Una metropoli affollata, un mercato a cielo aperto: Bangkok merita di essere visitata. Il Floating Market? Una delusione
Godo a dondolarmi in queste strade, alle cui intersezioni minori si scovano sempre anfratti pieni di attività: sozzi e neri banchi di frutta e verdura e bettole.
Ogni giornata trascorsa a Bangkok assume un tema, nel giorno dei mercati di strada ho visto ghetti speziati e puzzolenti sarebbe più esatto, col tetto di eternit (amianto), che neppure potrebbero ambire a gareggiare col bazar di Istanbul dalle luci ammaliatrici, il budello stregato che trae il visitatore nel proprio stomaco come le Sirene traggono Ulisse alla deriva.
Ma Chaina-town (anche qui) fa strabuzzare gli occhi: merci indicibili e tipi umani senza aggettivi… l’unica mia tentazione è stata una mela, una Nashi, sembra una mela, ma sa di pera, è tipica dell’estremo oriente (in Italia oggi la coltivano gli stessi coltivatori del kiwi), ma era più cara di quanto mi aspettassi, più che in Italia (una cosa genuina che una volta tanto volevo) e la donna al banco di frutta non conosceva l’inglese (incredibile, bellissimo, ma dove sono?).
E’ l’eternità di questi bizzarri mercati che mi ha colpito. Essa è in quella vigoria salmastra; quella rituale, rozza industriosità; quella strenua ostentazione. Anche di fronte agli spettacoli raccapriccianti, cimiteri e galere di animali condannati a morte, alle straordinarie esposizioni delle rosticcerie che cucinano veramente tutto, il ribrezzo per la barbarie umana cede all’eccitazione suggerita dal fervore dell’uomo medesimo. Le tartarughe e i pesci sono vivi nelle loro vaschette piene d’acqua e vivi finiranno in pentole d’acqua bollente: ingredienti principali di prelibati brodi.
Credo che dovrò aspettarmi scene peggiori al mercato del fine settimana. ( Sarà un vero museo degli orrori). La curiosità mi rende predatore di questi luoghi, gironi infernali, e il loro fascino è indubbio ma macabramente disgustoso. Se non fossi profondamente ammaliato dalla vivacità del commercio, rifiuterei sicuramente di visitarli. ( Ma per cos’altro venire a Bangkok allora?)
Girovago, mi fan sorridere i tanti sedicenti lavoratori, muratori, forze dell’ordine…che vedo sempre e costantemente, a qualsiasi ora passi loro davanti, seduti con una ciotola fra le mani; addirittura ho visto un militare che pescava. Qui sono tutti un po’ così, di faticare la voglia è poca, si fa tutto con calma, coi tempi che ognuno si sente; però, sempre sorridendo.
Peccato la loro amicizia non sia mai disinteressata: mi è successo per giorni di fermarmi con una persona a chiacchierare. Sono loro a fermarti e ti “attaccano una enorme pezza”, partendo da impensabili loro passioni per l’Italia e/o altro, ti danno informazioni turistiche e alla fine ti guidano verso il loro negozio, ti chiedono se vuoi acquistare qualcosa. Vorrei avere un’altra faccia, una per ogni Paese straniero in cui vado, mai avere scritto sul volto: “ Turista! Albero della cuccagna!”.
In quattro giorni, sbattendosi, di Bangkok si vede praticamente tutto quel che di notabile c’è da vedere. Io sono andato sempre a piedi, così osservando persone, incroci, crocicchi e quartieri, tanto da imparare la loro effettiva posizione, anche in relazione a tutto il resto: solo, così è mia idea, si può dire di conoscere una città, se realmente è sufficiente.
A questo punto, quando hanno visitato la capitale, i turisti solitamente si spostano a sud, nelle sopraffine spiagge del Siam. Io sono rimasto a improvvisare alti sei giorni.
Mi sono addentrato in vicoli, nei quali, forse, un turista non dovrebbe entrare. Un turista non vorrebbe vedere il dietro le quinte di tutto il tramestio delle strade principali, delle bancarelle che su quelle strade sono a suo servizio: i laboratori sporchi e spartani, privi di norme, dove fanno il ghiaccio, fanno tessuti… li ho visti raccogliere l’acqua piovana, ah quanto mi piace la pioggia!
