Il corso del torrente Bisagno racconta le storie di contadini e lavandaie, i laboratori tessili al Giro del Fullo e le tragiche piene
Scende dalle pendici meridionali del monte Spina, a quota 600m, tra le valli di Fontanabuona e del Lentro, a sinistra, e tra quelle dello Scrivia e della Val Polcevera, a destra. Il Bisagno, antico Feritore, porta un nome dall’origine incerta. Secondo G.Poggi (1856-1919) potrebbe nascere da” pisa” per estrapolazione da “piselli” che crescevano con altri ortaggi sulle sue rive, quando la zona era, ancora, aperta campagna. Da pisa, dunque, sarebbe derivato Pisagno ed infine Bisagno. Pare più congruente, però, la sua etimologia da “bis amnis” (due fiumi) ricordando che, all’origine, il torrente è formato da due confluenti: il fossato di Bargagli e quello di Viganego.
Scendendo dal passo della Scoffera, il Bisagno si snoda per l’omonima valle, lungo un percorso di circa 26 Km, ricevendo l’acqua di molti ruscelli minori come il Consasca, il rio Torbido, il Geirato, il Veilino, il Fereggiano. Nel suo primo tratto, fino alla Presa, alcuni lo chiamano “Bargaglino” perché attraversa il territorio, segnando un confine naturale fra il comune di Bargagli e quello di Davagna.
Nei secoli la sua valle è stata sede di operosi mulini, di alacri fornaci e, presso il Giro del Fullo, brulicava di attrezzature per la “follatura” della lana, macchine che battevano i panni per rassodarli ed infeltrirli.
La riva destra era contrassegnata da una fiorente coltivazione agricola da cui origina il termine “bisagnini”, riservata ai commercianti ortofrutticoli. Un’altra intensa attività era quella delle lavandaie, lavoro molto pericoloso perché le esponeva al contagio di malattie epidemiche, quali il colera, che era considerata una vera malattia professionale. Quando qualcuno moriva, si diceva ”è andato a sentir cantare le lavandaie” usando questo eufemismo per intendere che il poveretto aveva “raggiunto” il vicino cimitero di Staglieno.
La presenza di ampi spazi verdi e di boschi favoriva la villeggiatura o si prestava a sede atta a svolgere fiere in cui non mancavano tavoli imbanditi a salame, fave e vino bianco. Si sono consumati nel suo letto i falò che, numerosi, ardevano in occasione della festa di s. Giovanni o quelli meno gai in cui si distruggevano libri ritenuti insani come il settecentesco “Compendio della Storia di Genova”, dell’abate Accinelli. Tragedie ben più gravi sono quelle legate alle sue repentine e rovinose piene come quella storica del 1278, del 1822 che demolì il ponte di santa Zita, degli anni ‘ 70, ’90 o quelle dolorose del novembre 2011. Anche questo è il Bisagno.
Adriana Morando