La regina Elisabetta è il capo dei 54 paesi aderenti all'organizzazione, ma il suo ruolo è puramente simbolico. Al di là degli obiettivi di libera circolazione, che cosa tiene uniti gli stati del Commonwealth?
Che cos’hanno in comune l’Australia, la Nuova Zelanda, il Canada, la Papua Nuova Guinea e – udite, udite – perfino le Bahamas?
L’inglese, d’accordo, in quanto lingua ufficiale di tutti questi paesi, in alcuni casi in solitaria e in altri in coabitazione. Fin qui, nulla di strano. Forse, allora, vi stupirete di più se vi dico che questi e altri undici paesi hanno in comune il capo dello stato, o meglio la regina: Elisabetta II del Regno Unito, residente a Londra e vicina a compiere gli ottantasette anni d’età e i sessantadue di regno.
Com’è successo che paesi sparsi per il mondo e situati a distanze in alcuni casi siderali l’uno dall’altro abbiano lo stesso sovrano, specialmente considerando che si tratta nella maggior parte di stati democratici con parlamenti eletti a suffragio universale? Si tratta della legacy, l’eredità, lasciata dall’Impero Britannico, il più vasto che l’umanità abbia mai conosciuto, quello sul quale il sole non tramontava mai, almeno fino al ventesimo secolo.
Gradualmente, i paesi che facevano parte del British Empire si sono però affrancati, in modo particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale: decisiva fu la spallata dell’India del Mahatma Gandhi, diventata indipendente nel 1947 dopo quasi duecento anni di dominio inglese.
Tuttavia, il cordone ombelicale con Londra non è stato tagliato del tutto, almeno nei cinquantaquattro paesi che hanno deciso di aderire al Commonwealth of Nations, sedici dei quali sono chiamati realms e hanno, appunto, la peculiarità di aver mantenuto come monarca Elisabetta II.
In realtà, la posizione di Elisabeth II nei sedici realms è puramente simbolica e non ha particolari scopi, se non quello di permettere alla regina – o ai suoi parenti, data l’età avanzata – di scorrazzare in giro per il mondo a passare in rassegna qualche truppa, tenere uno speech commemorativo, indossare un cappello nuovo e far suonare le note di God Save the Queen in qualche occasione ufficiale.
Oltre ai realms, il Commonwealth of Nations comprende altri trentotto stati membri, tra i quali l’India, il Pakistan, il Sudafrica e, ovviamente, il Regno Unito.
Per quanto all’interno del Commonwealth non viga la libera circolazione di lavoratori e merci come nell’UE, c’è chi spinge affinché l’organizzazione segua le orme del cammino intrapreso dal Vecchio Continente. Tra l’altro, i paesi del Commonwealth, per quanto distanti tra loro geograficamente, riconoscono generalmente di avere delle affinità culturali, mentre l’organizzazione nel suo complesso è nata con l’obiettivo di favorire la libertà individuale in ognuno degli stati membri e di contribuire alla pace a livello globale. Questo, ovviamente, in teoria e nelle belle intenzioni, così care al perbenismo delle culture anglosassoni.
La realtà è che ben tre dei membri più influenti dal punto di vista economico e demografico, Regno Unito, India e Pakistan, sono tuttora dotate di bombe atomiche, mentre solo il Sudafrica, nel 1991, ha deciso di disfarsi dell’arsenale nucleare che aveva costruito negli anni Settanta.
Se da un lato ci sono spinte per cercare di infittire i rapporti tra i paesi del Commonwealth, dall’altro alcuni di essi hanno a che fare con movimenti separatisti al proprio interno. E’ il caso del Canada, dove per un soffio nel 1995 il Québec, regione a maggioranza francese, non riuscì a rendersi indipendente con un referendum che venne perso dai nazionalisti québecois per meno di un punto percentuale.
L’occasione, tra l’altro, permise a una radio di Montréal, città più importante del Québec, di organizzare uno scherzo telefonico, proprio a Elisabetta II. Il presentatore, spacciandosi per l’allora Primo Ministro canadese Jean Chretien (qui il video), esortò la regina a schierarsi contro gli indipendentisti, incontrando il di lei consenso e causando, oltre a qualche risata del pubblico, un sensibile malcontento tra la popolazione canadese, visto che la monarca inglese non è tenuta a entrare nelle questioni riguardanti ciò che avviene all’interno dei singoli stati membri del Commonwealth.
Curioso che, prima di diventare il nome di un’organizzazione facente capo a un monarca, la parola Commonwealth – letteralmente “ricchezza comune” e calco del latino res publica – fosse stata usata per indicare la forma di governo dell’Inghilterra dal 1649 al 1660 guidata dal Lord Protettore, o dittatore, Oliver Cromwell, fino a oggi l’unico periodo repubblicano della storia di un’isola che senza re o regina non sembra saper stare… See you!
Daniele Canepa
semplice breve e conciso