Non basta andare a lavorare in Inghilterra per imparare nuove parole, correggere la pronuncia e approfondire la conoscenza grammaticale e sintattica dell’inglese: sono necessari uno studio costante e un sincero desiderio di imparare
“L’unico modo per imparare bene l’inglese è fare la valigia (o il trolley) e andarsene a Londra, Los Angeles, Dublino o Melbourne a lavorare!” Più volte ho sentito pronunciare questa frase in modo assolutamente convinto da diversi studenti: la realtà, però, non sta esattamente in questi termini.
Se è vero che una full immersion in un paese anglosassone può velocizzare l’apprendimento in quanto per esigenze di pura sopravvivenza ci si sente fortemente motivati a imparare per riuscire a comunicare, è altrettanto illusorio credere che sia sufficiente la sola permanenza in suolo britannico o americano per migliorare il proprio livello di conoscenza della lingua.
Non basta andare a lavorare in Inghilterra per imparare “magicamente” nuove parole, correggere la pronuncia e approfondire la conoscenza grammaticale e sintattica dell’inglese: sono necessari anche uno studio costante e un sincero desiderio di imparare.
Un’esperienza fuori dall’Italia, quindi, va pianificata con anticipo – e non parlo soltanto dell’acquisto del biglietto aereo qualche mese prima per spendere meno – soprattutto dal punto di vista degli obiettivi che tramite un periodo all’estero, sia esso di lavoro o di studio, si desidera conseguire.
Il rischio, diversamente, è quello di andare incontro a una forte delusione, anche perché se alla partenza la conoscenza della lingua non è adeguata è impossibile pensare di trovare lavori lautamente retribuiti in paesi come quelli anglosassoni, il cui costo della vita è peraltro di per sé molto elevato. La crisi del 2008 – spesso definita in inglese recession per attenuare i toni – ha poi colpito fortemente tutto il settore occupazionale e paesi che avevano registrato grandi crescite prima del fatidico e famigerato fallimento di Lehman Brothers, come per esempio l’Irlanda, si trovano da cinque anni in una situazione stagnante o perlomeno meno florida rispetto a qualche tempo fa e del periodo d’oro.
Un altro aspetto da tenere in considerazione che viene invece di norma ampiamente sottovalutato è il cosiddetto culture shock, o shock culturale, ovvero quel sentimento che mescola estraniamento, difficoltà ad adattarsi a nuove abitudini culturali, alimentari e sociali e tristezza causata dalla lontananza da casa. Se un po’ di saudade – come la chiamano i brasiliani – è inevitabile, è tuttavia vero che per attutire gli effetti del culture shock ci si può attivare prima della partenza.
Il primo stratagemma, che più da vicino tocca questa rubrica, è quello di studiare la lingua del paese ospitante già prima di partire. Il secondo consiste nell’approfondire la conoscenza non solo linguistica, ma anche storica e culturale del paese nel quale ci si vuole trasferire. Conoscere la storia di una nazione e comprendere le ragioni che l’hanno portata a essere quello che è ha un’importanza fondamentale per capire più velocemente le dinamiche sociali e comportamentali e ambientarsi più in fretta… See you!
Daniele Canepa
Twitter: @DanieleCanepa1
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[foto di Diego Arbore]