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Campagna elettorale: lo scenario politico a due mesi dalle urne

Compaiono in città i primi manifesti, mentre nascono nuovi movimenti e si intensificano le frecciate fra i leader. Al di là delle dichiarazioni di facciata, il vero intento di Monti è fare da stampella al futuro governo Bersani


4 Gennaio 2013Rubriche > "Polis" Critica Politica

Contrariamente a quello che avevo scritto la settimana scorsa (poche ore prima che l’ormai ex-premier facesse la sua conferenza stampa al Senato), Monti si è più o meno esplicitamente candidato: di sicuro, se non proprio la faccia, almeno ci ha già messo la fantomatica “agenda”, che è poi quello che per lui è più importante. Eppure cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia.

Vediamo solo di fare ordine nel ragionamento. Innanzitutto bisogna considerare che lo scenario politico, come era logico attendersi, cambia ad una velocità impressionante: insieme a Monti, nella mischia si sono buttati anche il pubblico ministero Ingroia e il sindaco di Napoli De Magistris, con un nuovo “Movimento Arancione”; poi ci sono i transfughi del PDL, il trio La Russa-Crosetto-Meloni, con il loro “Fratelli d’Italia”, mentre il procuratore nazionale antimafia Grasso si è candidato con il PD; infine il giornalista Giannino è stato allontanato dai microfoni della radio di Confindustria, perché promotore in solitaria di un nuovo movimento liberale anti-tasse: “Fare”.

E’ ovvio che ad ogni cambiamento e ad ogni novità c’è un piccolo recupero dell’astensione, un riposizionarsi dell’elettorato nei sondaggi e quindi un ripensamento delle strategie elettorali. Tuttavia nel far propendere Monti, alla fine, per la “salita in campo”, come la chiama lui, sono stati probabilmente altri fattori. Sicuramente c’è stata la pressione dei sostenitori politici, dall’UDC di Casini a FLI di Fini, fino alla lista civica “Italia Futura” che fa capo a Montezemolo: tutte forze che, se prese da sole, si sarebbero ritrovate con un bassissimo potenziale di consenso; e pertanto, con questa legge elettorale, avrebbero rischiato seriamente di rimanere fuori dal Parlamento (come d’altra parte è già accaduto nel 2008, quando la Sinistra Arcobaleno, che comprendeva al suo interno storiche formazioni di ispirazione comunista, raggiunse appena il 3%).

Deve essere stata questa terribile prospettiva a spingere il Vaticano a promuovere l’operazione e poi a spendersi a favore dell’ex-premier. Ma nonostante la supposta “vocazione maggioritaria” del nuovo centro, non c’è dubbio che la coalizione non possa ambire nemmeno ad avvicinarsi  da lontano al PD, che guida sicuro i sondaggi e che con ogni probabilità le urne incoroneranno primo partito: quindi, al di là delle dichiarazioni di facciata, il vero intento nella testa di Monti è quello di fare da stampella al futuro governo Bersani. Infatti, un eventuale Senato consegnato all’opposizione di Berlusconi e Grillo si trasformerebbe inevitabilmente in un vero e proprio Vietnam per l’ala europeista dei democratici, i quali, dovendo mantenere la rotta delle misure impopolari che l’UE ci ha già imposto e che sarà costretta a chiederci anche nel futuro, si troverebbero presto contro anche una parte non irrilevante del loro stesso partito, oltre a dover gestire i sicuri mal di pancia dell’alleato Vendola.

Tuttavia la strategia che alla fine si è deciso di percorrere, vale a dire capitalizzare il consenso elettorale per avere più peso politico nel dialogo parlamentare con la sinistra, non è esente da rischi e effetti collaterali. Certo, sarebbe stato più semplice per tutti non mettere i bastoni fra le ruote della trionfale cavalcata elettorale di Bersani: ma evidentemente gli impegni presi dal leader del PD con l’UE non sono stati giudicati una garanzia sufficiente. Chiaramente là in alto valutano che la politica del quinquennio a venire richiederà nuove misure di sacrificio per la gente, tali da scardinare profondamente il consenso di un governo di sinistra e rendere una crisi parlamentare più che probabile. Ma come era prevedibile, e come si sta puntualmente verificando, la campagna elettorale allarga le distanze fra le parti, inasprisce i toni e rende più difficile da far digerire agli elettori eventuali accordi post-voto: di sicuro il PD non potrà permettersi di appiattirsi per lungo tempo sull’agenda di Monti, cosa che viceversa avrebbe potuto fare più agevolmente, se il professore si fosse tenuto lontano dalla mischia.

D’altra parte la politica è fatta così. Difficilmente ci sono percorsi sicuri: ogni scelta offre dei vantaggi e comporta dei rischi. Questo spiega, se non altro, il tortuoso cammino di Monti, la sofferta decisione di buttarsi in politica, l’irritazione di Napolitano (che giustamente da un governo tecnico e istituzionale, non votato da nessuno, pretendeva come minimo che fosse e restasse al di sopra delle parti), la decisione di costituire una lista unica al Senato e l’inizio di questa campagna elettorale, con dichiarazioni volte contro l’ala critica della coalizione di sinistra, nel tentativo di lanciare qualche doverosa scaramuccia, ma senza esasperare Bersani oltre al limite. La sensazione, tuttavia è che il professore si stia muovendo sul filo del rasoio, e che, a destra o manca, prima poi la situazione rischi di sfuggirgli di mano.

 

Andrea Giannini


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