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Decrescita: per sostenere i consumi nel 2050 serviranno 30 pianeti

Una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito, è come un gigante che non è in grado di stare in equilibrio se non continuando a correre, ma così facendo schiaccia tutto ciò che trova sul suo percorso


20 Ottobre 2012Rubriche > Penna sagace Banny

Fiore della SperanzaIn un periodo dove è difficile trovare un’occupazione, ha senso pensare di ridurre i ritmi di lavoro invece di “lavorare di più per guadagnare di più”? Beh, diciamo che è molto difficile “scalare marcia” quando si è costretti a stare fermi o addirittura ad andare in retromarcia. Troppo grandi sono le diseguaglianze sociali presenti nella nostra società per fare si che il downshifting sia una scelta percorribile per molti. Occorrerebbe ripensare l’intero sistema economico in maniera diversa, magari adottando un modello che non sia basato sulla crescita illimitata. Una possibile alternativa è rappresentata dal modello di società basato sulla decrescita proposta dall’economista francese Serge Latouche.

Alla base della decrescita c’è l’idea che una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito. Sembrerebbe banale dirlo, tuttavia l’intero sistema capitalistico si basa sul presupposto contrario. La capacità di sostenere il lavoro, il pagamento delle pensioni, il rinnovo della spesa pubblica (istruzione, sicurezza, giustizia, cultura, trasporti, sanità, ecc.) presuppone il costante aumento del prodotto interno lordo.

Il ricorso all’indebitamento da parte degli stati, cioè il debito pubblico, soprattutto se portato all’eccesso, condanna alla crescita infinita per poter pagare gli interessi ai creditori. Quando i governi non possono indebitarsi ulteriormente, come stiamo vedendo negli ultimi mesi, devono ricorrere a impopolari aumenti della tassazione. Questo tipo di economia si comporta come un gigante che non è in grado di stare in equilibrio se non continuando a correre, ma così facendo schiaccia tutto ciò che trova sul suo percorso. A sostegno di questa tesi Latouche porta alla nostra attenzione alcuni dati quantitativi che dovrebbero farci riflettere.

Lo spazio disponibile sul pianeta terra è limitato. Lo spazio bioproduttivo, cioè utilizzabile per produrre i beni di cui abbiamo bisogno per vivere, è solo una frazione del totale ed ammonta a circa 12 miliardi di ettari. Se ci limitassimo a sfruttare queste risorse la terra sarebbe in grado di rigenerarle e saremmo in equilibrio con l’ecosistema. Se dividiamo lo spazio bioproduttivo per il numero di abitanti della terra otteniamo che ogni essere umano ha a disposizione circa 1,8 ettari. Purtroppo il consumo medio pro capite, detto “impronta ecologica”, è attualmente è pari a 2,2 ettari.
Ci sono tuttavia delle grosse disparità tra i paesi sviluppati e quelli del sud del mondo. Se un cittadino etiope consuma 0,8 ettari un cittadino degli Stati Uniti consuma 9,6 ettari, un canadese 7,6,  un francese 5,6 e un italiano 4,2. Ciò significa che stiamo consumando le risorse più velocemente di quanto potremmo, stiamo cioè intaccando il capitale naturale e nel futuro potremo disporre di meno materie prime per i nostri consumi. Se si ipotizza un tasso di crescita del 2 per cento, tenuto conto del prevedibile aumento della popolazione, nel 2050 saranno necessari 30 pianeti. È possibile calcolare quanti pianeti sono necessari a mantenere il proprio stile di vita sul sito www.footprintnetwork.org. Provateci. Rimarrete sorpresi dal vedere quanto grande sia l’impatto che alcune delle nostre abitudini possono avere sull’ambiente.

I più ottimisti penseranno: “Io credo nel progresso tecnologico. Oggi facciamo cose impensabili fino a pochi anni fa, figuriamoci se non si troveranno nuove tecnologie e fonti energetiche alternative, poco inquinanti e più efficienti!”. Il problema è che, anche se così fosse, avverrebbe probabilmente quello che viene chiamato “paradosso di Jevons”: i miglioramenti tecnologici che aumentano l’efficienza con cui una risorsa è utilizzata possono fare aumentare il consumo totale di quella risorsa invece di diminuire. Pensate ad esempio a chi, soddisfatto per aver ridotto le proprie spese per il carburante, per esempio utilizzando un’automobile con un motore più efficiente, con i soldi risparmiati si concede altri consumi, magari un viaggio aereo, oppure utilizza la macchina più spesso e per viaggi più lunghi. Questo comporta un consumo di energia maggiore di quella risparmiata e, di conseguenza, maggiore inquinamento.

D’altro canto, chi avesse colto l’occasione di un risparmio sulle proprie spese per il carburante per, ad esempio, lavorare meno, non avrebbe fatto il proprio dovere di consumatore. La crescita ha bisogno di consumi sempre maggiori, sia che essi siano utili o dannosi. Se un paese retribuisse il 10 per cento dei suoi abitanti per distruggere beni, fare buche nelle strade, danneggiare veicoli, e il 10 per cento per riparare i danni, coprire buche e riparare veicoli, avrebbe lo stesso PIL di un paese in cui questo 20 per cento di posti di lavoro (i cui effetti sul benessere si annullano) fosse impiegato per migliorare la speranza di vita in buone condizioni di salute, il livello di istruzione e la partecipazione alle attività culturali e di divertimento. Da solo il prodotto interno lordo non è sufficiente a misurare il nostro benessere e non serve la teoria della decrescita per capirlo. La prova è il discorso che è stato pronunciato da Robert Kennedy il 18 Marzo 1968 all’università del Kansas:

“Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato all’eccellenza personale e ai valori della comunità, in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro PIL ha superato 800 miliardi di dollari l’anno, ma quel PIL – se giudichiamo gli USA in base ad esso – comprende l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le autostrade dalle carneficine. Comprende serrature speciali per le nostre porte e prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione delle sequoie e la scomparsa delle nostre bellezze naturali nella espansione urbanistica incontrollata. Comprende il napalm e le testate nucleari e le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Eppure il PIL non tiene conto della salute dei nostri ragazzi, la qualità della loro educazione e l’allegria dei loro giochi. Non include la bellezza delle nostre poesie e la solidità dei nostri matrimoni, l’acume dei nostri dibattiti politici o l’integrità dei nostri funzionari pubblici. Non misura né il nostro ingegno né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per la nostra nazione. Misura tutto, in poche parole, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ci dice tutto sull’America, eccetto il motivo per cui siamo orgogliosi di essere americani.”

 

Giorgio Avanzino
[foto di Roberto Manzoli]


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