Il trenino di Casella venne progettato in epoca fascista. La locomotiva è la più antica motrice elettrica tuttora in attività in Italia
Un vecchio ritaglio di giornale, dimenticato tra le pagine di un libro polveroso, un’immagine di una scolaresca in gita e, in sottofondo, lui, il trenino di Casella, protagonista di questa “storia”, immutato nel tempo, a parte quel colore rosso sgargiante che originariamente corrispondeva ad un bicolore blu-panna a cui si è tornati dopo il recente restauro.
Costruita in epoca fascista, la ferrovia Genova-Manin, sotto lo sguardo imponente del Castello di Mackenzie, si arrampica, per 25Km, tra colline alle spalle della città, su, fino a Casella, coprendo un dislivello che parte dai 93 metri della partenza fino ai 405 metri dell’arrivo, con una punta massima nei 458 metri di Canova/Crocetta.
Questa linea è servita da un trenino che ricorda quello del bambini, composto da un locomotore, qualche vagone e una carrozza bar, stile “belle époque”, prenotabile per eventi particolari come feste, gite collettive e spettacoli. La capienza massima è di 129 persone che potranno trovare posto su sedili, tutt’altro che ergonomici, in solido legno, per un viaggio fuoriporta che lambisce la Valbisagno, la Valpolcevera e la Valle Scrivia.
Le tre carrozze originali, portanti ancora inciso il monogramma dell’antico marchio delle officine Carminati & Toselli, in cui furono assemblate con componentistica elettrica CEMSA, TIBB di Vado Ligure, risalgono al 1929 e sono caratterizzate da un arredamento ligneo con rifiniture in bronzo ed ottone. La motrice, la più antica locomotiva elettrica in attività, tuttora, in Italia, fu costruita nel 1924 e mostra orgogliosa il suo vecchio tachigrafo, arrotolato e appeso ad uno dei carrelli. Completa il convoglio la carrozza bar, costruita dalla ditta Brema (1929) che riserva ai passeggeri un’atmosfera “retrò” in stile Oriente-Express, sfoggiando un tetto rivestito in tela olona, romantiche abatjours dalla luce soffusa, un’antesignana macchina da caffè ed un erogatore per la birra di datata memoria, costituito da una colonna in ceramica ed ottone.
Il trenino, nato per essere impiegato nel tratto Spoleto-Norcia (Umbria), dopo 30 anni di onesto lavoro, subì un primo restyling delle parti esterne che gli conferì il look attuale ma, fu solo nel 1971, che, ritornato in Liguria, modificato lo scartamento da 950 a 1000mm (allargamento delle assi per adattarlo alla larghezza dei binari), potenziato l’impianto frenante, prese servizio sull’attuale tratta.
L’impiego usuale, infatti, è risalire o scendere dall’Appennino ligure per trasportare lavoratori e studenti che preferiscono evitare le tortuose curve delle strade statali e nel contempo godere di attimi di puro relax, lontani dal traffico che si intravvede, a scorci, scorrere lontano.
Qui il tempo sembra essersi fermato: si rivede il vecchio controllore che oblitera il biglietto, forandolo con una stellina, simbolo evidente di un attento controllo, ci si dimentica del riscaldamento, retaggio di tempi troppo moderni e lungo le tredici gallerie, che variano in lunghezza dai 30 ai 150 metri, si rischia di passare dalla luce abbagliante del sole al buio più completo, se il solerte bigliettaio si scorda di attivare l’impianto elettrico che, naturalmente, è rigorosamente manuale.
Durante il viaggio si è “cullati” da un rumoroso sferragliare, passando su tratti a precipizio che offrono paesaggi “mozzafiato” sia per lo sguardo che può perdersi all’orizzonte sia per il timore da cui si è assaliti quando, nell’affrontare una curva in modo alquanto brusco, si viene letteralmente “shakerati” e si ha la sensazione di rotolare lungo l’erta scarpata.
Nonostante ciò, è un’esperienza imperdibile: un percorso che inizia salendo a mezza costa, tra arbusti e ginestre, sulla destra del Bisagno, lungo l’antico acquedotto medievale, da dove si può scorgere, ad est, l’azzurro lontano del mare dalle cui acque emerge, prepotente, il promontorio di Portofino e continua verso i monti dove incombono le minacciose roccaforti dello Sperone, del Puin e del Diamante. Raggiunta la galleria di Trensasco, lasciato con rapido sguardo il Santuario della Madonna della Guardia, il tragitto si snoda per lunghi tratti, tra pareti verdi di robinie, interrotte da muri a secco e sentieri boschivi, salendo con ampie curve, come una reale ferrovia di montagna, fino alla stazione di Sardorella , dove un edificio di tipo rurale e un pergolato ombroso offrono tavolini e giochi per una serena giornata all’aperto.
Chi si prefigge di raggiungere S. Olcese, nella stagione opportuna, potrà cogliere l’occasione per improvvisarsi cercatore di funghi o raccoglitore di castagne ma, sicuramente, non potrà esimersi dal peccato di gola rappresentato dal celebre salame, da accompagnare alle fave e a una buona compagnia.
Per chi è naturalista, poi, è d’obbligo un’escursione lungo i 665 metri del Sentiero Botanico, in cui si possono ammirare più di 30 specie diverse tra le piante appartenenti alla flora ligure e che offrirà, anche, l’opportunità di raggiungere un rifugio attrezzato con 14 posti letto o ammirare il piccolo borgo medievale di Ciaè.
Per i pigri la fermata ideale è Crocetta d’Orero: per raggiungere i prati non sono necessari più di cento metri! Ed , infine, per chi si annovera tra buongustai, tutte le fermate sono buone; basta farsi consigliare dagli pendolari “habitués” e vi sapranno indicare una delle tante trattorie che si trovano lungo il tragitto dove, con una spesa relativa si potranno gustare autentici piatti tradizionali.
Adriana Morando
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