Terzo Valico, cimitero della Biacca. Arriva il ricorso al Tar dei cittadini per la chiusura del cantiere e lo stop ai lavori per la realizzazione di due piazzali dell'estensione di ben 3000 e 1000 metri quadrati che permetteranno l'abbancamento in loco di oltre 70 mila metri cubi di materiali di scavo
La settimana scorsa l’avvocato Daniele Granara, tutore legale degli abitanti di San Biagio (Val Polcevera), ha ufficialmente depositato il ricorso al Tar contro il cantiere del Terzo Valico di Bolzaneto, nelle immediate vicinanze del cimitero comunale della Biacca, chiedendo l’annullamento – previa sospensione – del permesso di costruire (n. 364 del 10 luglio 2013) inerente “…la realizzazione di piazzali per lo stoccaggio di materiali semilavorati ed attrezzature nell’ambito dei lavori del terzo valico dei Giovi nell’area di cantiere CLB 4 – Bolzaneto” e del provvedimento (prot. n. 223395 in data 10/07/2013) avente ad oggetto l’autorizzazione ad effettuare movimenti di terra in zona soggetta a vincolo idrogeologico, entrambi rilasciati dal Comune di Genova.
Il ricorso innanzitutto sottolinea la violazione e la falsa applicazione dell’art. 338 del Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 recante “Testo unico delle leggi sanitarie”. Ai sensi dell’art. 338 del R.D. 1265/1934 “…è vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale… Per dare esecuzione ad un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igenico-sanitarie, il Consiglio comunale può consentire, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell’area, autorizzando l’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici…”.
“Alla luce della disciplina sopra riportata – si legge nel ricorso presentato dall’avvocato Granara – la realizzazione di opere (da intendersi, in generale, quali trasformazioni del territorio) a distanza posta a meno di 200 metri dalla cinta cimiteriale, in assenza di espressa deroga da parte del Consiglio comunale, da assumersi previo parere favorevole dell’ASL competente, deve ritenersi vietata ex lege. Contrariamente, nel caso di specie, nessuna procedura finalizzata alla riduzione della fascia di rispetto cimiteriale è mai stata attivata, né tantomeno portata a termine dal Comune di Genova. E ciò, nonostante l’opera progettata e autorizzata si collochi ad una distanza ben inferiore ai 200 metri prescritti normativamente, giungendo addirittura a lambire la cinta cimiteriale”.
Secondo i ricorrenti “Nessuna indicazione circa l’avvenuta procedura in deroga è contenuta nel titolo edilizio rilasciato che, occorre rilevarlo, prevede opere definite dallo stesso Comune come nuove costruzioni. Peraltro, non solo non risulta alcuna delibera del Consiglio comunale, ma nessuna riduzione nella fattispecie è possibile, essendo l’opera in oggetto proprio a ridosso del cimitero”.
L’intervento prevede la “modellazione del versante” (di fatto uno sbancamento del versante collinare ed il riversamento del materiale scavato nell’area posta “a valle”) finalizzata alla realizzazione di due piazzali dell’estensione di ben 3000 e 1000 metri quadrati che permetteranno l’abbancamento in loco di oltre 70 mila metri cubi di materiali di risulta, sopra ai quali saranno realizzate strutture e manufatti prefabbricati, oltre alle opere di incanalamento e smaltimento delle acque superficiali connesse alla modifica del versante.
I ricorrenti al Tar precisano che le opere in questione “saranno destinate a rimanere in loco per un periodo indefinito e comunque di lunga durata (l’intero periodo di durata del cantiere per la realizzazione del Terzo Valico). Del resto, l’attività di cantiere e la movimentazione del terreno comporterà la presenza, nell’area dei lavori, di personale, con conseguente aumento, per tutto il periodo di mantenimento in loco dell’opera, del carico antropico dell’area. Esattamente ciò che il vincolo mira ad evitare”.
