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Qualità dei dibattiti in televisione: i talk-show al tempo della crisi

La regola non scritta della tv italiana è che i dibattiti non devono mai andare oltre la definizione delle due tesi contrapposte; non deve emergere un vincitore e guai ad approfondire, perché “non bisogna andare troppo sul tecnico”


24 Maggio 2013Rubriche > "Polis" Critica Politica

studio-televisivoFare un giro su Youtube di tanto in tanto regala sempre qualche sorpresa. E’ stato così che mi sono imbattuto in una puntata di “Punto e A Capo“, programma di approfondimento in onda su Class TV MSNBC (canale 27) condotto da Marco Gaiazzi. Il tema della trasmissione era l’euro. Si, lo so che non ne potete più di sentirmi parlare della moneta unica; ma in questo caso non mi interessa tanto il contenuto in sé, quanto la forma. In particolar modo vorrei sottolineare due aspetti che hanno attinenza con la qualità dell’informazione che riceviamo: cioè il modo in cui si sviluppa il dibattito televisivo e gli interlocutori che sono chiamati a prendervi parte.

Cominciamo da questo secondo punto. Era ospite in trasmissione Michele Boldrin, padovano, professore di economia negli Stati Uniti, tra i fondatori di Fare con Oscar Giannino, già editorialista per il Fatto Quotidiano e volto piuttosto noto grazie anche alla frequente presenza in varie salotti televisivi, da Ballarò a Servizio Pubblico. Capisco che in base a questa descrizione il lettore possa essere indotto a fare una serie di equazioni di valore, come: “insegnare economia negli Stati Uniti = competenza e merito”; “partito nuovo = idee fresche”; “Fatto Quotidiano/Servizio Pubblico = area di sinistra”. Temo tuttavia che Boldrin debba essere inquadrato piuttosto come il classico provocatore, impegnato più o meno consapevolmente nella difesa d’ufficio di idee e interessi di parte. Avevo già fatto qualche velato accenno in vari articoli del passato alla possibilità che l’informazione potesse essere condizionata non solo dall’ignoranza degli addetti ai lavori (che è forse il problema principale), ma anche da precisi intenti distorsivi. Ecco: penso che questo sia il caso di Michele Boldrin.

Quello che squalifica l’economista padovano, tanto per cominciare, non sono le cose che dice, quanto l’atteggiamento che tiene. In tutte le partecipazioni televisive si è sempre distinto per l’arroganza con cui tratta gli interlocutori, che vengono sistematicamente attaccati sul piano personale, incastrati in un’antipatica gara a “chi ce l’ha più lungo” (il curriculum scientifico) e accusati senza mezzi termini di ignoranza. Resta da capire come abbia fatto questo autentico genio dell’economia, che fatica ad abbassarsi al livello dei semplici professori associati, a dare credito ad Oscar Giannino, uno che difficilmente si poteva scambiare per un economista, anche prima che si scoprisse la nota vicenda del finto master.

Al di là dei modi, tuttavia, anche sul piano teorico le tesi di Boldrin non sembrano molto convincenti. L’economista insiste molto sulle fantomatiche “riforme”, sulla riduzione delle tasse, sul taglio della spesa, sul ridimensionamento dello Stato (il che giustifica l’accostamento con i movimenti della destra americana dei Tea Party) e sulla cessione del patrimonio pubblico. Le responsabilità delle banche ci sono, ma, secondo l’economista, dipendono sempre dallo Stato, che le controlla tramite i politici che siedono nelle fondazioni bancarie. Non una parola, invece, sugli squilibri di un sistema finanziario globale senza regole che ha prodotto la crisi dei mutui sub-prime e il crack Lehman Brothers. Allo stesso modo rimane un mistero la benevolenza con cui Boldrin guarda al sistema spagnolo, che pure, a prima vista, sembrerebbe messo peggio del nostro.

