I Centri per l'Impiego in Italia soffrono e faticano a rispondere alle esigenze degli utenti. In Liguria un solo operatore deve occuparsi di 420 persone e nel resto dello stivale la situazione non è migliore
Mentre il premier Matteo Renzi nomina i servizi pubblici per l’impiego (SPI) nel suo “Jobs act“, ovvero il pacchetto di azioni per rilanciare l’asfittico mercato del lavoro italiano – che per molti commentatori è soltanto un libro dei sogni anche se in realtà il Governo, nel corso del Consiglio dei ministri di mercoledì scorso, ha varato un decreto legge sulle misure più urgenti e un disegno di legge delega al Governo che affronta gli altri temi del Jobs act, ma con tempi di approvazione più lunghi – due nuove indagini rispettivamente dell‘Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per l’ennesima volta, confermano le criticità endemiche dell’attuale sistema imperniato sulla rete dei centri per l’impiego (CPI) che operano a livello provinciale (qui il nostro approfondimento sui CPI della Provincia di Genova) secondo gli indirizzi dettati dalle Regioni.
Occorre «Un’agenzia unica federale per l’occupazione che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali», questa la proposta contenuta nel piano di Renzi che punta a rendere più efficiente il sistema – oggi troppo disomogeneo ed incapace di garantire i livelli essenziali di servizio sull’intero territorio – tramite la messa in rete di tutti i protagonisti. Nel frattempo qualcuno già si porta avanti, come la Regione Toscana, che sta ragionando intorno ad un’ipotesi di agenzia regionale per il lavoro. «L’idea di costituire un’agenzia regionale per il lavoro – ha spiegato Gianfranco Simoncini, assessore regionale alle Attività produttive e Lavoro (Adnkronos, 12 marzo 2014) – rappresenta una soluzione organizzativa, sia in vista della revisione della governance dei servizi per l’impiego, a livello nazionale, sia per superare le differenze nella gestione dei servizi che esistono a livello territoriale, sia infine in vista di una diversa attribuzione delle competenze delle Province».
Secondo Romano Benini, esperto di servizi per l’impiego e consulente del Ministero «Il sistema dei servizi per l’impiego, costituito dai 576 centri provinciali, da numerosi sportelli e da altri servizi costituiti in ambito provinciale, che in tutta Europa costituisce una scelta di fondo come presidio pubblico necessario delle politiche del lavoro, in Italia appare del tutto inadeguato, per le risorse investite ed il personale impegnato, rispetto alla forte domanda sociale. L’attivazione del programma Garanzia giovani (attraverso il quale in Italia arriveranno 1,4 miliardi di fondi per far ripartire l’occupazione) e della strategia di rafforzamento dei SPI prevista dall’Agenda 2014-2020 tra le priorità dei fondi europei rende urgente una scelta sul rafforzamento del sistema dei CPI che sia in grado di appoggiare su una precisa identificazione di competenze e di responsabilità».
In questo quadro si inserisce il recente studio Isfol “Lo stato dei servizi pubblici per l’impiego in Europa: tendenze conferme e sorprese”, curato da Francesca Bergamante e Manuel Marocco, che affronta il tema partendo da tre elementi indicativi quali costi, organizzazione e risultati.
Ebbene, in controtendenza rispetto alla maggior parte dei paesi europei «La crisi economica, in Italia, si sta traducendo in un depotenziamento del servizio pubblico – spiegano i due ricercatori – Ma invece che soffermarsi sulla contrapposizione tra pubblico (CPI) e privato (cioè le agenzie private per il lavoro, ndr) occorrerebbe puntare l’attenzione sul perché si continui a ricorrere alla mediazione informale piuttosto che a quella professionale, pubblica o privata che sia». Lo studio evidenzia che «L’Italia ha bisogno di potenziare il sistema – sottolineano Bergamante e Marocco – aumentando il numero degli operatori, adeguando qualità e quantità dei servizi offerti, attuando la normativa relativa all’accreditamento dei soggetti privati, impegnando maggiori risorse pubbliche con un monitoraggio da parte dell’amministrazione centrale, per valutarne i risultati e per coglierne i punti di difficoltà».
Il primo Rapporto sul “Monitoraggio dei servizi per l’impiego”, curato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “Nasce dall’esigenza di conoscere in dettaglio l’organizzazione e le risorse umane disponibili nei servizi per l’impiego, nonché gli utenti degli stessi – si legge nella presentazione – al fine di disegnare strategie di intervento finalizzate a rendere più efficiente il funzionamento degli SPI e ad assicurare standard comuni nella fornitura di servizi agli utenti”.
Vediamo nel dettaglio i numeri che emergono dalla ricerca Isfol. Per quanto riguarda le risorse finanziarie l’Italia dedica ai centri per l’impiego (CPI) lo 0,03% del Pil, contro una media Ue dello 0,25%. Ciò si traduce in un investimento di circa 500 milioni di euro, pari quasi alla metà di quanto spende la Spagna e ben distante dagli 8 miliardi e 872 milioni della Germania o dai 5 miliardi e 47 milioni della Francia.
