Quando si parla di occupazione e lavoro, giornali e televisioni fanno puntualmente riferimento al celebre tasso di disoccupazione. Di che cosa si tratta? Come viene calcolato? Può davvero essere considerato attendibile oppure va preso con le pinze? Cerchiamo di fare chiarezza
Questo articolo non vuole stordire di numeri e dati, ma provare a fare chiarezza su un tema ampio e delicato che troppo spesso viene sbrigativamente ridotto ad un valore percentuale. A rotazione, infatti, il dato sul tasso di disoccupazione occupa le homepage dei media e le prime pagine dei quotidiani: le notizie sono sempre le stesse, il tasso che è salito, il tasso che è sceso… Ma come è possibile che da un trimestre all’altro tutto si stravolga? Viene naturale chiedersi se quel dato che finisce sempre in prima pagina sia davvero significativo.
Cerchiamo di fare chiarezza sui numeri e le percentuali, capire come funzionano, come vengono raccolti e come vanno interpretati. Per farlo, ci siamo fatti aiutare da chi sa che cosa si nasconde dietro a quella percentuale e come viene calcolata. Bruno Spagnoletti, sindacalista, è stato responsabile
dell’Ufficio Economico Cgil Liguria, esperto di dati statistici sull’occupazione.
I dati a disposizione al momento della stesura dell’articolo sono suddivisi per provincia per quanto riguarda il 2014 e relativi al primo trimestre 2015 solo a livello regionale. Il dato complessivo presenta un tasso di disoccupazione in diminuzione di 1,1% fra i due anni, che cosa significa? Spieghiamo meglio: la differenza è fra l’ultimo trimestre 2014, che aveva un tasso del 11.2 e il primo trimestre 2015 che ne ha uno del 10.1.
Facciamo un passo indietro e vediamo come si arriva a questo dato percentuale. Il tasso di disoccupazione è il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e la forze di lavoro (persone occupate). Fa parte della forza lavoro chi ha dai 15 anni e più e che nella settimana di riferimento (quella in cui viene effettuata la rilevazione) ha svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario. Le persone in cerca di lavoro (disoccupate) sono invece le persone non occupate tra 15 e 74 anni che hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nei trenta giorni che precedono l’intervista e sono disponibili a lavorare. L’ISTAT raccoglie le informazioni intervistando ogni trimestre un campione di quasi 77 mila famiglie, pari a 175 mila individui residenti in Italia, anche se temporaneamente all’estero. Le informazioni sono raccolte in tutte le settimane dell’anno.
Approfondito il “dietro le quinte”, proviamo ad addentraci di più nei dati, che avranno un altro impatto visto quanto sopra. «È vero che il dato nazionale per il 2015 è in diminuzione – esordisce Spagnoletti – c’è una leggerissima inversione di tendenza, ma si tratta di lavoro “povero” (lavori stagionali, precari, ndr). Entrando più nel dettaglio dei dati 2014 ho evidenziato una sofferenza in particolare nel lavoro dipendente, in un anno si perdono oltre 11 mila dipendenti. Il settore che soffre di più è quello dei Servizi e del Terziario rispetto all’anno precedente, ma se valutiamo la perdita di lavoro sul periodo lungo tutti i settori economici perdono, nessuno escluso. Penso che pubblicare sui giornali un’analisi più approfondita sarebbe più utile per farsi un’idea, piuttosto che il singolo dato percentuale».
Venendo al locale, i dati vedono 73mila liguri in cerca di lavoro, in aumento rispetto al 2013. «In realtà, se ai disoccupati censiti dall’ISTAT si sommano scoraggiati, Neet (giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che non seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale, ndr), lavoratori in mobilità e in cassa integrazione senza ritorno, il dato della disoccupazione ligure arriva intorno ai 135mila».
