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Crime Story, Teatro dell’Archivolto: in scena la nostra storia, quella che non vogliamo vedere

Sarà davvero questo quel che capita agli scrittori che scrivono di delitti e delinquenti? "Crime Story" di e con Massimo Carlotto è la preparazione di un romanzo sulle mafie. In scena luci basse e accompagnamento musicale, una storia che ci riguarda tutti, da vicino


1 Febbraio 2014Notizie

teatro-archivolto-2Prima nazionale a Genova, al teatro dell’Archivolto, per “Crime Story” il nuovo spettacolo in cui Massimo Carlotto si propone sia come autore che come attore in scena.
Prodotto da Sosia&Pistoia srl, e diretto da Giorgio Gallione, la storia parte dalla preparazione di un romanzo sulle mafie, richiesto dall’editore allo stesso Carlotto che, nella parte di sé stesso, vorrebbe raccontare di Toni, un pentito di cui ha letto nelle cronache e che ha colpito la sua immaginazione. Ma via via che il collaboratore di giustizia ascolta l’autore dar vita al romanzo, e voce al suo personaggio, sente mistificata la propria storia e le proprie ragioni ed irrompe sulla scena. A questo punto, mentre lo scrittore si rende conto che è ben difficile ridurlo al protagonista del libro che vorrebbe scrivere, Toni occupa sempre di più la scena raccontando non solo la sua, ma anche la nostra storia, quella che non vogliamo vedere anche se è tutti i giorni sotto i nostri occhi. Lo scrittore però insiste, vuole piegarlo all’immagine che lui ha, o vorrebbe dare, del crimine, vuole che il lettore non si senta battuto.
Ma il suo sforzo è tutt’altro che facile, il pentito vuole restare nel solco della realtà, ma della sua realtà, raccontando i fatti che ha vissuto dal suo punto di vista, con tutte le interazioni fra la società visibile ed il mondo chiuso, complesso e sfaccettato della nuova mafia. Ha il dono della memoria, vuole usare quella per salvarsi, ma nello stesso tempo difendere sia quello che è stato sia quello che è ora, un collaboratore.

Il palcoscenico è spoglio, il sassofonista è sullo sfondo, di fianco a neon luminosi che richiamano le sbarre di una prigione. Dietro, un uomo seduto dal volto coperto. La musica si alza, lo scrittore entra in scena con i suoi appunti, brandisce la penna ed inizia a raccontare. I dati che legge sul crimine sono veri, la storia che vorrebbe raccontare è verosimile, il pentito ci ricorda che tutto, tutto ha un’altra chiave di lettura, cambiando il punto di vista di chi racconta.

L’accompagnamento musicale, terzo protagonista in scena, si deve al bravissimo ed instancabile Maurizio Camardi, amico di Carlotto e da lui inserito come personaggio anche nella serie dell’Alligatore. Il pentito, Titino Carrara, ha grande presenza scenica ed appare risoluto nel volerci tutti coinvolti, tutti colpevoli.
Il protagonista, scrittore non nuovo ad incursioni teatrali (come sempre più spesso gli autori amano fare, vedi Carofiglio o Pennac) appare perfettamente a suo agio nei… propri panni, il regista Giorgio Gallione ha la mano leggera, riuscendo a consegnarci un racconto avvincente nonstante la fine (forse) sia nota ma anche una sorta di guida al noir d’autore. E la domanda spunta inevitabile: ma sarà davvero questo ciò che capita scrivendo di delitti e delinquenti?

Massimo Carlotto, 58 anni, di Padova, scrittore e sceneggiatore, ha lui stesso una biografia quanto mai “noir” suo malgrado.
All’età di 20 anni fu accusato dell’omicidio di una studentessa di Padova da lui trovata agonizzante in casa. Dopo una prima assoluzione fu condannato in appello a 18 anni, pena confermata in Cassazione mentre si trovava già latitante all’estero, prima in Francia e poi in Messico. Qui rimase per tre anni prima di essere arrestato e nuovamente incarcerato in Italia, dove si ammalò gravemente; in seguito ad una campagna internazionale per la sua liberazione ottenne nel 1993 la grazia dal Presidente Oscar Luigi Scalfaro dopo aver incassato una nuova condanna in seguito alla revisione del processo.
Il suo primo romanzo “Il fuggiasco“, uscito nel 95, diventato un film nel 2003, attinge proprio da questa difficile esperienza. Sempre del 95 è “La verità dell’Alligatore” dove appare per la prima volta il suo personaggio più famoso, Marco Buratti detto l’Alligatore, un detective privato senza licenza ed ex detenuto che lavora, si fa per dire, nella zona di Padova.
Ad oggi si può dire che Massimo Carlotto sia l’autore e non più ” il caso”. Ma non dimentica, nessuno dovrebbe farlo, tanto meno la sua generazione uscita dal ’77 può permettersi di farlo. La memoria è centrale nelle sue opere, e, come ha detto citando il suo romanzo di riferimento (Stefano Tassinari – Assalti al cielo):

Non siamo capaci di mandarvi assolti, per le ferite che (non) avete aperto nella nostra memoria, per le strade che (non) avete interrotto nella nostra coscienza e, soprattutto, per non averci chiesto un’altra sera da passare insieme” è sulla memoria che noi ci giochiamo tutto.

Giorgio Gallione, 61 anni, di Genova, è regista e direttore artistico del Teatro dell’ Archivolto dal 1986. Collabora con Stefano Benni, Altan, Pennac, Michele Serra e molti altri artisti di primissimo piano. Nel 2006 e 2007 ha curato per La7 “Crozza Italia”. Sono numerosissimi gli allestimenti teatrali che ha diretto: attualmente sono in cartellone nei teatri italiani, fra gli altri “(L)’invenzione della solitudine” con Giuseppe Battiston, e “La misteriosa scomparsa di W” con Ambra Angiolini protagonista.

Bruna Taravello


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1 commenti su “Crime Story, Teatro dell’Archivolto: in scena la nostra storia, quella che non vogliamo vedere”

  1. valeria denegri 1 Febbraio 2014 at 16:32

    Bellissimo articolo! Complimenti!

    Rispondere ↓

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