Inoltre, tra il 2008 e il 2011, i principali paesi dell’area euro hanno reagito alla crisi finanziando ulteriormente i servizi pubblici per l’impiego, agendo sulla spesa e sugli addetti; l’Italia, al contrario in termini assoluti ha investito quasi 200 milioni di euro in meno rispetto al 2008. Un quadro analogo è quello relativo agli operatori che nel nostro Paese non arrivano a 9.000 contro gli 11.000 della Spagna, i 115.000 della Germania e i 49.000 della Francia.
“Francia e Germania hanno anche incrementato il numero di operatori dei Spi rispettivamente di 22 e di 18 mila unità, il Regno Unito di oltre 11 mila – spiegano i ricercatori dell’Isfol – L’Italia, invece, si distingue per una riduzione di circa 1500 operatori, dagli oltre 10 mila del 2008 agli attuali 8575 (dato del 2011, ndr)”.
In Italia il 33,7% dei disoccupati contatta un Cpi e solo il 19,6% si rivolge alle Agenzie private per il lavoro (Apl). L’80% mostra comunque una maggiore fiducia nella capacità di intermediazione delle reti informali e il 66,6% nella diretta richiesta di lavoro alle imprese.
Nel 2011 la quota di persone collocate dalle Apl in Europa è pari all’1,8% di tutti gli occupati dipendenti che hanno trovato lavoro nell’anno di riferimento. I dati per singoli paesi variano da un minimo di 0,3% della Grecia al massimo del 2,9% per l’Olanda. L’Italia si attesta sullo 0,6%. Dalla ricerca Isfol, dunque, emerge chiaramente una maggiore capacità di collocazione dei CPI. “Nel 2011, infatti, la media Ue a 15 raggiunge il 9,4%, con punte del 10,5% per la Germania e 13,2% per la Svezia – si legge nello studio – In Italia gli intermediati sono il 3,1% del totale dei dipendenti occupati nell’anno, valore cinque volte più elevato di quello delle Apl”.
Infine viene sfatata l’idea che i CPI costino troppo allo Stato: “In realtà non è così: in Italia la spesa media per il collocamento di una persona è pari a 8.673 euro, rispetto ai 51.100 euro dell’Olanda, i 44.202 euro della Danimarca, i 21.593 euro della Francia e i 15.833 euro della Germania”.
L’attività di monitoraggio del Ministero – svoltasi nel corso del 2013 – consente di analizzare i dati disponibili più recenti, cioè quelli relativi al 2012. Il corposo documento (92 pagine) fornisce diversi spunti di riflessione in generale sulla situazione italiana ed in particolare sulle singole realtà regionali.
Partiamo dagli utenti dei servizi pubblici per l’impiego. In Italia nel 2012 gli individui che hanno effettuato la DID (Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro rilasciata al servizio competente: CPI e altro organismo accreditato in conformità alle norme regionali e delle province autonome) sono stati oltre 2 milioni e 215 mila. Nello specifico per la Liguria parliamo di circa 79 mila persone.
Tuttavia, per comprendere con maggior dettaglio la pressione esercitata dalla platea dei cittadini richiedenti servizi, è possibile calcolare il numero medio di coloro che hanno effettuato la DID nell’anno 2012 per singolo CPI a livello regionale. In Italia si stimano mediamente poco più di 3.900 individui sottoscrittori di DID per singolo CPI. Si collocano al di sopra di tale valore medio buona parte delle regioni del Mezzogiorno, ma non solo. “Il sistema regionale di servizi per l’impiego che presenta il dato stimato più elevato è quello delle Marche con 7.745 individui per CPI, cui segue quello della Puglia (5.816) e della Liguria (5.679) – spiega l’indagine del Ministero – Più contenuto il numero medio di individui per CPI della Valle d’Aosta (1.708), della Provincia Autonoma di Trento (2.012) e della Toscana (2.354)”.
In merito alla dotazione di personale dei centri per l’impiego – 556 CPI sparsi su tutto il territorio – l’Italia può contare su 8713 operatori (7686 con contratto a tempo indeterminato) di cui 6255 impegnati in attività di front office. In Liguria nei 14 CPI provinciali lavorano 189 operatori (154 a tempo indeterminato) di cui 131 in front office e 58 in back office.
“Disaggregando i dati rilevati per le due macro-funzioni di back office e front office, la quota di operatori dedicata al rapporto con il pubblico, in mancanza di informazioni aggiuntive, può indicare, seppur indirettamente, il livello di burocratizzazione del sistema CPI, dato che le attività di accoglienza, screening del cittadino ed erogazione dei servizi costituiscono alcuni dei compiti centrali che il centro pubblico deve assolvere – sottolinea l’indagine ministeriale – Se a livello nazionale circa 7 operatori su 10 sono dedicati proprio alle attività di front office (6.255 individui), in tre delle più grandi regioni meridionali l’incidenza sul totale del personale impiegato è molto più contenuta: si tratta di Sicilia (49,4%), Calabria (62,5%) e Campania (66,2%). Ma anche altri sistemi regionali si collocano al di sotto del valore dell’Italia: è questo il caso di Marche (67,2%), Valle d’Aosta (68,8%), Liguria (69,3%)”.
