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Chiuso il centro di accoglienza, a Ventimiglia sono sorti diversi accampamenti informali, che ospitano decine di persone. “Era Superba” è andata a documentare la situazione, rilevando una condizione sanitaria precaria, di cui le istituzioni sembrano sottovalutarne la gravità. Ecco le testimonianze raccolte nel campo
Dopo l’attuazione del piano Alfano, non potendo più dormire in spiaggia, un centinaio di migranti ha trovato riparo sotto al ponte dell’autostrada, lungo il fiume Roya, a Ventimiglia; meno di una decina di tende, un accampamento piccolo, ma destinato a crescere, stando alle previsioni per la prossima estate. Un posto che solo il rispetto nei confronti di queste persone, che lottano perché la loro dignità di esseri umani sia riconosciuta, impedisce di definire squallido. Mentre nei palazzi si discute sul come gestire l’emergenza migranti, Era Superba è andata a verificare e documentare quello che sta succedendo in uno dei tanti luoghi di confine fra legalità e clandestinità che stanno sorgendo nel nostro Paese.
I migranti, per paura di possibili ripercussioni, lasciano malvolentieri l’accampamento. Mangiano una volta al giorno il pasto della Caritas e dormono per terra, sui sassi, perché le tende non bastano per tutti. Alcuni abitanti del quartiere si fermano a osservare dalla strada, ma non si avvicinano. Ci sono alcuni solidali che cercano di aiutare, organizzando distribuzioni di cibo, di vestiti e di coperte, e accompagnando chi ha bisogno al Pronto Soccorso. Fra i pochi italiani che incontriamo, un giovane medico di Torino, che ha deciso di trascorrere una giornata all’accampamento per visitare chi ha bisogno di cure: si tratta per lo più di ragazzi con disturbi poco gravi, problemi gastrici legati alla cattiva alimentazione o influenze e raffreddori dovuti al clima freddo. C’è anche qualcuno che lamenta dolori alle articolazioni, raccontando di percosse subite da alcuni agenti di polizia.
Anche il dottor Antonio Curotto e la dottoressa Amelia Chiara Trombetta, della Società Italiana Medicina delle Migrazioni (SIMM), hanno visitato l’accampamento. Anche se in Italia gli stranieri hanno diritto all’assistenza del Servizio Sanitario Nazionale, chi non ha presentato la richiesta d’asilo ha solo una tessera per straniero temporaneamente residente (Tsp), che dà diritto alle cure e all’assistenza a malattie croniche. La dottoressa ci spiega anche che la SIMM si batte perché gli stranieri in transito abbiano gli stessi servizi di tutte e altre categorie, anche perché il “transito” di queste persone copre un periodo di tempo lungo e il viaggio da cui sono reduci è traumatico. In Italia non esiste un regolamento che affronti questa emergenza: la situazione è variegata e solo alcuni ospedali si sono dotati di Uffici per stranieri, gestiti da volontari. «I medici del pronto soccorso – afferma la dottoressa – non possono rifiutarsi di curare gli stranieri. Qualche anno fa era stato paventato da parte del governo l’obbligo di denuncia degli irregolari, provvedimento osteggiato dai vari ordini nazionali di categoria: la norma non venne successivamente approvata ma provocò comunque un crollo di accessi al Pronto Soccorso». Tuttavia, il servizio di pronto soccorso non risulta essere adeguato a una situazione del genere: la Asl locale dovrebbe farsi carico di quella che Trombetta definisce come una «piccola emergenza sanitaria: le persone vivono in situazioni precarie, esposte all’umidità del luogo e alle intemperie, non possono cambiarsi i vestiti, cosa grave nel caso in cui si diffondessero infezioni. Sono molto probabili le infezioni semplici, per esempio alle vie urinarie, per l’assenza di bagni, e l’eventuale contagio di altre già in atto e derivanti dal viaggio. Ci sono ragazzi, madri, bambini a cui noi impediamo il movimento e non garantiamo il diritto alla prevenzione e alla protezione della salute, che è garantito e tutelato non solo dalle leggi nazionali, ma dalle normative comunitarie e dall’ONU. Le istituzioni europee parlano della salute come di un diritto fondamentale, i parametri determinanti il livello di salute sono l’abitazione, l’acqua, l’accesso alle cure e alle infrastrutture: queste persone non hanno, o quasi, accesso a nessuna di queste cose».
I migranti che si trovano all’accampamento sono per lo più uomini, si contano meno di una decina di donne e due bambini piccoli. Tra loro sono presenti due famiglie: un papà e una mamma eritrei, con un piccolo di 9 mesi, e tre sorelle, una delle quali incinta, accompagnate dal marito di una di loro e dalla loro bambina di un mese. Si tratta in prevalenza di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana: per attraversare il deserto, raccontano, hanno dovuto pagare dei passeur e dopo una settimana, o più, di viaggio in jeep, sono arrivati in Libia, dove li attendeva la prigione. Clandestini e senza documenti, vengono trattenuti in carcere per un anno: raccontano di percosse e maltrattamenti dei secondini locali. Una volta fuori, ricominciano il viaggio: ancora passeur e ancora denaro per attraversare il Mediterraneo e arrivare in Italia.
Tra le storie più commoventi, quella di R. un ragazzo pakistano di 30 anni: partito per la prima volta dalla regione di Sialkot nel 2007 e sbarcato a Lampedusa. Dopo il suo trasferimento a Crotone e il respingimento della domanda di asilo, ha ricevuto il foglio di via ed è stato rimpatriato. Ma non si è arreso: nel 2015 è partito di nuovo per andare in Libia e, da lì, con un barcone, in Sardegna. Dopo un altro diniego di asilo, è stato incarcerato a Oristano: 6 mesi e 15 giorni di cui non ha voluto raccontare nulla, se non che in carcere non gli era concesso telefonare e che lavorava 4 ore al giorno, 6 giorni alla settimana per 212,12 euro mensili. Ci ha mostrato una foto, fatta in occasione della prima identificazione: sulla fototessera, si vede un ragazzo giovane, con i capelli folti, lo sguardo fiero. L’uomo che ci siamo trovati davanti è dieci anni più vecchio e soprattutto stanco, triste e spaventato.
La gestione sanitaria in essere, o meglio, questa “non gestione” da parte delle istituzioni che abbiamo documentato, nell’immediato futuro potrebbe portare a conseguenze gravi, soprattutto se le previsioni numeriche dei flussi migratori dell’estate oramai alle porte si concretizzassero. L’assenza delle istituzioni mette centinaia di persone a serio rischio, negando di fatto il diritto alla salute; in questi accampamenti, e in tutta l’enorme questione dei migranti, sempre meno si riesce a riconoscere quell’Europa dei diritti di cui crediamo di fare parte.
Ilaria Bucca