Dall’analisi dei dati condotta insieme a Spagnoletti emerge ad esempio un errore rispetto ai numeri relativi alla provincia di Savona e a quella di Imperia. Questo deriva probabilmente dall’aggiornamento dei dati fatto dall’Istituto stesso. L’ISTAT, infatti, ha comunicato un aggiornamento dei dati dal marzo 2015 in modo “da rendere confrontabili i dati riferiti agli anni passati”, e ha provveduto a ricostruire le serie storiche. «In realtà quello che è successo – evidenzia l’ex responsabile dell’ufficio economico di CGil – è la modifica di due dati importanti: l’occupazione ligure del 2008 non più fissata a 635.687 ma aumentata a 650.606 (circa 15mila occupati in più) e l’occupazione media 2013 che da 603.113 a 613.091». Questo è solo un esempio a dimostrazione dell’imprecisione dei dati su cui si basano le oscillazioni del tasso di disoccupazione.
«Si ricorre in errore più facilmente su numeri piccoli, come quelli delle due province liguri – chiosa Spagnoletti – i dati aggiornati non mutano le performance qualitative degli indicatori economici della recessione ligure ma producono distorsioni e contraddizioni evidenti nelle variazioni dell’occupazione». In conclusione la fotografia storica dell’Istat ha troppe ombre per essere considerata davvero significativa.
E nella nostra regione? Confrontando il primo trimestre 2014 con quello 2015 in Liguria si registrano 19 mila occupati in più con una variazione positiva del 3.23% e 11 mila disoccupati in meno con una variazione negativa del 13.93%.
Spagnoletti sottolinea quanto sia importante attendere i dati del secondo trimestre 2015 e quelli a seguire per verificare se la tendenza di lieve ripresa proseguirà, «al momento si tratta di dati deboli e vulnerabili, “drogati” dagli sgravi fiscali che il Governo ha voluto per le assunzioni a tempo determinato». In parallelo, infatti, i dati del Ministero a livello nazionale mettono in evidenza l’aumento di assunzioni a tempo determinato del 49.5% e l’81% in più di trasformazioni di contratti a termine in tempo indeterminato; però questo non sta a significare, è fondamentale evidenziarlo, che vi siano state nuove assunzioni e
quindi aumento dell’occupazione. In poche parole i numeri positivi sono prematuri rispetto alla reale situazione.
Fino ad ora abbiamo trattato la realtà della disoccupazione, ma c’è un altro lato della medaglia ed è quello rappresentato dalle “nuove” partite IVA cosiddette “dei regimi minimi”.
Diverse legislazioni negli ultimi anni hanno permesso l’apertura di partite IVA, sopratutto a giovani entro i 35 anni, che prevedono negli anni agevolazioni fiscali più o meno consistenti. In questo caso i numeri e i dati, che spesso vengono presi a riferimento dai media, ci aiutano ancora meno ad avere un quadro reale della situazione perché sono semplicemente il risultato di una banale somma (il numero di partite IVA, in quale settore, con quale classe di età di appartenenza…). I dati relativi alle partite Iva (fonte MEF Ministero dell’economia e delle finanze) raccontano infatti una Liguria che diventa sempre più imprenditrice di se stessa. Ma di che tipo di partita Iva si tratta? Corrisponde allo stesso lavoro svolto in precedenza da dipendenti in precedenza? Oppure queste partite Iva sostituiscono dei contratti a tempo determinato o a progetto?
Fuor di dubbio che il dato sia in aumento, ma ciò, anche in questo caso, non è per forza sinonimo di maggiore occupazione.
I dati relativi alla nostra regione seguono l’andamento nazionale, su 4.648 nuove partite IVA 5.729 sono state aperte da giovani fino ai 35 anni, circa il 39%. Lo stesso MEF ammette nella sua analisi dei dati che l’incremento è dovuto probabilmente all’approvazione della legge di stabilità 2015 che ha introdotto il nuovo regime meno vantaggioso, incrementando il numero di chi ha aperto partita IVA entro il 2014.
A concludere questo nostro viaggio fra i numeri del lavoro in Liguria possiamo essere sicuri che la prossima volta che leggeremo o ascolteremo del tasso di disoccupazione sapremo meglio di cosa si tratta.
Claudia Dani