Con riferimento, invece, al rapporto esistente tra personale impiegato e soggetti presi in carico, il numero medio di individui che hanno effettuato la DID per operatore – indice del carico esercitato su ciascuna struttura dalla platea dei cittadini richiedenti servizi – è particolarmente elevato in Lombardia (516 soggetti che hanno effettuato la DID per operatore), Puglia (451), Liguria (421), Provincia Autonoma di Bolzano (416), mentre appare esiguo in Sicilia (103), Molise (138) e Calabria (151).
«Lo Stato italiano deve recuperare anni di ritardo e di disattenzione rispetto al posizionamento ed alla qualità dei servizi pubblici per il lavoro – spiega Romano Benini su “Work Magazine”, testata specializzata da lui diretta – Attualmente manca quasi tutto: sistemi informativi nazionali per le politiche attive e le richieste delle imprese, standard dei servizi condivisi ed esigibili, programmi nazionali finanziati ed efficaci di politiche attive». Per questo motivo, secondo l’esperto, oggi appare del tutto improbabile che lo Stato ed il Ministero del Lavoro possano passare direttamente dall’attuale funzione e capacità del tutto marginale di intervento sul mercato del lavoro alla gestione di tutti i soggetti pubblici che intervengono sullo stesso, in primo luogo i centri per l’impiego. Peraltro, sottolinea Benini «La scelta di un’agenzia nazionale di erogazione dei servizi per l’impiego, presente in molti paesi europei, comporterebbe una rivoluzione totale del quadro delle competenze e funzioni del Titolo V della Costituzione, quindi non è percorribile nel breve periodo. Inoltre va ricordato che, a differenza delle politiche passive erogate dall’INPS, le politiche attive richiedono servizi che rispondano al territorio, alle sue differenze e potenzialità, e che riconoscano le diversità delle persone e delle imprese. In ogni caso l’eventualità di una agenzia nazionale di riferimento che promuova, coordini, verifichi, valuti ed affianchi i territori, è un’ipotesi utile, ma che non può eliminare del tutto le responsabilità dirette dell’ente territoriale più prossimo all’erogazione del servizio».
Allo stesso modo pure l’ipotesi di costituire delle agenzie regionali è considerata rischiosa «Sono diversi i possibili sprechi e i disservizi che si avrebbero dall’attribuzione alle Regioni dei centri per l’impiego – sottolinea Benini – Le Regioni hanno avuto dal Titolo V l’attribuzione delle competenze sul lavoro e sulla formazione e la relativa programmazione. Attribuire alle Regioni anche la gestione diretta dei centri per l’impiego determinerebbe un sovraccarico di funzioni e responsabilità poco giustificabile per un ente che riesce con fatica a svolgere ovunque, e con la stessa qualità, i compiti attuali».
«Di formule se ne possono trovare tante ma è evidente che senza investimenti non si risolverà nulla – aggiunge Michele Scarrone, direttore della Direzione Politiche formative e del Lavoro della Provincia di Genova – La Germania, con un mercato del lavoro molto più vivo del nostro, ha investito almeno 6 volte di più rispetto all’Italia, questo la dice lunga». Secondo Scarrone «Nel nostro Paese a livello regionale ci sono le esperienze più disparate: qualcuno ha fatto del suo meglio, ottenendo anche discreti risultati, altri invece no. Così si è generato un problema di disomogeneità dei livelli essenziali di servizio che è necessario affrontare al più presto».
Relativamente all’indagine del Ministero del Lavoro, in particolare sul numero medio di utenti (421 soggetti in Liguria) per operatore, il direttore Scarrone commenta «Questo è il nodo fondamentale da sciogliere. I CPI svolgono dei servizi pubblici rivolti alla persona quindi devono essere particolarmente attenti alle esigenze di ogni singolo utente, sennò in caso contrario perdono completamente le loro potenzialità. È evidente che un solo operatore non può occuparsi di oltre 400 persone, questa è una sfida impossibile. D’altra parte le statistiche evidenziano come le agenzie private per il lavoro non ottengano risultati migliori rispetto ai CPI (anzi in Italia la quota di persone collocate dalle Apl si attesta appena sullo 0,6%, ndr). Dunque bisogna intervenire sui servizi pubblici potenziandone numericamente il personale, quantomeno attraverso degli spostamenti di lavoratori interni agli enti. Se l’ipotesi di agenzia unica si cala in tale contesto di sistema potrebbe essere una cosa positiva. Non vorrei invece assistere alla creazione dell’ennesimo carrozzone statale, costoso e magari poco utile. Ci sono buone esperienze in Italia ed ottime esperienze in Europa: studiamole e cerchiamo di imitarle».
Matteo Quadrone