Luc Douay, professore dell'Università di Parigi, ha condotto un esperimento che apre la strada alle trasfusioni di sangue artificiale
Ogni giorno, la medicina ci stupisce con piccoli miracoli che rappresentano le tappe essenziali per un traguardo ambizioso. Un esperimento di marca francese, portato a termine dall’equipe di Luc Douay della Université Pierre et Marie Curie di Parigi e pubblicato dalla rivista scientifica “Blood”, apre la strada alle trasfusioni di sangue artificiale.
Il sangue umano viene prodotto all’interno delle ossa lunghe, a partire da cellule staminali pluripotenti (CD34+ HSC) in grado, attraverso tappe successive, regolate da fattori di crescita, di trasformarsi in eritrociti (globuli rossi), deputati a rifornire l’intero organismo dell’ossigeno necessario per i processi metabolici.
Seguendo i modelli biologici, i ricercatori francesi hanno prelevato cellule CD34+ HSC dal midollo osseo di un volontario, le hanno messe in coltura, stimolate a crescere, a differenziarsi ed, infine, trasfuse nello stesso donatore. Questi globuli rossi “artificiali” sono risultati perfettamente funzionanti in termini di contenuti in enzimi, di idoneità della loro emoglobina a fissare l’ossigeno, di validità di espressione dei vari gruppi sanguigni, di capacità di sopravvivenza.
Lo testimonia il fatto che, dopo 5 giorni, il 94% degli eritrociti erano presenti in circolo e, dopo 26 giorni, ne persisteva ancora un numero compreso tra il 41 e il 63%, seguendo una curva di decrescita paragonabile a quella fisiologica.
Analoghi tentativi erano stati condotti, nel 2008, dal team di Robert Lanza della Advanced Cell Technology (Usa), partendo da cellule embrionali e da cellule staminali della cute senza però testarne l’efficacia in vivo. La limitazione dell’esperimento sta nella quantità di sangue ottenuto, pari a 2 ml, a fronte di una quota minima necessaria di circa 200 volte superiore, corrispondente a una coltura cellulare di 400 litri.
I vantaggi di una simile tecnica, che si pensa possa essere ottimizzata nell’arco di 10 anni, risulta però evidente: un “autotrasfusione” eliminerebbe rischi di contagio da sangue infetto e, in generale, ci sarebbe più facilità a reperire gruppi sanguigni rari, più efficienza nel superare le incompatibilità che si creano in caso di politrasfusioni come quelle occorrenti in patologie quali talassemia o emofilia e, non ultima, una risorsa inesauribile di sangue di gruppo “zero negativo”, il così detto “donatore universale“, colmando, in modo definitivo, quello che è il divario attuale tra la domanda e l’offerta di questo prezioso elemento.
Resta il problema che, dopo catastrofi naturali o in luoghi remoti, sia difficile ricorrere a sangue fresco il quale necessita di particolari cautele per il trasporto. E’ una ricerca di cui si occupa Chris Cooper della University of Essex a Colchester, Regno Unito, tesa ad elaborare sostituti artificiali e, in particolare, alla creazione di una emoglobina meno tossica di quella esistente in formula chimicamente alterata: un’ altra sfida scritta nel futuro.
Adriana Morando