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Una ventina di persone da ventitre mesi sono fuori casa a proprie spese. Il civico 1 di via Bocciardo venne sgomberato il 4 dicembre 2011 per ragioni di sicurezza dopo i danni strutturali causati da un cantiere per la realizzazione di box interrati
Sei famiglie da due anni fuori casa a proprie spese, evacuate dalle abitazioni per ragioni di sicurezza. Era il 4 dicembre 2011 quando per il civico 1 di via Bocciardo, nel quartiere di Borgoratti, l’ufficio Pubblica Incolumità ordinava lo sgombero per possibili lesioni strutturali alle fondamenta del palazzo causate dai lavori per la realizzazione di un centinaio di parcheggi interrati sulla sottostante via Tanini.
Fu uno smottamento interno all’area di cantiere ad accendere la miccia, quando già da parecchi mesi gli abitanti manifestavano forti preoccupazioni per fessure e crepe nei muri e sulla strada in seguito ai lavori di scavo. Un disagio temporaneo, si disse ai tempi; il rientro a casa previsto alla conclusione delle opere di consolidamento e messa in sicurezza. Sono trascorsi ventitre mesi.
L’area è di proprietà privata e i lavori affidati ad una ditta esecutrice, ovviamente con il permesso a costruire rilasciato dal Comune di Genova con tanto di parere favorevole della Provincia (indispensabile in considerazione del vincolo idrogeologico che interessa la zona). Le autorizzazioni sono state ritirate dopo il tragico evento del dicembre 2011 e, nel frattempo, una sentenza del Tribunale Civile di Genova ha obbligato la società B & C Group e la ditta esecutrice SCA a eseguire tutte le opere necessarie a garantire la sicurezza dell’edificio condominiale e dell’area di cantiere (in parallelo si apre anche un procedimento in sede penale dopo una formale denuncia di querela, qui l’inchiesta di Era Superba del dicembre 2012 che ricostruisce nel dettaglio la situazione).
Ciò nonostante da quel momento non accade più nulla o quasi. L’azienda non ha i soldi per effettuare gli interventi richiesti, gli abitanti rimangono fuori casa, sempre a loro spese (trovandosi addirittura nella surreale situazione di dover pagare per prelevare dalle abitazioni gli effetti personali), e tutto sembra destinato all’immobilismo. Almeno sino al maggio scorso, quando il cantiere riapre facendo finalmente tirare un sospiro di sollievo agli abitanti. Ma è solo un’illusione: «Avevamo ricevuto rassicurazioni dalla proprietà – racconta Enrico Ciani, inquilino e amministratore del condominio – sul fatto che a maggio sarebbero partiti i lavori di messa in sicurezza e che entro il 30 settembre avremmo avuto il via libera per il ritorno a casa. Con qualche giorno di ritardo il cantiere ha riaperto, ma dopo neanche un mese i lavori si sono bloccati e da quel giorno tutto è tornato a tacere».
«Non sappiamo cosa è stato fatto in quelle settimane di lavori, sicuramente ben poco. La proprietà sostiene di non avere i soldi per proseguire con l’intervento necessario alla messa in sicurezza. Intanto continuano a verificarsi movimenti del terreno sotto al nostro palazzo, certamente limitati rispetto al passato, ma che non fanno altro che peggiorare una situazione già di per sé molto pericolosa. E purtroppo non solo per il civico 1, ma per tutta la zona circostante».
In tutti questi mesi gli inquilini hanno pagato regolarmente tasse e utenze, oggi si muovono per chiudere definitivamente gli impianti di acqua e gas. Un gesto che ha il sapore della rassegnazione «non è esclusivamente un discorso economico, ma anche una questione di sicurezza», precisa Ciani.
«Purtroppo stiamo prendendo coscienza del peggio, ovvero iniziamo a pensare che non faremo mai più ritorno nelle nostre case e quelle che fino ad oggi sono state “sistemazioni di fortuna” dovranno inevitabilmente diventare per noi soluzioni definitive. Non abbiamo intenzione di mollare la presa, ma non vediamo nulla a cui aggrapparci, all’orizzonte non ci sono più date o scadenze da attendere. La situazione è ferma e non ci sono evoluzioni in vista. Tutti stanno a guardare lo scempio che si compie, nessuno ci dà una mano. Abbiamo richiesto un incontro al sindaco, stiamo attendendo una risposta».
Gabriele Serpe