’un antro sito anniscosto de la casa. Doppo pochi ggiorni, vedrete che smania d’amore che je pija!“. E’ proprio il caso di dirlo: cosa non si fa per Amore!
Adriana Morando