La crisi in Europa è economica ma soprattutto politica, la strategia tedesca è la linea imposta, ma non è detto che sia quella giusta. Cercasi alleanza "anti-tedesca"
Cosa diavolo sta succedendo in Europa? Perché Monti riparte sempre per andare a confabulare con Merkel, Sarkozy e compagnia cantante? Cosa dobbiamo aspettarci e cosa dobbiamo sperare?
La questione è complessa: eppure non è impossibile anche per l’uomo della strada capire le motivazioni di questa crisi del debito e gli scenari su cui si sta lavorando. Ho già detto che passa tutto da “casa nostra”: il futuro dell’euro, i destini della nostra economia, fino alle sorti della politica italiana. Proviamo quindi, una volta per tutte, ad andare al fondo del problema, in un modo che sia il più possibile comprensibile da tutti.
Partiamo da un’ovvietà: gli Stati hanno bisogno di soldi. Per avere liquidità per le loro spese e i loro debiti essi vendono sul mercato titoli come i nostri BOT e BTP: si tratta di obbligazioni che scadono ad una data precisa e garantiscono un rendimento fissato al momento dell’acquisto. Ad esempio, investendo oggi 100, posso comprarmi un prodotto finanziario che – poniamo – mi renderà 101 tra 3 anni: ed è garantito direttamente dallo Stato che li emette. E’ un buon investimento: il rendimento è basso, ma sicuro. A meno che – ovvio – lo Stato in questione non fallisca. In condizioni normali è un’ipotesi remotissima, ma se le prospettive di questo Stato peggiorano seriamente (per vari motivi come una recessione economica o una grande instabilità politica) comincia ad insinuarsi il dubbio che i debiti possano non essere ripagati. Quindi gli investitori, per prendersi il rischio di prestare denaro a questo Stato, chiedono un margine di guadagno sempre più ampio. Non si accontentano più di mettere 100 per avere un domani 101 o 102, ma chiedono di poter guadagnare 104, 105, 106 o anche di più: altrimenti non sottoscrivono il debito. Tuttavia la ricchezza di uno Stato è limitata. Se contrae troppi debiti, finirà per non avere più i soldi per ripagarli. In altre parole, è la bancarotta (vedi crac finanziario dell’Islanda).
E il tutto aveva avuto origine essenzialmente da un dubbio: una sensazione di sfiducia sulla solvibilità del paese che si era diffusa tra gli investitori riducendo il credito. A prescindere da quanto fosse sensata e ragionevole questa sfiducia o da come si sia generata e diffusa (un argomento troppo vasto e spinoso per affrontarlo qui), resta il fatto che il nostro problema oggi è proprio questo: c’è sfiducia verso certi paesi della zona euro, come l’Italia, che hanno un’economia in recessione e conti pubblici in disordine.
Per questo lo soluzione è apparsa a molti obbligata: mettere a posto i bilanci pubblici. La Germania, che ha buoni conti e una crescita viva, ci dice: mettete in sicurezza i vostri conti e la crisi passerà. Peccato che con questa politica dopo quattro anni la Grecia si sia avvicinata ancora di più al fallimento. Perché? Lo abbiamo visto con la manovra di Monti. Se per mettere a posto i conti, si prendono i soldi dai cittadini tassando o riducendo i servizi, i cittadini avranno meno possibilità di spendere: i consumi si contrarranno e la crescita calerà. Ciò significa che lo Stato avrà minori entrate e dovrà aumentare di nuovo le tasse, e così via. E’ la spirale recessiva in cui ci troviamo.
Le politiche di rigore sono giuste, ma vanno fatte con criterio e con l’occhio sempre rivolto allo sviluppo e alla crescita (e infatti il governo in questi giorni sta lavorando proprio su questo). Ma c’è un’altra strada praticabile. A ben vedere, se il problema è quello di pagare i creditori, si tratta allora, fondamentalmente, di un problema di liquidità. Ma gli Stati non dovrebbero avere problemi a trovare denaro: in fin dei conti, si tratta solo di un pezzo di carta. Basta stamparne ancora. Certo, aumentando la massa monetaria in circolazione, il valore della moneta scenderà (è una regola elementare: quando una cosa si trova facilmente, il suo valore scende). Se l’euro si svaluta, chi possiede dollari e vuole comprare in Europa, sarà favorito: quindi migliorerebbero le nostre esportazioni, e viceversa peggiorerebbero le importazioni, con conseguente aumento dei prezzi dei beni importati. Ma il punto è che nessuno potrebbe più scommettere sulla nostra incapacità di trovare il denaro per ripagare i debiti, dato che potremmo stamparne (in linea di principio) quanto ne vogliamo!