Per inciso, uno così a proposito dell’euro cosa può dire? Ovviamente non può che difendere la moneta unica a spada tratta, replicando i soliti luoghi comuni (cosa che ha aperto spazio all’irrisione e ad una critica serrata da parte di qualche collega). Certo fin qui l’attività divulgativa del (non tanto) simpatico economista padovano potrebbe dipendere soltanto dalla difesa legittima di un’ideologia, che è poi quella della scuola di Chicago, dove Boldrin ha trascorso periodi di studio. Tuttavia, se a pensar male spesso ci si azzecca, qualche spiegazione in più potrebbe venire da ragioni più “prosaiche”. Come è già stato fatto notare, infatti, Boldrin è dentro FEDEA, che, per chi non la conoscesse, è – pensate un po’! – proprio una fondazione ed è sponsorizzata – indovinate un po’! – proprio da banche spagnole.

Ecco che improvvisamente tutto sembrerebbe assumere un senso: o quantomeno gli inviti a sbarazzarsi in fretta dei cosiddetti “gioielli di famiglia”, se vengono da uno che rappresenta chi movimenta i capitali per comprarli, suonano improvvisamente un po’ più sospetti.

 

LA QUALITA’ DEI DIBATTITI TELEVISIVI

In ogni caso, venendo all’altro punto della questione (qualità dei dibattiti televisivi), bisogna dire che, comunque la si pensi su Boldrin, è evidente che se si fa la scelta di invitarlo in trasmissione, non si compie un’operazione neutrale: si definisce anzi un estremo del dibattito in oggetto e si finisce per riconoscere implicitamente a questa posizione una minima dignità e onestà intellettuale; ma soprattutto, una volta che si è fatta questa scelta, poi bisogna anche lasciare che le diverse posizioni siano liberamente dibattute dagli ospiti presenti in studio, perché si possa restituire al pubblico a casa, alla fine, una sintesi convincente.

Ed invece no. La regola non scritta della televisione italiana è che i dibattiti non devono mai andare al di là della definizione delle due tesi contrapposte; non deve mai emergere un vincitore, perché se no la trasmissione diventa “di parte” e poi “sarà la gente a casa a farsi la sua opinione”; e guai ad approfondire, perché “non bisogna andare troppo sul tecnico”. Così anche il conduttore di punto a capo, il povero Marco Gaiazzi, non si sottrae a questo canovaccio.

A un certo punto del programma è Claudio Borghi Aquilini ad entrare in polemica con Boldrin, ricordandogli i circa 45 miliardi che l’Italia ha già versato nel cosiddetto Fondo Salva Stati. Boldrin ribatte che le banche italiane rischiano di pagare ben di più in caso di fallimento dei paesi in crisi, perché sono esposte per il 3% su un totale di almeno 1000 miliardi di titoli di Stato europei a rischio. Ha ragione Borghi o ha ragione Boldrin? L’Italia, in quanto contributore netto, in Europa ci sta rimettendo, come vuole Borghi, o tutto sommato paga quello che è giusto che paghi, come vuole Boldrin? Mi sembra un punto interessante; un punto che dovrebbe essere deciso: perché o le cose stanno ad un modo, oppure stanno nell’altro. Tertium non datur.

E invece Gaiazzi preferisce passare ad un altro ospite e lasciare la querelle in sospeso. Forse che gli spettatori di Class TV, che fa parte del gruppo editoriale di Milano Finanza, non sono interessati ai dati economici? O forse non sono capaci a fare le addizioni o le percentuali? Direi di no. In particolar modo direi che chiunque può capire che il 3% di 1000 è 30; ed è meno di 45. Quindi, ammesso che le cifre date dai due economisti siano giuste, apparentemente ha ragione Borghi. Eppure, stante tutto quello che ho scritto su Boldrin, non è da escludere che avesse altri elementi da aggiungere al dibattito: perché dunque non starlo a sentire? C’era il rischio che si andasse avanti all’infinito? Non mi pare. Allora perché non spendere qualche minuto in più per ascoltare ulteriori dettagli e poi dire: “caro Borghi/Boldrin, mi pare che la matematica smentisca le tue argomentazioni”? Nemmeno di fronte ai freddi numeri si riesce ad avere indipendenza e un briciolo di coraggio intellettuale? Ecco. Spero che da questo esempio appaia chiaro una volta per tutte come si sta comportando l’informazione, le responsabilità che ha, il modo in cui si fa castrare e poi, se serve, il modo in cui si castra anche da sola.

 

Andrea Giannini


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