Terra dei grandi film western, gli inseguimenti e il brivido sono ancora all'ordine del giorno... Lo spettacolo naturale del Monument Valley e l'imponenza del canyon scavato dal Colorado
Fermo in una stazione di servizio lungo la statale 160 che taglia l’Arizona ho preso il portafogli e una banconota da cinquanta dollari raffigurante il presidente Grant che ha riempito il serbatoio della benzina. Ho posato la pompa notando la scritta sul display recante “Dio benedica i nostri soldati in Iraq” e sono entrato nello shop per bere e rinfrescarmi.
Per ripararmi dal sole ho comprato un classico cappello da cowboy scoprendo che la sua efficacia è un dato di fatto e non è solo uno status symbol americano. Dopo aver bevuto un integratore di sali, siamo ripartiti entrando ufficialmente in Arizona attraversando la polverosa highway tra file di cactus e carcasse di animali morti mentre i condor osservano interessati.
La radio passava “Have you ever seen the rain” dei Creedence, se la pioggia citata da John Fogerty nel 1971 era una metafora delle bombe in Vietnam, la mia voglia di acqua dal cielo non lo era. Il terreno secco e arido a tinte rosse si estendeva all’infinito, una strada sterrata iniziava senza dare sbocchi visibili ma la curiosità era grande e senza freccia ho svoltato improvvisamente.
Sterpaglie, massi e crepe mettevano in serio pericolo la coppa dell’olio e le gomme dell’auto e abbiamo deciso di proseguire a piedi. Dopo alcuni passi ho visto strisciare quello che sembrava un serpente qualche metro più avanti, mi sono fermato di colpo per poi risalire in macchina velocemente. Prima di chiudere la portiera ho visto arrivare verso di me un cagnolino sporco, pulcioso e spelacchiato ma simpatico, si è avvicinato scodinzolando e gli ho dato qualche patatina da mangiare. Il cuore mi diceva di portarlo con me, il cervello mi ha fatto chiudere la portiera con non pochi rimorsi e sensi di colpa.
Dopo centinaia di chilometri di deserto ci siamo fermati presso un Motel di un piccolissimo paese tagliato in due la statale, probabilmente neanche menzionato dalle mappe, tuttavia utile per riposare. Era ormai sera e la fame bussava alle nostre porte, il locale di fronte era chiuso e abbiamo messo in moto la macchina, dopo qualche chilometro troviamo un market aperto e vi posteggiamo davanti. Ho preso un panino e qualche sacchetto di schifezze da sgranocchiare, curiosando tra gli scaffali, ho notato quattro strani personaggi dal tipico aspetto sudamericano che mi osservavano. Non sembrava avessero buone intenzioni, ho fatto un cenno al mio compagno di viaggio e siamo saliti in macchina – casualmente parcheggiata di fianco alla loro – in quello stesso momento sono usciti anche i tizi loschi. Ho messo la prima e siamo partiti guardando dallo specchietto retrovisore, erano sulla nostra scia, il conducente aveva una faccia cattiva con due baffoni alla “Machete“, speravo fosse solo una coincidenza, ma quando ha iniziato a lampeggiare, una vampata di calore pervase il mio corpo.
Non avevo la minima intenzione di fermarmi, ma non acceleravo neanche, speravo di arrivare in motel il prima possibile anche se, isolato com’era, non mi sembrava il posto più sicuro… ma quantomeno era un riferimento.
Il destino ha voluto che in quel momento passasse un enorme camion, ho deciso di rallentare per farlo passare, per poi accelerare improvvisamente anticipandolo all’incrocio rischiando un frontale ma lasciando gli inseguitori bloccati. Siamo arrivati in Motel a una velocità supersonica parcheggiando la macchina in modo che non si vedesse dalla strada e ci siamo chiusi dentro la camera passando una notte tranquilla seppur con qualche pensiero.
Il mattino seguente il cielo era plumbeo e una brezza calda era il preludio dell’arrivo dell’afa, usciti dal motel per fare colazione abbiamo incontrato lo sceriffo che si aggirava circospetto nei pressi di una camera, senza chiedere lumi su cosa fosse successo per non incorrere in spiacevoli domande abbiamo attraversato la strada e ci siamo seduti nel locale di fronte.
Teschi appesi e animali impagliati uniti a juke box e poltrone di pelle rossa creavano un mix tra saloon western e locale alla Arnold’s di Happy Days, ci hanno servito pancake e uova strapazzate, una tazza di caffè latte e una spremuta d’arancia, assistendo comodamente all’arrivo di un elicottero che è atterrato di fronte al nostro motel creando una grossa nube di polvere. Dalla camera a fianco alla nostra è uscito un uomo in fin di vita, non sappiamo cosa sia accaduto, probabilmente un malore, ma essendo in America è bello pensare a qualcosa in stile cinematografico.
Osservando distrattamente il paesaggio correre fuori dal finestrino mi sono tornati alla mente i film western con cui sono cresciuto e che guardavo con mio padre, uno in particolare è “il mio nome è nessuno” di Sergio Leone, la cui colonna sonora riecheggiava nella mia testa come il rumore delle onde nelle conchiglie.
In Arizona esistono molte riserve indiane che vivono di agricoltura, pastorizia e della vendita di monili e manufatti nei mercatini e nei banchetti lungo le statali. Ho acquistato alcuni ricordi con la carta di credito strisciata su un dubbio macchinario nel bel mezzo del deserto e abbiamo proseguito fino ad arrivare al parco naturale del Grand Canyon, una spettacolare gola naturale scavata dal fiume Colorado nel corso dei millenni.