La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “il divieto è riferibile ad ogni tipo di fabbricato o costruzione rendendo del tutto inedificabile l’area colpita dal divieto medesimo” (Cons. di Stato, sez. II, n. 3031/1996, Cons. Stato 22 novembre 2013, n. 5544 Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 1971, n. 606). Da quanto sopra emerge “la portata assoluta ed inderogabile del vincolo cimiteriale destinato ad impedire ogni trasformazione del territorio che si ritiene per legge comportare pericolo alla salubrità dei luoghi”.
Le opere autorizzate, per rilevanza e caratteristiche “comporteranno una trasformazione permanente del territorio – si legge nel ricorso dell’avvocato Granara – Non solo. La temporaneità delle opere è smentita dallo stesso permesso di costruire impugnato che non prevede affatto la sistemazione dell’area nelle attuali condizioni al termine dei lavori”. Nel permesso di costruire, infatti, si precisa che “l’area dovrà essere sistemata secondo un apposito progetto da sottoporsi all’approvazione del Comune prima della conclusione dei lavori”.
Dunque, secondo i ricorrenti “Il progetto approvato non prevede in alcun modo una trasformazione del territorio con conseguente ripristino al termine dei lavori, bensì una trasformazione permanente dei luoghi… ed in quanto tale deve ritenersi assolutamente vietata”.
L’altra principale contestazione sollevata nel ricorso riguarda la violazione e la falsa applicazione della L.R. 22 gennaio 1999, n. 4. Come ricorda il ricorso “L’area oggetto dell’intervento è assoggettata, ai sensi della sopracitata L.R. n. 4/1999, a vincolo idrogeologico”.
“L’autorizzazione alla movimentazione di terreno rilasciata dall’Ufficio geologico del Comune di Genova reca, tuttavia, una serie di prescrizioni connesse all’intervento, ad ogni evidenza contrastanti con l’intervento medesimo – scrive l’avvocato Granara – In particolare viene richiesto un piano di monitoraggio per la stabilità del versante e delle falde da proseguirsi anche oltre la fine dei lavori (circostanza che conferma i dubbi circa la stabilità del fronte e la realizzabilità dell’intervento), la necessità di un adeguamento della relazione geologica e geotecnica, la limitazione al minimo possibile delle movimentazioni di terra (circostanza evidentemente impossibile considerata l’entità dell’opera che prevede l’abbancamento di 70 mila metri cubi di terra), la realizzazione di tutti i possibili accorgimenti per garantire la stabilità del versante (circostanza che fa presumere che la stessa Amministrazione comunale dubiti della realizzabilità, in piena sicurezza, dell’intervento)”.
Ma non è tutto. “Nell’autorizzazione viene prevista la realizzazione di prove geotecniche in cantiere per verificare la qualità geotecnica dei materiali abbancati – si legge ancora nel ricorso – Detta circostanza conferma le perplessità emerse e fatte proprie da molti residenti della zona in merito all’incertezza (manifestata dalla stessa Amministrazione comunale) circa le tipologie di materiali che verranno abbancati nell’area, con conseguente potenziale rischio per i cittadini della zona”.
Insomma “Una tale serie di prescrizioni (ben 14), di tale portata e rilevanza, conferma l’assoluta irrealizzabilità dell’intervento […] che comporta grave pericolo per la stabilità dell’intero versante – conclude l’avvocato Granara – I ricorrenti che abitano nella zona subiscono grave danno dall’esecuzione di tali opere, venendo pregiudicata la loro vita dal continuo enorme movimento di mezzi e materiali, con conseguente produzione di intollerabile rumore, polveri ed emissioni di qualsiasi tipo… Si chiede, previa sospensione cautelare, l’annullamento dei provvedimenti impugnati e la condanna del Comune di Genova e della società contro-interessata (“Cociv”, Consorzio collegamenti integrati veloci) al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti, con la vittoria delle spese, competenze ed onorari di giudizio”.
Matteo Quadrone