Il nemico da contrastare è individuato in tutte le forze cosiddette populiste che vanno da Berlusconi a Grillo. L'obiettivo non è tanto farsi eleggere, quanto acquisire l'appoggio dei partiti con alti consensi: il PD è l'obiettivo dell'ex premier
Se Monti non si è schierato apertamente con Casini e Montezemolo, è solo perché i sondaggi non lasciavano presagire un consenso popolare lusinghiero: anzi, se persino il PDL avesse preso più voti di una ipotetica “lista Monti”, la bocciatura per le politiche dell’esecutivo attualmente dimissionario avrebbero compromesso ogni possibilità di riproporle. Pertanto il premier ha deciso di giocare, ancora una volta, in modo “sporco”: ha lanciato un programma e ha invitato i partiti disposti a sostenerlo a proporgli eventuali incarichi, ovviamente dopo le elezioni.
Non c’è, in questo, alcun cambio di metodo significativo, alcuna valorizzazione dei temi concreti a scapito degli schieramenti. Viene solo indicata alle forze politiche la strada da seguire. A UDC e PD è proposta una coalizione post elettorale a sostegno dell’agenda dell’uomo della Bocconi; il nemico da contrastare è individuato in tutte quelle forze populiste, estremiste o come volete chiamarle, che vanno da Berlusconi a Grillo; ed infine si lasciano poche alternative al partito di Vendola, che teoricamente appoggia Bersani, ma con qualche mal di pancia.
Per Monti e il suo programma, allo stato attuale, non era possibile una soluzione migliore. La legge elettorale non è stata riformata a causa delle paure contrapposte delle varie forze politiche: pertanto il rischio che chi vinca le elezioni si ritrovi ostaggio delle opposizioni al Senato (grossomodo come accadde a Prodi nel 2006) è concreto. A questo punto, se farsi eleggere direttamente sarebbe stato certo impossibile, non è detto che lo sia altrettanto il tentativo di acquisire alla propria causa forze politiche che potrebbero avere un alto consenso. Al contrario, avendo già il pieno sostegno dell’UDC, ottenere l’appoggio del PD è un obiettivo ampiamente alla portata.
A sinistra si sono sempre fatti fregare da Berlusconi: possono farsi fregare anche da Monti, dato che le ragioni della realpolitik esercitano un fascino perverso su quei dirigenti che anche oggi si fregano le mani all’idea di farsi belli grazie alla figura competente del professore. Poi c’è il disagio dei piddini ex-democristiani, che smaniano per staccarsi dai sindacati e avvicinarsi a Casini; c’è un’eredità storica fortemente pro-euro che risale a Romano Prodi; ed infine c’è il problema di come porsi con l’elettorato di sinistra, che aspetta speranzoso politiche meno austere e a cui non bisogna togliere queste illusioni a due mesi dal voto (ma per il quale occorre anche avere una scusa pronta, quando si ritornerà di gran carriera all’agenda Monti).
E’ in questo contesto che va valutato il programma del professore “Cambiare l’Italia, riformare l’Europa”. Che non è solo “molto generico”, utile per “smarcarsi da riforme che inevitabilmente scontentano qualcuno” e “per non impegnarsi e lasciare poi la strada ad accordi dopo il voto”, come lo ha definito giustamente Tito Boeri. Soprattutto è stato scritto per piacere a sinistra. Ecco perché il documento contiene frasi come: “di per sé l’Europa non limita i modi in cui si possono perseguire fini sociali e di equità, ma impedisce di finanziarli con una illimitata creazione di debito”. Ecco perché richiama, a livello europeo, una “maggiore solidarietà finanziaria attraverso forme di condivisione del rischio” e “maggiore attenzione alla inclusione sociale”. Ecco perché si parla di abbassamento delle tasse (sempre che si mantengano i conti in ordine), di possibili investimenti attraverso un miglior utilizzo dei fondi europei, di utilità del servizio sanitario nazionale, di provvedimenti a favore di esodati, giovani, over 55, donne, ambiente, internet, istruzione, ricerca, e ammortizzatori sociali. Ecco perché si avanza persino l’ipotesi di uno studio su “come creare un reddito di sostentamento minimo”, anche se “condizionato alla partecipazione a misure di formazione e di inserimento professionale”.
In questo modo gli slogan del PD ottengono l’avvallo esplicito di Monti e, quindi, immediata credibilità: l’elettorato di sinistra avrà ottimi motivi per credere che sia possibile coniugare euro, rigore, crescita ed equità; e dopo le elezioni non sarà un problema – magari – conferire al premier dimissionario il ministero dell’economia. Non è detto che questo basti per raggiungere l’obiettivo, che è sempre quello di dare abbastanza seggi al Senato (cioè governabilità) ad una maggioranza europeista, disposta quindi a fare sacrifici nel nome della moneta unica: ma ci sono buone possibilità. Il problema è cosa succederà, dopo le elezioni, quando ci si dovrà confrontare con la realtà.
Andrea Giannini
Commento su “Il programma di Mario Monti per le elezioni politiche del 2013”