Decidiamo di scendere il giorno dopo lungo il canyon perché gli accessi nel pomeriggio sono chiusi a causa dei pericoli che si possono affrontare nella fase di rientro quando il sole cala dietro le colline. Troviamo da dormire in un rustico motel non lontano dall’accesso al sentiero e ceniamo in una steak house dove ho gustato una delle carni più buone della mia vita in compagnia di turisti da ogni parte del mondo.
Il cielo era limpido e la serata fresca, le stelle splendevano come brillanti sparpagliati e la luna si nascondeva vergognosa dietro la collina ma tanto bastava per illuminare il paesaggio e cancellare i pensieri.
La notte era passata tranquilla, dopo colazione siamo usciti e ci siamo imbattuti in alcuni cervi che pascolavano nei pressi della nostra macchina, vicino a loro il ranger cercava di allontanarli, la loro mole li rendeva pericolosi e abbiamo dovuto attendere qualche minuto. Il sentiero per scendere il canyon iniziava con una stradina sterrata di terra rossa, si poteva scegliere se usare il mulo oppure camminare a proprio rischio e pericolo.
Nonostante possa sembrare una passeggiata come un’altra, la strada è ricca di insidie e molte persone sono morte a causa di incidenti durante semplici gite, chi per malori o cadute accidentali, chi per essere stati sorpresi da un temporale o addirittura annegati nel fiume Colorado. Iniziata la discesa tra scoiattoli giganti e avvoltoi dalla testa rossa che volavano disegnando traiettorie circolari, abbiamo incominciato a sentire dei tuoni a cui inizialmente non abbiamo dato molto peso a causa del cielo limpido.
Tra una fotografia e l’altra, incontrando gruppi di persone sui muli ed escursionisti meglio organizzati di noi con racchette e scarponcini da montagna, siamo arrivati a metà percorso quando il cielo si copre di nuvole grigie e una pioggia copiosa inizia a scendere fino a rendere la strada un fiume in piena costringendoci a correre in cerca di un riparo. Ormai completamente bagnati, abbiamo scorto una capanna di legno con altri due ragazzi che avevano trovato riparo e ci siamo uniti, l’acqua era incessante e abbiamo atteso che terminasse per riprendere il cammino. Verso sera ci siamo fermati a osservare il tramonto, affascinati da quello che gli architetti di madre natura avevano creato con la pazienza e la precisione delle loro splendide e uniche opere.
Il viaggio prosegue la mattina seguente, superato il parco naturale, ci siamo rinfrescati nelle acque di un piccolo affluente del Colorado, dove sembrava possibile la balneazione. I fondali sabbiosi facevano salire piccole scaglie che il riflesso del sole rendevano dorate, forse era solo suggestione ma quelli sono i luoghi della corsa dell’oro che a metà del 1800 divenne una vera e propria febbre per la ricerca del pregiato metallo.
Le nuotate e i tuffi nelle acque dolci ci avevano fatto venire appetito, abbiamo trovato ristoro presso un locale lungo la statale frequentata da harleysti e qualche camionista di passaggio. Ci ha accolto “Good vibration” dei Beach Boys che suonava nel Juke box e lo sguardo dei clienti incuriositi, stavano intorno a un tavolo con un cartellone di fotografie in ricordo di un ragazzo da poco scomparso, un’usanza tipicamente americana che permette di omaggiare il defunto con un brindisi tra amici e parenti più stretti.
Seduti nella veranda a mangiare un hamburger e bere birra abbiamo visto avvicinarsi un colibrì, con le sue piccole ali si librava alla ricerca del nettare dei fiori restando quasi immobile a mezz’aria. Abbiamo partecipato all’aperitivo, conosciuto i parenti del defunto e bevuto una birra in loro onore, fatte le condoglianze siamo saliti in macchina per terminare gli ultimi chilometri di Arizona, caratterizzati da grandi pianure selvagge e animali in libertà.
In queste distese di terra rossa si possono trovare camper e roulotte che vivono stabilmente parcheggiati nonostante le insidie, coyote e puma sono sempre alla ricerca di carne e soprattutto nelle ore notturne è facile incontrarli. Stavamo procedendo spediti perché il pomeriggio volgeva al termine e il sole mutava in arancione, non sapevo ancora che a breve avrei vissuto una delle emozioni più forti della mia vita entrando nel grande pianoro della Monument Valley.
Un cavallo correva libero sotto le enormi rocce erose dal tempo, testimoni di un passato ricco di acqua che ha levigato con cura il paesaggio diventato famoso grazie ai numerosi film western di cui è stato protagonista.
Una lacrima condì il terreno arido sotto i miei piedi, gli ormai deboli raggi del sole illuminavano dolcemente facendo risaltare le tonalità di rosso sotto un cielo azzurro e terso, non restava che fermare la macchina e fotografare. Siamo saliti sul John Ford’s point, da lì potevamo ammirare tutta la valle fino a quando il sole non ci ha abbandonato, lasciando il posto a una coperta di stelle.
Siamo dovuti ripartire alla ricerca di un posto per dormire, lasciando con dispiacere quelle spettacolari immagini che resteranno impresse nella mia mente, meglio di qualsiasi altra fotografia. Qualche chilometro dopo abbiamo superato il confine che ci ha permesso di entrare nello stato dello Utah, ma questo è un’altra avventura…
Diego Arbore