Centro di accoglienza chiuso e allontanamento coatto di decine di migranti fermati al confine. A Ventimiglia è entrato in vigore il “piano Alfano” ma, già prima, portare solidarietà agli stranieri non era semplice: “Era Superba” ha osservato sul posto e fatto diretta esperienza del divieto di sfamare chi non vuole farsi registrare
Giovedì 12 maggio, 50 stranieri irregolari, bloccati a Ventimiglia, sono stati trasportati in pullman a Genova, dove li ha attesi un volo charter, un aereo delle Poste, per il trasferimento coatto verso altri centri di identificazione. L’aeroporto è stato blindato per ore dalle forze dell’ordine. Sabato scorso il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, aveva visitato il comune ligure, annunciando la chiusura del centro di accoglienza della Croce Rossa di piazza Cesare Battisti e il trasferimento forzato degli stranieri che vivono nella città frontaliera. Il piano del ministro si è concretizzato nel dispiegamento di 60 uomini della polizia e altrettanti dell’esercito, che si sono aggiunti alle forze dell’ordine già presenti sul territorio. La soluzione per risolvere l’emergenza che Alfano ha annunciato è già, quindi, in atto: nei giorni scorsi, i controlli della polizia si sono intensificati e, stando alle testimonianze di alcuni attivisti, anche i maltrattamenti. Un deciso colpo di spugna per cercare di risolvere la “questione migranti”: l’allontanamento coatto permette, forse, di nascondere il problema ma, di certo, non lo risolve. Ancora una volta a pagarne le conseguenze sono i migranti. Si moltiplicano i tentativi disperati di passare il confine: martedì pomeriggio scorso, 40 persone hanno bloccato la ferrovia nei pressi del confine con la Francia, tentando di attraversarla in pieno giorno. Mercoledì mattina, gli agenti si sono recati sulla spiaggia di Ventimiglia per “sgomberare” un gruppo di stranieri che si era spontaneamente ritrovato sull’arenile per condividere qualche coperta e trovare riparo dal freddo notturno; secondo alcuni testimoni questo episodio avrebbe generato violenze: pare addirittura che un ragazzo eritreo, dopo aver subito percosse, abbia tentato di suicidarsi impiccandosi a un cavo elettrico. Secondo il ministro Alfano, questa è la fine dell’emergenza. In realtà, ciò a cui stiamo assistendo sembra l’inizio di una tragedia ancora più grande.
I fatti di questi giorni si inseriscono in un contesto che va avanti da mesi, complicato da un quadro normativo locale che non ha precedenti: il sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano, già nel luglio scorso aveva vietato ai cittadini la distribuzione di cibo ai migranti. L’ordinanza 120/2015, “Divieto di somministrazione cibi nelle aree pubbliche ospitanti i migranti da parte di persone non autorizzate”, in vigore dal 2 luglio 2015, prevede che le persone non autorizzate, e quindi non in possesso dei requisiti igienico-sanitari, non possono dare da mangiare ai clandestini. Il provvedimento sottolinea che è la Croce Rossa ad essere incaricata della distribuzione di alimenti e considera anche che le alte temperature estive potrebbero danneggiare i cibi.
Abbiamo cercato di capire il funzionamento e la reale applicazione dell’ordinanza andando direttamente in loco. Alcuni giorni fa, abbiamo assistito a Ventimiglia a una distribuzione di cibo, organizzata da alcuni cittadini della zona che, senza striscioni né forme di presidio permanente, stavano portando un po’ di riso bollito, verdure e cous cous ai migranti sulla spiaggia. L’intervento delle forze dell’ordine non si è fatto attendere e si è concretizzato con l’identificazione dei presenti. Due agenti hanno provato a illustrare la ratio della norma: si tratta, dicevano, di un problema igienico-sanitario che ha a che fare con il pericolo botulino, derivante dalla possibile mal conservazione degli alimenti. I poliziotti si sono appuntati i nomi di tutti i presenti (anche il nostro) e, successivamente, hanno trasmesso i dati alla centrale per un controllo. Gli identificati erano abitanti del Comune di Ventimiglia o di paesi limitrofi che portano, quando riescono, qualche pasto caldo o qualche alimento preconfezionato alle persone in spiaggia o alla stazione. Non temono la multa, perché, di fatto, è impossibile prenderla. L’ordinanza sindacale è fatta rispettare “solo” attraverso i controlli e le identificazioni da parte delle forze dell’ordine. È stato proprio uno dei due agenti a rimarcare il fatto quando gli veniva chiesto il perché non fossero state elevate sanzioni amministrative: «Noi non facciamo le multe, facciamo i fogli di via». In realtà, le misure sono più blande e si limitano, appunto, alle identificazioni, anche ripetute: uno degli attivisti presenti, infatti, era la sesta volta che finiva nella lista dei “cattivi”.