L’acquazzone è piombato all’improvviso su di noi, tremendo, tropicale, tutta l’acqua del cielo si è riversata quaggiù e ha sciacquato ogni brusio, spezzato ogni attività… tutto è finito con la pioggia.
Le strade ingombre di merci di Bangkok sono molto più piacevoli dell’acquitrinoso e turistico Floating Market (vedi note). Sui marciapiedi di queste strade centrali si aprono dei veri e propri mercatini al coperto (dal sole).
Si potrebbe meditare l’ipotesi, pensavo, di trasferirsi da queste parti, non fa per me, ma chiunque fosse interessato, con 20.000 euro qui si è signori e si può vivere in una reggia. In questo Paese la benzina costa dai 25 ai 31 Bath, cioè dai 50 ai 60 centesimi; l’acqua e la frutta sono le uniche cose essenziali per vivere e abbondano. Per me è troppo caldo e non voglio essere un signore, per di più, l’ignoranza che questa gente ha dell’igiene e, soprattutto, dell’inquinamento, credo, alla lunga, metterebbe a repentaglio la salute di qualunque occidentale. È la loro povertà, questa ignoranza.
Vivono ancora come in campagna, nella giungla, senza tener conto degli effetti nocivi dei fumi dell’industria e delle macchine, dello smog, della spazzatura, del petrolio e dei suoi derivati… Per fortuna ho smesso di fumare le mie Lucky Strike: sto vivendo da un mese nei luoghi più inquinati della terra!
Ho studiato lo smog della città che, quando essa aspetta la pioggia e le nuvole grigie comprimono il cielo, è aggressivo e insostenibile sulla pelle che brucia.
Mi dismaga vedere che sì tante sono le malformazioni in terra d’Asia: io che pensavo che le creature mostruose appartenessero al mito e nascessero dalla fantasia di grandi fautori di storie, scopro queste creature esistere davvero, nei luoghi esotici di cui narrano le fiabe e le novelle.
Ed è incredibile guardare quello che gli abitanti di questa città sanno fare: sono una catena di montaggio, in ogni quartiere si sviluppa un mestiere, in ognuno un diverso settore delle riparazioni e del recupero, dai miocrocip, al legno, alle stoffe.
Recandomi al mercato di fine settimana di Chatuchak sento i lamenti degli animali. Al mercato trovo lo scempio che mi aspettavo: oltre vestiti, oggetti e cineserie, animali la cui visione è straziante. La grande tartaruga lasciata riversa sul guscio perché non scappi la dice lunga; e pesci, serpenti, ancora tartarughe; pappagalli e uccelli; cani, che pena i cagnolini che guaiscono nelle gabbiette, come i loro vicini galli, pulcini e galline. Ho visto, persino, vendere un piccolo coccodrillo, per 30 euro messo in una scatola di cartone, come una gallina appunto! E quando crescerà? Compreranno una scatola più grande?
Mi piace studiare le abitudini, gli usi e i costumi, che a scuola mi annoiavano, dei miei ospiti, ma questa è gente spietata: non c’è alcun riguardo della sofferenza animale, veramente una cultura di altri tempi. Li si vede persino tenere scoiattolini (o simili roditori) piccoli, grandi, anche appena nati, legati a cordicelle, dentro a gabbiette o in braccio a ciondolare come pupazzetti, come giocattoli da tenere in bella vista. C’erano al mercato di Bangkok anche ragni schifosi, di quelli grossi e pelosi; vendevano disgustosi vermi (non so per quale uso); enormi scarabei (come i nostri cervi volanti, ma giganti) aspettavano un nuovo padrone.
Addio Bangkok.
Walter Firpo
NOTE:
Noodle soup: la versione vegetariana non è un gran piatto. Aroma dolciastro, piccantissima, e legnosa. Avevo intuito la predilezione per i sapori dolci da parte dei thailandesi, ma mi aspettavo qualcosa di diverso. Meglio le nostre minestre. Oltretutto, questa pietanza ustiona la bocca e fa gocciolare tantissimo il naso e non è insolito vedere thailandesi seduti a mangiare con il fazzoletto al naso.
