Mont Sanit Michel è un’isola tidale, ovvero collegata alla terra ferma da una banda sabbiosa che, periodicamente, viene ricoperta dall’acqua, durante l'alta marea
Si vede comparire a chilometri di distanza, indistinto, quasi irreale, confuso con il lontano orizzonte: uno sperone di roccia che si innalza, improvviso, con i suoi 170 metri complessivi, nel bel mezzo di un panorama pianeggiante, evocando i paesaggi impressionisti di Monet, Pissarro , Sisley, dove la luce sembra scivolare sui profili degli oggetti per ammantarli di una coltre magica. Siamo a Monte Saint Michel, nel nord della Normandia, sede di antiche tribù celtiche che espletavano, su questo monte, i loro arcani riti druidici.
Dedicato a Beleno, il dio gallico del Sole, questa isola che “non è”, con la strabiliante architettura dei suoi edifici, conserva qualcosa di arcano che affascina il visitatore. Anticamente circondata dalla foresta di Shissy, per l’abbassarsi del terreno, questa guglia di granito ha ceduto, lentamente, posto al mare che l’ha circondata (nel 709) trasformandola in un’isola tidale, cioè un’isola collegata alla terra ferma da un tombolo, una banda sabbiosa che, periodicamente, viene ricoperta dall’acqua, durante l’alta marea.
Qui, infatti, il mare, due volte al giorno, invade l’immensa baia con flussi che possono raggiungere i 14 metri di altezza, alla velocità di “un cavallo al galoppo”. Il fenomeno, che impiega tempi differenti tra innalzamento (5-6 ore) e il deflusso (un’ora in più), ha determinato il progressivo insabbiamento della baia dovuto alla formazione di un deposito sedimentario, favorito dalla presenza della diga-strada (costruita nel 1880) che funge da via di comunicazione. Per ovviare a questo grave inconveniente che rischia di alterare perennemente la singolarità del luogo, da qualche giorno, è stato interdetto il transito delle auto ed è in atto un progetto, promosso dagli addetti alla tutele del patrimonio, che prevede la sostituzione della diga con un ponte e la messa in opera di effetti meccanici, tipo “sciacquone”, accorgimenti che dovrebbero ridare a Mont Saint Michel la sua insularità.
Se ci poniamo con le spalle al mare e lo sguardo rivolto all’abbazia, dedicata a San Michele Arcangelo, ci appare subito chiaro il simbolismo architettonico ternario, cioè a tre livelli, corrispondenti agli strati sociali della collettività medievale: in basso, il popolo che lavora; al centro, chi governa e combatte cioè il re e i cavalieri; in alto, i monaci che pregano e curano lo spirito.
Con l’avvento del Cristianesimo, infatti, i primi a stabilirsi sul monte furono dei religiosi canonici che vivevano in piccoli oratori. Narra la leggenda che, nel 709, l’Arcangelo Michele apparve al vescovo di Avranches, sant’Auberto, invitandolo a costruire una chiesa in cima al monte Tombe (nome dell’altura di Saint Michel). Ignorata per due volte la richiesta, il vescovo fu punito dallo spirito celeste che gli provocò un foro nel cranio, toccandolo col suo dito infuocato (il teschio col foro è conservato nella cattedrale di Avranches). Solo nel 966, Riccardo I, nonno di Guglielmo il Conquistatore, scacciò i religiosi originari, colpevoli di comportamenti dissoluti, e li rimpiazzò con i benedettini di Saint-Wandrille. Costoro, intenzionati a costruire l’edificio religioso, si resero conto che il basamento era insufficiente, per cui incominciarono col fabbricare 4 cappelle, site nei quattro punti cardinali, (ad est quella dei grandi pilastri, a sud quella di Saint Martin, a nord quella di Notre-dame-des-trente-cierges) che saranno, poi, la piattaforma su cui poggerà il futuro complesso.