L’ordinanza è entrata in vigore l’estate scorsa, quando sulla spiaggia di Ventimiglia sorgeva ancora il presidio spontaneo nato dall’occupazione degli scogli da parte dei migranti, simbolo delle manifestazioni “No Borders”. All’epoca, questo provvedimento impediva agli attivisti di distribuire alimenti ai clandestini accampati sulla spiaggia, con il chiaro intento di arginare il fenomeno dell’occupazione e limitare i contatti fra la popolazione italiana e gli stranieri. L’ordinanza oggi rischia di ridurre alla fame le decine di persone che non ricevono i pasti dalla Croce Rossa ma solo un parco rancio della Caritas che, fino a qualche giorno fa, consisteva in quattro biscotti, una mela e una scatoletta di tonno, decisamente insufficienti a soddisfare le esigenze nutritive giornaliere di un adulto. La Croce Rossa, infatti, distribuisce i viveri solo ai migranti che sono stati già identificati. Chi si trova in strada, invece, rifiuta di fornire le proprie generalità, altrimenti non potrebbe più lasciare l’Italia. Lo dice il regolamento di Dublino, in vigore dal luglio del 2013, che impone agli immigrati di rimanere nel paese in cui vengono identificati: in altre parole, una volta forniti i propri dati, si deve attendere in Italia il giudizio della Commissione che si pronuncia sul permesso di soggiorno o sull’eventuale richiesta d’asilo. Ma l’obiettivo di molti, come è noto, è oltrepassare il confine con la Francia e, in alcuni casi, di andare in Inghilterra. Inoltre, non sono pochi i “clandestini” che dicono di non voler rimanere in un paese, il nostro, che potrebbe offrire loro un’accoglienza solo sommaria, in attesa di ricevere i documenti regolari che non sempre arriveranno. Peraltro, se tutti i migranti fossero identificati, il sistema di accoglienza italiano collasserebbe, come testimonia la ricerca di Medici Senza Frontiere, presentata pochi giorni fa a Genova.
«L’attivismo è la soluzione». Questa è stata la conclusione di Giuseppe De Mola, il civil society officer di Medici Senza Frontiere, che sabato 7 maggio ha presentato a Palazzo Ducale “Fuori Campo”, il dossier sugli accampamenti informali che, in Italia, ospitano circa 10 mila immigrati rimasti fuori dal sistema di accoglienza. Secondo le stime di Msf, stando così le cose, nel corso della prossima estate sarà possibile sfamare e accogliere queste persone solo con l’aiuto di cittadini e associazioni di volontari. Le previsioni della ong sono state estese a Ventimiglia, dove, sempre secondo De Mola, si dovrà far fronte all’arrivo di un numero massiccio di migranti: un appello alla cittadinanza per nulla velato.
Nonostante l’opinione espressa dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, la situazione, quindi, appare sempre più come un’emergenza umanitaria destinata a peggiorare nelle prossime settimane. Nella cittadina ligure, a pochi chilometri dal confine francese, arrivano profughi africani e asiatici: sono sudanesi, senegalesi, nigeriani, siriani, pakistani e non solo, intenzionati a passare la frontiera a ogni costo. Ci provano in treno o in auto, o con l’aiuto, pagato caro, dei passeur; ma anche a piedi, di notte, lungo la ferrovia. Sono uomini, donne (alcune anche incinte) e bambini disperati e affamati, che in testa hanno solo la fuga. E, negli occhi, la paura.
Ilaria Bucca