Trovare una nuova famiglia per un bambino "abbandonato" è una strada tortuosa che passa necessariamente per le mani della giustizia minorile. Ma che cosa succederà con la riforma del processo civile che abolisce, di fatto, i tribunali per minorenni? Ne parliamo con i responsabili genovesi
Nell’ampio approfondimento che Era Superba sta dedicando al tema degli affidi e delle adozioni, abbiamo già cercato di raccontare quali siano le procedure e i contesti che possono portare alla creazione di una nuova famiglia. Ma in tutti questi percorsi, nulla può iniziare senza il vaglio della Procura e del Tribunale per i minorenni (in gergo, tribunale dei minori), a cui spetta il ruolo centrale di valutare e stabilire chi deve essere adottato e chi può adottare. Un lavoro delicato, svolto in coordinamento con altri attori, che ha come obiettivo quello del “superiore interesse del bambino”, frase citata oltre 20 volte nel testo della legge di riferimento la n°184 del 1983, e successive integrazioni.
Il requisito fondamentale di partenza è lo stato di abbandono morale e materiale del bambino o del ragazzo all’interno della famiglia, che deve essere accertato attraverso un percorso che tuteli il soggetto interessato, e che possa verificare eventuali strade alternative all’adozione. In altre parole, prima di arrivare a una sentenza così impattante sia per la famiglia ma soprattutto per la vita del minore, vengono valutate tutte le strade possibili di recupero.
Le segnalazioni di un potenziale stato di abbandono possono essere fatte da chiunque, attraverso denuncia presso la procura per i minorenni. Esistono, tuttavia, dei soggetti che sono tenuti obbligatoriamente a segnalare i casi a rischio: la scuola, i servizi sociali, le forze dell’ordine e gli enti locali. La segnalazione è seguita da accertamenti svolti dalla procura, attraverso i servizi sociali e il personale di pubblica sicurezza, che può chiedere al tribunale di attivare la procedura di adottabilità. Viene quindi creato un fascicolo, affidato ad un giudice delegato (scelto secondo una previsione tabellare), il quale presenta il caso alla camera di consiglio, un organo collegiale composto dal presidente del tribunale, il giudice delegato, a cui è affidato il fascicolo, e due giudici onorari, un uomo e una donna. In questa sede, vengono presi i primi provvedimenti a tutela del minore, come l’affido al Comune o la collocazione del ragazzo in comunità se il caso presenta estremi di gravità e urgenza, oppure la nomina di un tutore e la convocazione dei genitori (cui viene affidato un difensore d’ufficio). Dopo questo passaggio, fondamentale per eventualmente mettere in sicurezza il bambino, partono le indagini, svolte dai servizi sociali e sanitari: si indaga fino al quarto grado di parentela, per verificare eventuali “risorse vicariali” che possono essere attivate all’interno della stessa famiglia. Durante questa fase istruttoria sono ascoltate le parti, compresi ovviamente i genitori (o chi ha tutela legale), secondo quanto stabilito dalla legge 173 del 2015; una volta terminate le indagini, gli atti vengono depositati alle parti, per eventuali osservazioni e conclusioni. In questa fase il pubblico ministero che ha attivato la pratica può esprimere il suo parere, anche se non vincolante: dopo una successiva camera di consiglio, il tribunale, sempre collegialmente, arriva a sentenza, che ovviamente può essere impugnabile in Corte d’Appello e eventualmente ricorribile in Cassazione. Nel fare le sue valutazioni, il collegio valuta in base all’interesse presente e futuro del minore e in base all’eventuale danno che determinate condizioni possono arrecargli; se le condizioni di pregiudizio (come la trascuratezza prolungata, l’incuria, il maltrattamento e l’abuso) sono accertate, ed è accertato che non siano recuperabili in tempo utile e compatibile per la salvaguardia della crescita e dello sviluppo del minore, e si ci trova in un contesto famigliare privo di risorse alternative, si arriva alla sentenza di adottabilità.
In attesa che si esauriscano i tre eventuali gradi di giudizio, il tribunale può decidere per una “adozione a rischio giuridico”: il minore è affidato a una coppia avente i requisiti e che sia dichiarata disponibile anche per questo particolare tipo di collocamento famigliare, potenzialmente temporaneo, in attesa della sentenza definitiva. Questo istituto è stato pensato per garantire ancora una volta l’interesse del minore, non compatibile con i tempi lunghi della giustizia.
Le coppie che scelgono la via dell’adozione possono presentare domanda presso il Tribunale per i minorenni competente che, nei fatti, è una “dichiarazione di disponibilità” all’adozione; oltre ai requisiti che abbiamo già visto, da parte del tribunale e dei servizi sociali vengono valutate, attraverso diversi colloqui, alcune “predisposizioni”: il singolo, come la coppia, infatti, possono non avere elaborato differenti tipi di lutto, compresa l’impossibilità della filiazione biologica, oppure avere difficoltà ad accettare i potenziali cambiamenti e le novità, anche di dolore, che il minore adottato può portare con sé all’interno del nuovo nucleo famigliare; anche riuscire ad assimilare come simili la genitorialità adottiva e quella biologica viene presa in considerazione, il tutto sempre nella prospettiva di poter tutelare in primis il benessere del minore adottato. La mancata approvazione, stabilita con sentenza da parte del tribunale, può essere impugnata.
