Prosegue il nostro viaggio alla scoperta delle molteplici modalità per aiutare bambini in difficoltà a crescere e creare nuove famiglie. Non è una vera adozione ma il sostegno a distanza è uno strumento molto utilizzato per la sua semplicità e perché “si può vedere dove vanno a finire i propri soldi”
Non è solo una questione di termini. Quelle che per semplificazione sono conosciute come “adozioni a distanza” in realtà adozioni vere e proprie non sono. Certo, l’obiettivo è sempre aiutare uno o più bambini in difficoltà ma, in questo caso, a differenza di quanto abbiamo visto finora nel nostro speciale dedicato alle adozioni e agli affidi, cambiano decisamente i contesti e le procedure che rendono questa modalità di aiuto sociale molto più semplice e alla portata di tutti.
Partiamo proprio dalle parole: il termine più adatto, come vedremo, è “sostegno a distanza”. Di questo, nei fatti, si tratta: sostenere economicamente il progetto di una comunità e dei suoi bambini, direttamente nel paese in cui vivono. L’uso del termine adozione è entrato nel linguaggio comune perché più facile da comprendere e più empatico. Un termine che “funziona” bene per far sentire i donatori più vicini ai destinatari del loro contributo. I progetti possono essere di diverso tipo: l’aiuto per garantire un ciclo scolastico, vaccinazioni o pasti. A svolgere un ruolo cruciale in questo contesto, sono le molte associazioni che si comportano sostanzialmente da intermediari: seguono dall’Italia i progetti, gestiscono le elargizioni economiche e affiancando direttamente le comunità in loco. Ed è proprio qui la chiave di tutto: benché il legame che finisce per instaurarsi tra chi sostiene un progetto e il bambino che ne beneficia sia molto simile a quello che si può facilmente sintetizzare con il concetto di “adozione a distanza”, nella forma è molto più corretto parlare di sostegno perché ad essere sostenuto concretamente non è un singolo bambino ma, appunto, un progetto.
Sottigliezze formali a parti, abbiamo cercato di entrare più dentro a questo sistema, parlando con associazioni e realtà, più o meno conosciute, che si occupano da tempo di “sostegno a distanza” a a partire da Genova. Dalla nostra città, ad esempio, è partita l’avventura di CCS Italia che opera su tutto il territorio italiano; poi c’è AfricaOn che opera dall’Italia ma che in realtà ha sostenitori in tutto il mondo, non solo in Liguria. Da segnalare anche che, purtroppo, anche in questo caso, soprattutto fra le associazioni più piccole, ci sono state realtà costrette a cedere il passo perché basate sull’impegno dei volontari che non sempre riescono a dare continuità ai progetti.
Tra il grande numero di realtà a ispirazione cattolica e associazioni prettamente “laiche” che si occupano del sostegno a distanza, non è facile riuscire ad avere un numero complessivo di quanti genovesi e liguri si rendano ogni anno disponibili a questo tipo di aiuto né per quale somma.
Tuttavia, per avere un’idea di quanto possa essere incisivo il fenomeno di cui stiamo parlando, ci possono venire incontro le cifre di Save the children: i sostegni liguri sono circa il 3% del totale nazionale e ammontano a circa 1650, di cui solo 880 nella provincia di Genova. Il dato, va precisato, si riferisce ai sostegni avviati e in corso prima del 2015; nell’ultimo anno, invece, si sono aggiunti 310 sostenitori liguri, di cui 160 genovesi.
Al di là dei numeri, comunque, il sostegno a distanza è una formula di aiuto destinata ad avere sempre un discreto successo. Vista la specifica programmazione dei progetti, coordinati spesso in remoto dall’Italia, l’obiettivo spesso viene portato a fondo anche se non tutti i bambini che aderiscono al progetto riescono ad avere un sostenitore specifico, ovvero un genitore a distanza.
Sia le piccole associazioni, sia le maggiormente strutturate, infatti, confermano che il periodo di crisi economica ancora in atto non sembra aver influenzato in maniera eccessiva il settore: sicuramente il contesto attuale porta ad una maggior riflessione dei privati alla base di un impegno del genere ma si può affermare che “l’adozione a distanza” venga apprezzata stabilmente negli anni. Se, infatti, dal lato di chi lo riceve, l’aiuto economico è più visto in funzione globale dell’utilità del progetto complessivo, dal lato dell’erogatore risulta più facile avvicinarsi a questo tipo di sostengo che non a quello di un progetto generico perché, nei fatti, si sente come un “genitore a distanza” potendo creare progressivamente un rapporto personale e diretto con il destinatario del finanziamento, ricevendo informazioni, disegni e fotografie del bambino assistito.
Si può concludere, quindi, che il sostegno a distanza funziona anche perché direttamente si può vedere con occhi e toccare con mano dove vanno a finire i propri soldi, a fronte di un impegno economico che in media è di circa 70/80 centesimi al giorno.
Altro aspetto che aiuta non poco la durata nel tempo di questo aiuto sociale è il fatto che le associazioni che curano la regia dei sostegni a distanza non devono sottostare ad alcun particolare obbligo di legge. Grandi o piccole che siano, nella stragrande maggioranza dei casi si danno un’autoregolamentazione, scegliendo di aderire, ad esempio, alle linee guida dell’Agenzia per le onlus (benché la stessa non esista più, ndr) per la redazione del bilancio o iscrivendosi al registro nazionale delle onlus o, ancora, aderendo a network di associazioni che hanno uno scopo comune. Ecco, dunque, perché risulta pressoché impossibile tracciare un bilancio complessivo accurato ed esaustivo di questo settore in virtù dell’elevata diversificazione dei progetti, delle modalità di intervento e dei contesti geopolitici in cui si inseriscono.
Claudia Dani