In quella più antica, ad ovest, o di Notre-Dame-sous-terre, sono state rinvenute le vestigia di una chiesa preromanica, forse un primitivo santuario presente sul monte. La struttura ecclesiale, sviluppata su tre livelli, con i suoi archi a sesto acuto, è un pregevole esempio di romanico-normanno, col tetto in legno, affinché il peso della volta non risultasse troppo oneroso da sostenere. La navata centrale, iniziata dall’abate Ranulphe nel 1060, è più corta rispetto a quella originale: fu, infatti, ridimensionata, nel XVIII secolo, a seguito di un incendio che aveva distrutto le tre primitive campate e che spiega certi dislivelli sulla terrazza. Sul pavimento del coro si può notare un’apertura che dà accesso alla cripta del grandi pilastri. Sulla crociera del transetto poggia la torre-lanterna, aperta su tutti i lati, la cui base, neoromanica, simboleggia la Gerusalemme Celeste. Sulla guglia svetta una statua bronzea dell’Arcangelo Michele, alta 2,70m, opera dello scultore parigino Fremiet, che è smontabile e funge da parafulmine.
Ricevute cospicue donazioni dal re di Francia, agli inizi del XIII secolo e in soli 17 anni, venne edificata una prima parte della celebre “Merveille” (meraviglia): il chiostro e il colonnato a quinconce (quatto colonnine ai vertici di un ideale quadrato e una centrale), astrazione del livello della meditazione. La progettazione della “Merveille”, infatti, prevedeva 3 edifici contigui, ciascuno di 3 piani, ognuno con una grande sala dal significato simbolico, dove anche il ripetersi del numero 3 era scelto volutamente come riferimento metaforico alla Santissima Trinità. La mancanza di fondi, non permise l’attuazione dell’intera opera: fu completata, infatti, solo la Merveille occidentale col chiostro (nutrimento dell’anima), dello scriptorium (nutrimento dello spirito) e la dispensa (nutrimento del corpo) e della Merveille orientale col refettorio, la sala degli ospiti e l’aumônerie (Cappellanato), dove un tempo i pellegrini mangiavano gli “avanzi” dei monaci. La terza che comprendeva, dall’alto verso il basso, la sala del capitolo, la biblioteca e le scuderie non fu mai costruita.
Prima di lasciare il complesso monasteriale, una curiosità: sul sagrato si possono osservare alcuni contrassegni lasciati dagli scalpellini a cottimo in modo che si potesse valutare il lavoro eseguito e quindi il compenso dovuto, nonché sapere chi fosse il colpevole in caso di problemi.
Ai piedi della rocca, col crescere in potenza e prestigio dell’abbazia, si sviluppò un villaggio che ancor oggi si snoda lungo l’unica via, la Grande Rue, alla quale si accede attraverso la Porte de l’Avanceée, la principale delle tre che interrompono la cinta muraria, a scarpata, che circonda l’isola. In realtà, oggi, il centro abitativo è costituito da due comuni distinti: il primo, quello di Saint Michel, più turistico, il secondo più spirituale cioè quello dei monaci. Superato quest’accesso, un Infopoint è pronto a fornire tutte le spiegazioni necessarie e, soprattutto, a procurare l’orario delle maree, spettacolo da non perdere.
Lasciati i cannoni inglesi, i Michelettes, che stazionano nei pressi dell’ingresso, si possono prendere tre strade. La prima, per i frettolosi, forniti di un cuore da atleta, che, attraverso ripide scalinate, porta direttamente ai giardini e all’abbazia; una seconda che principia dopo la Porte du Roy (provvista di ponte levatoio), per raggiungere il bastione e la torre omonima; la terza è quella riservata ai curiosi e ai pellegrini che, prima di atti penitenziali, possono godere delle tentazioni terrene offerte dai mille ristorantini che si affacciano ai lati della salita.
Lungo questo percorso, si possono effettuare pause culturali nei 4 musei civici, ricchi di storia e di curiosità. Raggiunta la cima, nel modo preferito, si viene ripagati, per la fatica profusa, non solo dalla indescrivibile magnificenza della chiesa ma, anche, da una vista mozzafiato che spazia dalla punta del Grouin fino alla Bretagna, abbracciando l’ampia baia che, quando il mare si è ritirato, sembra una distesa di deserto dorato.
Non fatevi, però, venire il desiderio di scendere a passeggiare su quella che sembra un’oasi di pace : sotto il manto arenoso si nascondono insidiose sabbie mobili che possono essere evitate solo facendosi accompagnare da una guida esperta. Nel viaggio di ritorno verso la consueta quotidianità, pellegrino, turista o amante dell’arte porta con se un nuovo compagno: il ricordo imperituro di un gioiello unico nel suo genere che, non a caso, dal 1979, è stato dichiarato far parte dei Patrimoni Mondiali dell’Umanità.
Adriana Morando