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Nella provincia delle Fiandre Occidentali, in un fitto dedalo di case e canali, ecco la città belga il cui centro storico è patrimonio Unesco. Una giornata indimenticabile, conclusa in un bosco in piena notte sotto un tappeto di stelle...
Quel giorno a Bruges iniziava l’autunno, il cielo color piombo e una nebbia avvolgente ovattavano l’aria ancora fredda del mattino. Le finestre lentamente si aprivano come occhi stropicciati, l’edera sui muri brillava bagnata dalla brina che lentamente si scioglieva, un manto di foglie giallastre donava colore alle torbide acque dei canali dove cigni e papere dormivano vicini per scaldarsi dal freddo della notte.
Il profumo dei croissant caldi sussurrava golose tentazioni ai passanti, la ragazza al banco indossava un’elegante camicia a pois e sorrideva ai clienti che facevano la fila come affamate formiche. I campanelli delle biciclette diventavano più frequenti intanto che la vita lentamente riprendeva, la nebbia saliva lasciando il posto a macchie blu e timidi raggi di sole, dalla strada salivano le tipiche fragranze autunnali rinchiuse nel cassetto dell’estate.
Sedevo ancora assonnato al tavolino di un bar, osservavo una famiglia ebraica accompagnare loro figlio a scuola, ho subito pensato ai miei genitori, i costumi cambiano ma le abitudini sono le stesse per ogni cultura. Quando fui pronto a scattare erano ancora sufficientemente vicini ma voltati di spalle, i sanpietrini in porfido e i mattoni rossi sui muri donavano un aspetto antico a quello scorcio di strada, a volte la fotografia può regalare inaspettati tuffi nel passato.
Il mio occhio era ancora dentro il mirino quando la cameriera mi ha servito il caffè, pose la tazzina e lo scontrino sul piatto restando ferma a guardare ciò che stavo facendo. Il suo interesse era attirato dalla reflex, mi ha chiesto cosa avevo immortalato e ha voluto vedere alcuni scatti dei giorni precedenti. Si chiamava Michelle, lavorava come cameriera per mantenere i suoi studi e nel tempo libero amava fotografare case disabitate e luoghi abbandonati, tutti temi in contrapposizione con il suo carattere aperto e solare. La sera stessa sarebbe andata con altre appassionati del genere a immortalare un vecchio mulino dimenticato nei campi, la luna piena avrebbe reso ancora più affascinante il paesaggio. Quando mi ha chiesto di partecipare all’evento non ho dubitato su cosa fare e ci siamo dati appuntamento ai margini della città un’ora dopo il crepuscolo.
Senza troppi convenevoli ci siamo scambiati un saluto, lei sorrise e prese le tazzine vuote dal tavolo, io sono salito sulla bicicletta alla scoperta di Bruges. Ho visitato il vecchio mercato e la torre civica, attraversato ponti, canali e parchi, ma la vita semplice in un luogo così elegante era la cosa che attirava maggiormente la mia attenzione.
L’aria si era intiepidita e il sole aveva saturato ogni colore, signore eleganti passeggiavano lungo i canali portando un cappello d’altri tempi con un poncho argentino o spolverini alla moda, tutte accompagnate da piccoli cagnolini altezzosi. Il pomeriggio era passato velocemente e avevo deciso di rientrare prima di cena per riposare in previsione della nottata fotografica, il giorno dopo sarei partito per Anversa di buon mattino e il treno non mi avrebbe aspettato.
Il proprietario di casa stava preparando stinco con patate, avevo l’acquolina in bocca e un’espressione così affamata da ricevere un invito per cena. Michelle mi aspettava, non avrei mai voluto fare tardi e una volta finito di mangiare ho salutato calorosamente tutti i commensali e sono salito in sella della bicicletta con lo zaino in spalla. Ho percorso il viale alberato che portava in città, le foglie cadute rendevano scivolosa la strada che aveva assunto un colore blu cobalto intervallato dalle luci gialle dei lampioni.
Ai margini della città, superata la superstrada, c’era una vecchia e non identificata costruzione di pietra, Michelle era seduta su un muretto, indossava un cappotto scuro con il bavero alzato e degli stivali bassi con la suola di gomma, i suoi capelli rossicci mossi da una leggera brezza, sembravano danzare con le foglie degli alberi. La luna era arrivata da poco, accompagnata da sparute e frettolose stelle, aveva un’espressione più malinconica del solito e la sua luce sembrava voler mostrare quel paesaggio magico e fiabesco. Michelle prese una cartina per girare una sigaretta poi l’accese, il fuoco dell’accendino illuminava le sue lentiggini poste sopra le guance rosse, sembrava una bambolina di pezza.
Dopo un breve discorso su come fotografare il cielo notturno siamo saliti sulle biciclette percorrendo una strada sterrata apparentemente senza fine. Abbiamo attraversato diversi campi e per un breve tratto un fitto bosco illuminato solo dalla dinamo sul manubrio, finito il sentiero il vecchio mulino sembrava disegnato sulla parete del cielo, sotto di lui delle luci si muovevano adagio, erano i suoi amici fotografi che si spostavano nella penombra. Sono stato accolto con il sorriso, alcuni avevano già posizionato il cavalletto, altri fumavano e si rilassavano prima di iniziare i primi scatti. Erano tutte persone adulte, il più grande superava i sessanta ma con l’animo giovane di chi si fa trasportare in un bosco di notte da una passione coltivata negli anni.
I versi degli uccelli notturni e alcuni latrati giungevano a noi da indefinite direzioni, ombre veloci e inquietanti fruscii ci tenevano compagnia, tuttavia nulla mi spaventava. Non avevo l’attrezzatura necessaria per scattare foto ad alta qualità, le mie erano sgranate e prive di profondità ma nonostante questo il risultato è stato soddisfacente. Gli altri intanto producevano capolavori, miliardi di stelle immortalate dietro la sagoma scura del mulino, in alcune di esse la via lattea sembrava una pennellata di un pittore fiammingo, la luna intanto osservava tutto, la sua espressione adesso sembrava divertita. Mentre Michelle guardava dentro il mirino raccontava la sua vita, le sue aspettative e i sogni, voleva una casa a Londra, una famiglia e lavorare come architetto coltivando l’hobby della la fotografia.
La notte era diventata tenebrosa e il mattino era alle porte, decisi di rientrare per dormire poche ore, poi avrei avuto tutto il tempo di riposare in treno. Ho salutato i ragazzi e abbracciato Michelle, ho chiesto informazioni sulla strada del ritorno e mi sono avviato entrando nel bosco ancora buio. La strada si vedeva appena, la mia sola luce non illuminava abbastanza, avevo perso il sentiero e ogni pensiero mi rendeva inquieto, avevo paura di incontrare animali, malintenzionati e perfino licantropi. Quando le prime luci dell’alba si sfumavano all’orizzonte, mi sono sentito più sereno, la strada ricordava la mattonata d’oro del regno di Oz, così sono volato verso casa, avevo il tempo contato, il treno partiva due ore dopo.
Dopo colazione ho preso i bagagli e sono corso in stazione, nel tragitto pensavo a Michelle, se l’avrei rivista e che ricordo le avevo lasciato. Sono salito pochi secondi prima del fischio del capotreno, sono entrato nello scompartimento e mi sono affacciato al finestrino per vedere Bruges un’ultima volta. Le persone si muovevano in massa per la stazione con moto perpetuo, solo una era ferma, teneva una macchina fotografica in mano, era Michelle che mi salutava nel modo più bello, scattando un’ultima fotografia.
Diego Arbore