Pad thai: pietanza molto appetitosa. È veloce economica, si trova ovunque per strada e ce ne sono diverse varietà( ottima quella col tofu). Non è un piatto leggerissimo, è piuttosto unto.
Floating Market: Il Mercato sull’Acqua (Floating Market) mi ha deluso, in parte, anche per colpa mia, che, ammetto, non mi sono voluto permettere la barchetta a fondo piatto a remo che mi avrebbe consentito di penetrare più a fondo i canali, senza quella si vede poco, costeggiando il canale sulla banchina; in massima parte la delusione è dovuta, però, alla commercializzazione di questo sito, spudoratamente turistico dove tutto costa il doppio e per di più si viene lasciati nelle condizioni di non poter rinunciare a nulla: la barchetta appunto, una bibita, l’ingresso al negozio dei serpenti.
Non peraltro, questo mercato è aperto ai turisti solo nel fine settimana e non ne rimane nulla: solo due canaletti sono attivi, attorno alla piattaforma sulla quale sono chioschi e bancarelle (persino il bagno si paga). Come al solito, l’agenzia turistica rifila una bella fregatura a tutti, omettendo di riferire certi particolari: una barca c’è compresa nel biglietto, ma non quella per circolare tra le barchette degli ambulanti, bensì un inutile traghetto dal punto dove si ferma il mini-bus alla piattaforma; il bello è che il mini-bus può arrivare dietro la piattaforma e lì ti viene a prendere.
In quel tratto d’acque si vede una scimmia, legata, poveretta, a un albero, come un cane da guardia. E poi, c’è il discorso del negozio di serpenti (le cui cose che avrei potuto vedere lì le ho viste al grande mercato di fine settimana in città, insieme a molte altre cose stupefacenti) il cui costo di ingresso è 200Bath, e ti ci portano anche se ti fan schifo i serpenti e comunque, devi stare ad aspettare che chi della comitiva è entrato finisca il suo tour tra gabbie e vetrine. Certo, è intrigante il grande coccodrillo che anche senza entrare si scorge dietro le vetrine dei serpenti all’ingresso, il biglietto di presentazione, ma…non ne vale la pena; non perché 200Bath siano 4Euro, ma perché in Thailandia con 150Bath ci compri 5kg di riso; 10ciotole di noodle soup al “ristorante”; 20 bibite rinfrescanti; ci vivi qualche giorno!
La sensazione che ho avvertita su di me e negli occhi degli altri sventurati, tenutisi all’esterno del negozio di serpenti, ognuno per i propri motivi, e di essere considerato dagli agenti turistici e dai Thailandesi tutti alla stregua di una bestia, non c’è umanità nel modo in cui ci hanno trattato, solo una fonte di guadagno da succhiare fino all’osso.
Qualche informazione è bene darla comunque, il Mercato Fluttuante è stato adibito dai cinesi 75anni fa. I cinesi scesero dalla Cina direttamente attraverso i canali; si trova a un’ora da Bangkok e ho già detto è aperto ai turisti solo il sabato e la domenica (non credo il venerdì) dalle 7:00a.m. alle 12:00a.m.
Oltre a quanto detto fino ad ora, mi sembra corretto ricordare anche la tristezza che imprime pensare alle persone che in quelle palafitte fluttuanti ci vivono realmente 365 giorni l’anno. Inoltre ho assaggiato una bevanda che non so, mi incuriosiva: potevano essere vermi, aveva un retrogusto lontanissimo di liquirizia, credo fossero alghe; ma, dopo un quarto di bicchiere, l’eccessiva dolcezza e la sensazione raccapricciante di quella roba viscida che passa in bocca e in gola, mi hanno messo la nausea e, nonostante gli sforzi e il rammarico, non ho potuto non gettarla, molto più assetato di prima e assurdamente accalorato (poiché probabilmente era anche molto calorica).