Il racconto di Francesca, funzionario pubblico genovese, single di 39 anni, protagonista di un affido d’appoggio a una mamma e una bimba straniere. “Siamo come due nuclei familiari fusi in uno solo: passiamo le feste assieme, guardiamo le partite in tv e ci organizziamo insieme per le vacanze”
Sono una ragazza single e, quasi sempre, penso che mi va benissimo così. L’idea, però, che per motivi di età, ad un certo punto, dovrò rinunciare al desiderio di avere un figlio, non è piacevole. Durante una serata in cui con le amiche ci si lamentava delle sempre più scarse probabilità di diventare mamme, una di loro mi parlò di una signora, ligure, mamma di 5 figli, tutti adottati o in affido; una figura che mi colpì molto e che decisi di conoscere.
Incontrandola ho scoperto una persona molto speciale, per la quale non esistono rinunce ma scelte, e che mi ha parlato di tanti modi diversi di essere madre, incoraggiandomi ad iscrivermi ai seminari che periodicamente vengono organizzati per spiegare, sotto i vari aspetti, l’istituto dell’affido.
Partecipando a questa serie di incontri, ho conosciuto casi concreti di persone affidatarie, e avuto informazioni e notizie di cui ero completamente all’oscuro. Ho imparato, ad esempio, che esiste l’affido near limitato al tempo in cui ci si prende cura di un minore in stato di abbandono mentre i servizi sociali completano le formalità per renderlo adottabile. C’è l’affido omoculturale quando una famiglia straniera, con figli che non riescono ad integrarsi, viene affidata ad altra famiglia culturalmente omogenea ma già inserita nel nostro contesto. L’affido può essere “d’appoggio” , in aiuto a un minore che ha almeno un genitore e una casa, oppure residenziale, quando il bambino entra per un periodo anche molto lungo in una famiglia; quest’ultima tipologia è concessa a nuclei in cui preferibilmente ci siano già dei figli naturali.
Va detto, comunque, che lo strumento dell’affido è molto elastico, può essere adattato alle varie situazioni che via via si presentano, sempre ovviamente con l’obiettivo di tutelare il minore, mentre l’adozione è un istituto molto più rigido, definito e circoscritto nei tempi e nelle formalità.
Passato qualche mese, sono andata in vacanza, senza pensare molto a questa possibile scelta e sarebbe forse rimasto tutto così se non avessi ricevuto una chiamata dai servizi sociali del Comune: avevano capito che ero interessata, non ero in lista ma sembravo adatta per dare il mio aiuto a una situazione di difficoltà che si era venuta a creare. Davvero non volevo saperne di più? Mi hanno spiegato che, con l’aiuto della mia famiglia, avrei potuto partecipare ad un affido “di appoggio”: sarebbe arrivato un minore, la cui situazione del momento richiedeva un sostegno, anche pratico, abitativo, ma forse limitato nel tempo.
Senza rifletterci troppo sopra, lo devo ammettere, mi sono buttata in questa avventura che mi ha cambiato profondamente la vita; mi sono sottoposta ai controlli, colloqui e visite domiciliari (anche i “nonni”, i miei genitori, sono stati ovviamente coinvolti) e alla fine è arrivata questa bimba con la sua mamma. Non dimenticherò mai il nostro primo incontro: la mamma seduta sulla scalinata di San Lorenzo con la testolina di lei, della “mia” bimba allora piccolissima, che faceva capolino dietro la sua spalla. E’ stato amore a prima vista.
Il mio è un affido consensuale, ottenuto cioè con il consenso del papà e della mamma, in questo caso non si passa attraverso il Tribunale perché c’è appunto questa doppia approvazione. Inizialmente, la mia disponibilità era di due weekend al mese, per aiutare la madre quando lavora nel fine settimana, ma ora ,dopo due anni, i rapporti sono molto più semplici, le diamo una mano ogni volta che serve: ora per esempio sono 10 giorni che la bimba è da me perché la madre aveva problemi. Siamo come due nuclei familiari fusi in uno solo: passiamo le feste assieme, guardiamo le partite in tv e ci organizziamo insieme per le vacanze. Le differenze culturali ci sono, a volte bisogna stare attenti a non urtare sensibilità che a noi sono estranee ma, con l’affetto e la voglia di stare insieme, le differenze si riescono sempre a superare.
Ci sono stati anche momenti difficili: inutile negare che, a volte, mi sono trovata in mezzo a questioni che forse non mi competevano strettamente, ma ho cercato di affrontarle con i mezzi che avevo a disposizione, sempre con l’obiettivo di proteggere la bambina. Qualche volta certamente mi sono esposta troppo, ho rischiato ma per fortuna è andata bene; ho imparato a non sottovalutare le differenze di formazione e di cultura perché mi sono resa conto che il negarle ne evidenzia la profondità. Certo, a volte il pensiero che la mamma potrebbe tornare nel suo paese con la bimba (che non sarà cittadina italiana fino ai 18 anni, perché da noi vale lo ius sanguinis e non lo ius soli) mi procura un’ansia che però devo controllare, sapendo che si tratta di una persona che in ogni caso mette in primo piano il bene della figlia.
La mia vita è cambiata molto ed ora è molto più impegnativa ma più ricca. Vedere la bambina che cresce bene, la sua mamma che è serena perché sa di poter contare anche sul nostro appoggio e tutto il surplus di affetto che questa situazione nuova ha creato è il miglior regalo che potevo farmi.
Francesca, funzionario pubblico, 39 anni, single
*la storia di Francesca è stata raccolta da Bruna Taravello