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In scena sabato al teatro della Maddalena, i ragazzi di Acqui hanno eseguito i brani della loro "epopea". Il racconto di una bella serata di musica in compagnia di una delle band più interessanti della scena indipendente italiana
Acqui Terme, 2000. Nascono gli House of Joy, attorno alla voce di Alessio Mazzei, la chitarra di Giovanni Facelli e le tastiere di Joy Pistarino; 2003, la formazione rinnovata cambia nome, con l’omaggio a Paul Klee: 17perso. Si iniziano a intuire le inclinazioni del progetto, e le prospettive sono promettenti. Nel 2011 le promesse vengono mantenute. L’ingresso di Valerio Gaglione alla seconda chitarra, Manuel Concilio alla batteria, Denis Martino al basso e Federica Addari alla voce e synth, definisce l’organico del nuovo gruppo: i Tomakin.
Con un altro riferimento impegnativo, questa volta Aldous Huxley, il Mondo Nuovo (Thomas Tomakin, direttore del centro di incubazione e di condizionamento di Londra Centrale), il genere approda a una «new wave, che è la grande influenza musicale del gruppo, fermamente indipendente, esigenza intellettuale imprescindibile», come ci racconta Alessio.
“Geografia di un momento“, esordio discografico, ripercorre i passi compiuti in quasi una decade di musica, riproponendo i brani più importanti, come “Quando sogno” e “Joasia“; ma è con “Epopea di uno qualunque” che si è di fronte alla prima vera fatica discografica, un concept strutturato in una rassegna (spesso autobiografica) dell’antieroismo genuino della vita. Per questo “oggi non è un problema, domani non è un teorema pensare a un vivere eccezionale” (Quasi mai delusi): l’epopea di una quotidianità noiosa disillusa, ma non per questo meno epica, l’epopea della “gente che costituirebbe a prima vista una massa anonima ma che, se indagata con solo un poco di attenzione, riserverà molte sorprese e curiosi aneddoti: insomma gente di cui vogliamo raccontate per rendere il doveroso tributo all’incanto del quotidiano che da sempre ci avvince, come se ci trovassimo in un travolgente remake neorealistico, in una metafisica dell’effimero e del banale” (Pier Vittorio Tondelli).
Uscito nel 2013, per la produzione esecutiva di Michele Bitossi e con la produzione artistica di Fabio Martino (Yo Yo Mundi, in studio e sul palco con Ivano Fossati, Franco Battiato, Giorgio Gaber, Manu Chao) e Mattia Cominotto (ex Meganoidi, già al lavoro con Tre Allegri Ragazzi Morti, Numero 6, Lava Lava Love), il disco raccoglie consensi unanimi ed entusiasti attraverso un numero eccezionale di recensioni lusinghiere. Da aprile a settembre, i Tomakin hanno tenuto circa venti concerti, fra cui gli opening-act a Jutty Ranx e Motel Connection, a proprio agio con artisti, a prescindere dal genere, indipendenti, vera e propria filosofia artistica prima ancora che inclinazione musicale.
L’Altrove ha tutte le carte in regola per candidarsi come palcoscenico perfetto, offrendo impianti tecnici all’avanguardia e un pubblico entusiasta. Il tappeto ritmico del basso si stende sotto l’impalcatura granitica della batteria e il synth pungente si innesta sulla voce tiratissima, creando un dipinto musicale che assomiglia a un Pollock manierista. Noise rock consapevole e non casuale, un’esibizione matura e, rispetto all’incisione algebrica in studio, disinibita e muscolosa. I Tomakin propongono i personaggi e le attitudini che abitano la loro epopea, la frustrazione di chi sottostà alla Legge di Murphy e sa bene che “quando le giornate iniziano male è quasi impossibile farle cambiare”; dai postumi dell’euforia artificiale di un Rave, in cui sono “sempre frantumati gli apparati razionali”, all’Epopea di uno qualunque, quello che, come tutti prima o dopo “cominciò ad odiare il suo parquet in teak, poi guardò la ballata di Stroszek” e, di conseguenza, a “recitare per mancanza di consolazione, morire di paura per eccesso di immaginazione”. Il concerto cresce di intensità canzone dopo canzone: il pubblico è coinvolto, in piedi davanti al palco a ballare; Alessio si “gasa tantissimo” agli effetti di Berna, Meganoide e tecnico del suono d’eccezione, sfoderando al microfono tutta la potenza della sua voce; Giovanni salta giù dal palco chitarra al braccio, fondendo musicista e spettatore in una sola persona.
«Genova rimane la città con il posto privilegiato nel cuore del gruppo», ci rivela Alessio a fine concerto; «qui registriamo, negli studi di Greenfog, e qui abbiamo parte delle nostre radici». L’acquese è da sempre un terreno fertile per le formazioni musicali di un certo spessore: basti pensare ai Knot Toulouse, gruppo ormai leggendario dell’underground folk-psichedelico e agli Yo Yo Mundi, formazione combat folk rock affermatasi ormai a livello internazionale. Con l’augurio che i Tomakin confermino sempre di più quello che hanno dato prova di essere: una realtà di punta dell’intero scenario indipendente.
Nicola Damassino