L’informazione britannica, da sempre considerata watchdog (cane da guardia) del potere, ha subito diverse restrizioni alla sua libertà di azione dopo le acquisizioni da parte di Rupert Murdoch dei principali quotidiani
Si chiama Fleet Street, si trova nella City londinese ed è stata per diversi secoli il cuore pulsante della stampa britannica. A Fleet Street journalist si dice ancora oggi per parlare di un professionista della carta stampata di un certo livello. La storia di Fleet Street incomincia nei primi anni del 16mo secolo, quando appaiono le prime stamperie e la via, che ora ospita diverse sedi di banche e società che operano nell’alta finanza, inizia a popolarsi di editori e di giornali.
E’ nel 19mo secolo che si assiste al boom definitivo della carta stampata britannica e a Fleet Street arrivano, tra gli altri, importanti giornali e agenzie di stampa quali The Daily Telegraph, The Daily Mirror o Reuters, che però a uno a uno abbandonano alla fine del XX secolo la vecchia sede per trasferirsi nei nuovi centri della stampa britannica, ovvero Canary Wharf e Southwark, altri quartieri della capitale.
A feral beast, “una bestia selvaggia”, così Tony Blair verso la fine del suo mandato decennale da primo ministro aveva definito Fleet Street. I toni della stampa britannica spesso sono schietti e diretti nei confronti del potere politico, ma Blair era evidentemente infastidito da titoli e articoli che mettevano in luce le contraddizioni di un governo che di laburista ebbe poco altro se non il nome, come dimostrò per esempio la netta presa di posizione a favore dell’intervento militare in Medio Oriente nel periodo post-Torri Gemelle. Forse l’ex premier proveniente dalla Scozia avrebbe desiderato dei giornalisti più mansueti, delle scimmiette ammaestrate ossequiose nei confronti del Primo Ministro di turno pur di mantenere un posto, una trasmissione televisiva, una colonna su un quotidiano e un lauto stipendio, magari per un canale pubblico o per un quotidiano che va avanti grazie ai finanziamenti dei partiti politici… Vi richiama alla memoria qualche similitudine con l’Italia la figura del giornalista in livrea auspicata da Blair?
Fatto sta, comunque, che negli ultimi anni anche l’informazione britannica, da sempre considerata watchdog, “cane da guardia”, del potere, ha subito diverse restrizioni alla sua libertà di azione, non tanto a causa di leggi-bavaglio (per quelle per adesso abbiamo ancora noi il primato e il copyright), quanto per le persone – poche e spregiudicate – alle quali è finita in mano.
Un nome su tutti? Rupert Murdoch, il magnate australiano che, oltre a controllare Sky, in Inghilterra già dagli anni Sessanta è diventato padrone del Sun, un tabloid la cui linea editoriale si è sempre fatta distinguere per calunnie, maschilismo e razzismo.
Purtroppo, analogamente a quanto è accaduto in Italia con la televisione pubblica che ha seguito il degrado della tv privata, anche in Inghilterra alcuni giornali hanno preferito inserirsi nel solco tracciato dal Sun anziché distaccarsene. E’ stato per esempio questo il caso del Mirror, tabloid che specialmente nel periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale si era distinto nel suo intento informativo ed educativo.
Il guaio è che Murdoch, oltre a comprare il Sun si è anche nel frattempo preso The Times, il monumento del giornalismo inglese. Se a essi sommate i canali televisivi posseduti dal tycoon australiano, oltre alle sue frequentazioni bipartisan con Laburisti (Blair in testa) e Conservatori, capirete bene che quando si parla di oggettività dell’informazione, beh, un piccolo dubbio si insinua. Ecco perché, inoltre, quando si sentono alcuni giovani (sulla carta di identità) aspiranti leader di casa nostra parlare di modello-Blair e New Labour all’italiana francamente è dura non avere i brividi – e non per il freddo… See you!
Daniele Canepa