Nel caso in cui ci sia una sentenza di adottabilità, e quindi ci sia un bambino da adottare, il tribunale convoca tutte le coppie disponibili: il giudice delegato illustra a tutti il quadro famigliare e la situazione sanitaria (ovviamente omettendo i dati sensibili), successivamente ogni coppia viene chiamata singolarmente a colloquio con la commissione, per parlare del caso, e dare la propria disponibilità per quella adozione; spetterà poi al tribunale, sempre attraverso decisione collegiale presa in camera di consiglio, decretare l’abbinamento. Il rifiuto da parte di una coppia sul singolo caso non preclude le future riconvocazioni.
Nel caso di adozione internazionale, una volta accertata la presenza dei requisiti attraverso apposita sentenza, la coppia deve rivolgersi entro un anno ad una delle numerose onlus accreditate che l’accompagneranno nel percorso.
Come abbiamo visto, quindi, il lavoro del tribunale accompagna ogni passaggio che può portare a compimento l’adozione. Era Superba, grazie alla disponibilità del Tribunale per i Minorenni di Genova, nella persona della dottoressa Marina Besio e del giudice onorario Agostino Barletta, ha avuto accesso ai numeri relativi alla procura territoriale (che ha giurisdizione territoriale sulle quattro provincie liguri più quella di Massa).
Nel 2015 sono state 308 le domande di adozione nazionale, mentre 88 quelle internazionale. I dati (che non concordano con quanto comunicato dagli uffici della Regione Liguria) sono in diminuzione rispetto al 2014 (rispettivamente 355 e 136): alla base di questo trend, che conferma quello degli ultimi anni, «probabilmente il miglioramento delle tecniche di fecondazione assistita – ci spiega la dottoressa Besio – e tutte quelle terapie che facilitano e favoriscono la genitorialità biologica». L’impatto della crisi economica degli ultimi anni non è verificabile, ma potrebbe essere un ulteriore fattore. La decrescita si riscontra anche nei numeri relativi alle sentenze di adottabilità, che sono passate da 25 nel 2014 a 17 nel 2015. «Questo può essere considerato un dato estremamente positivo – continua il presidente del tribunale – che è senza dubbio il risultato degli sforzi sia del tribunale sia dei servizi sociali per recuperare altrimenti situazioni di disagio, senza dover ricorre all’adozione».
Per la cronaca nel 2015 sono stati registrati 7 casi di sentenze di adottabilità di figli di genitori ignoti (cioè che non riconoscono il figlio alla nascita), in leggero aumento rispetto all’anno precedente, quando ci furono 5 casi.
Ma tutte le adozioni vanno a buon fine? Non tutte: in alcuni casi, infatti, il collocamento nella nuova famiglia deve essere interrotto, per diverse ragioni, sia relative alla coppia, sia alla specifica situazione del minore. L’incidenza di fallimento si assesta al 3%, in linea con quella nazionale: «Il giudice minorile lavora pensando al futuro, cioè pensando a quali modifiche siano necessarie rispetto alla situazione attuale. Va da sé che essendo molti i soggetti coinvolti, non sempre la decisione adottata è quella più funzionale a ottenere i cambiamenti sperati».
Il 9 marzo scorso la Camera dei Deputati ha approvato un testo di legge delega che riforma il processo civile, intervenendo anche sui procedimenti della giustizia minorile, prevedendo la soppressione dei Tribunali peri Minorenni e dei relativi uffici di Procura. Le conseguenze, ovviamente, ricadranno su tutte le competenze del tribunale, e quindi anche sulla questione adozioni, e hanno provocato forti perplessità e preoccupazioni per gli addetti ai lavori e non solo. «Non è stata ascoltata la proposta di creare un Tribunale, con relativa procura, unico e autonomo per i minorenni e la famiglia – sottolinea Marina Besio – la materia minorile non può essere trattata alla stregua dei comuni affari civili o privati, il rischio è quello di far scomparire uffici altamente specializzati, impoverendo tutta la cultura della giurisdizione minorile». Decenni di lavoro ed esperienza, infatti, potrebbero finire schiacciati nel calderone dei grandi tribunali ordinari, notoriamente in affanno: «Stupisce che il legislatore abbia voluto intervenire in un settore che dà buoni risultati, tanto da essere preso a modello per istituti come la mediazione, la messa alla prova e l’irrilevanza del fatto». La grande differenza sta nella prospettiva: «Se per gli adulti prevale l’aspetto repressivo, in ambito minorile l’approccio è quello della riparazione e della rieducazione». Tutti quei passaggi necessari per fare la scelta migliore per il ragazzo o il bambino, anche in ambito di adozioni, quindi potrebbero essere a rischio.
Un’ultima battuta sulla questione stepchild adoption e la relativa vorticosa polemica delle settimane scorse: «Noi ci basiamo sull’ordinamento giuridico, che è di competenza del legislatore; il nostro interesse rimane e rimarrà l’interesse supremo del minore». In qualsiasi caso.
Nicola Giordanella