La speculazione internazionale subirebbe un arresto, i rendimenti dei titoli calerebbero e lo Stato non dovrebbe più preoccuparsi di aumentare le tasse e tagliare i servizi ai cittadini per pagare i suoi debiti. A quel punto si tapperebbe la falla, finirebbe l’emergenza e si potrebbe ricominciare a riformare l’apparato produttivo del paese per avere nuova crescita e ridurre le tasse. Non è proprio così facile: ma è un’ipotesi praticabile e vantaggiosa. D’altra parte è quello che abbiamo sempre fatto quando avevamo la lira. Dunque, perché non farlo di nuovo? Perché c’è l’euro che è regolato dalla Banca Centrale Europea.
E la Germania, che è il motore economico e la testa della governance europea, non lo permette. Non vuole nemmeno gli Eurobond, cioè quei titoli di Stato europei emessi dalla BCE che Tremonti vedeva come un altro possibile rimedio agli attacchi speculativi. Anzi, la Germania ha chiesto e ottenuto un regolamento europeo che impone vincoli rigorosi di rientro dal debito e sanzioni per chi sfora. Perché si ostina su questa linea? Per vari motivi. Il primo è che noi siamo in crisi piena, mentre i tedeschi stanno sostanzialmente bene: quindi non solo sono contenti di avere un euro forte, ma non percepiscono l’urgenza nella maniera drammatica in cui la percepiamo noi. Il secondo motivo discende dal primo: se in Germania le cose vanno tutto sommato bene, significa che la Germania, forse, può fare a meno dell’Europa. Cioè, c’è un largo fronte di euro-scettici tedeschi, che di fronte alla prospettiva della fine dell’euro non si strapperebbe i capelli. In fin dei conti Greci e Italiani sono in crisi perché corrotti, evasori e spendaccioni: perché darsi da fare per salvarli? Il terzo motivo è che i tedeschi sanno bene cosa succede quando una moneta si deprezza. Tra il ’29 e il ’33, vale a dire tra il crollo di Wall Street e l’ascesa di Hitler, nella Germania di Weimer si andava a fare la spesa con carriole di banconote, perché il marco era stato deprezzato al punto tale da valere quasi zero. Ecco perché non è difficile capire come mai la Merkel non ci venga incontro: ammesso che capisca la gravità della situazione, non saprebbe come farla digerire al suo elettorato. Questo però aumenta la sfiducia degli investitori.
La zona euro è caratterizzata da una moneta forte, una banca centrale con poteri limitati e un’economia a due velocità: un nord con bilanci tradizionalmente rigorosi e un sud che ha sempre basato la sua sopravvivenza sulla svalutazione monetaria. Questa contraddizione oggi è alla base della speculazione: si scommette sul fatto che il sud in tempi di crisi non è in grado di andare avanti senza svalutare e che il nord non glielo permetterà. E più il tempo passa senza che la Germania ceda, più questa scommessa si alimenta e rischia di avverarsi.
Tutto molto interessante – direte –, ma perché si parla di queste cose in una rubrica politica? Perché questa è politica. Oggi l’obiettivo politico in Europa è costringere la Merkel ad un cambio di rotta. Monti su questo versante deve ottenere assolutamente qualcosa: o che si trasformi la BCE in prestatore di ultima istanza, o qualche atra misura tipo Eurobond, oppure, alla mal parata, che si allentino almeno quei vincoli di bilancio europei che ora minacciano di strozzare nella culla la nostra ripresa economica.
Per questo, dopo la manovra, (e veniamo alla domanda in apertura di articolo) si è messo a girare per l’Europa: deve trovare degli alleati con cui controbilanciare lo strapotere tedesco. Chi? La Francia innanzitutto, nobile decaduto; e poi l’Inghilterra, che per difendere gli speculatori della City rischia di rimanere tagliata fuori. Parallelamente il professore mette in discussione il ruolo-guida della Germania, accusandola esplicitamente di aver peggiorato la crisi greca e di sbagliare strategia. Una bella bastonata, a cui alterna la carota: in visita a Berlino, aveva recitato la parte del “genero ideale”, dicendo di amare la Germania, di sentirsi tedesco dentro e tante altre belle cose. Insomma una vera strategia politica. Ma funzionerà? Solo il tempo ci dirà – come avevo scritto mesi fa – se Monti si rivelerà essere quello di cui davvero abbiamo bisogno: non tanto un bravo tecnico, ma un bravo politico.
di Andrea Giannini