La guida al voto in vista delle Elezioni Europee di domenica 25 maggio. Cerchiamo di rintracciare all'interno del programma dei partiti la risposta alla domanda "cosa dobbiamo fare in Europa?"
Domenica si voterà per eleggere i membri del Parlamento Europeo. Tralasciando tutti i dettagli e le modalità di voto (che trovate qui) e le mie preferenze personali (che dovrebbero essere ormai più che note ai miei lettori), tentiamo di fare una sintesi dell’offerta politica e proviamo ad azzardare un pronostico.
Registriamo innanzitutto che per la prima volta da quando si vota per il Parlamento europeo le tematiche comunitarie hanno avuto una rilevanza nel dibattito pre-elettorale. Certo, molti andranno a votare semplicemente per dar un segno di discontinuità rispetto all’operato del governo in carica, oppure all’opposto per esprimere apprezzamento; ma molti altri si preoccuperanno davvero di lanciare un messaggio a Bruxelles o al modo in cui da Roma si è gestito il rapporto con l’Europa. Cerchiamo dunque, più che di dare un giudizio sull’operato di Renzi, di rintracciare all’interno del programma dei vari partiti la risposta a questa precisa domanda: cosa dobbiamo fare in Europa?
Gli ANTI-EURO – Qui non ci sono dubbi: la risposta è uscire dall’euro e rifare un’alleanza europea su basi nuove. Si trovano su questo versante molte forze minori, tra cui sono teoricamente in condizione di superare lo sbarramento del 4% almeno due partiti: Fratelli d’Italia e Lega Nord. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, infatti, si sono ritrovati su una battaglia all’insegna della sovranità nazionale; la Lega Nord arrivando persino a togliere dal simbolo il riferimento alla tanto agognata Padania, candidando in primo piano un economista simbolo della critica all’euro (Claudio Borghi Aquilini) e entrando a far parte dell’Alleanza Europea per la Libertà (una piattaforma di destra dove si ritrovano anche il Front National francese e l’UKIP inglese). Completano il profilo i soliti cavalli di battaglia, dalla valorizzazione delle rispettive economie nazionali o locali fino alla lotta contro l’immigrazione indiscriminata. Duri e puri.
Gli EURO-CRITICI – Qui qualche dubbio c’è. Alla domanda “cosa dobbiamo fare in Europa?” rispondono che bisogna dare battaglia: ma non è chiaro fin dove vogliano spingersi. Il Movimento 5 Stelle propone 7 punti a prima vista molto duri con l’attuale gestione comunitaria; ma a un livello più approfondito molti di questi punti si rivelano piuttosto evanescenti. Per esempio è chiaro che il referendum sull’euro non si può fare; continuare a riproporlo non fa che mettere in luce l’indecisione del movimento ed è in contraddizione, tra l’altro, con l’idea degli eurobond, che ovviamente implica il mantenimento dell’euro. È probabile pertanto (in attesa che venga sciolto il nodo alleanze) che il comportamento degli europarlamentari pentastellati rimanga legato alle dinamiche che già conosciamo, tra votazioni on-line e sparate di Grillo. Sindrome di Peter Pan.
Gli EURO-BOH? – L’altro partito che generalmente si tende a considerare euro-critico è Forza Italia. Si tratta però di un’investitura ad honorem, dovuta ai vecchi contrasti tra l’Europa e Berlusconi, che sono tornati di moda grazie alle rivelazioni dell’ex-membro della BCE Bini-Smaghi e poi a quelle più recenti dell’ex-segretario al tesoro USA Tim Geithner. Nei fatti, tuttavia, l’euro-scetticismo del Cavaliere è rimasto tiepido, probabilmente per debolezza politica e spirito di conservazione: affrontare i servizi sociali da pregiudicato, tenere d’occhio l’estradizione di Dell’Utri e in più mettersi contro buona parte dell’establishment italiano ed europeo (dopo che già gli alleati europei del PPE già si defilano come di fronte ad un appestato) non è certo nelle mire di un uomo di quasi ottant’anni. Non si completa, così, la transizione del partito a forza di destra nazionale opposta al capitalismo globale, non rimanendo altro che il feticcio del carisma mediatico berlusconiano per garantire voti (e dunque qualche poltrona a qualche fedelissimo). Nostalgico.
Gli EURO-CONVINTI “CRITICI” – È la lista L’Altra Europa per Tsipras, che in Italia ha fatto strage di cuori tra gli intellettuali “di sinistra”, da Barbara Spinelli a Roberto Saviano, da Stefano Rodotà ad Andrea Camilleri. In effetti avere un greco come candidato alla Presidenza della Commissione fa molto esotico; rappresenta il popolo che più ha sofferto per la crisi, dunque fa anche molto “gli ultimi saranno i primi”; e poi ci fa sentire sicuri di essere noi “i buoni”, perché coniuga l’internazionalismo europeo con una critica “da sinistra” a quel rigore tecnocratico che sta mandando in pezzi lo stato sociale. Tutto molto bello: ma pare non siano in tanti a volersi permettere il lusso di una questione di principio. Il problema è capire se questa posizione possa essere qualcosa di più che il sogno ad occhi aperti di un gruppo di eletti. Ma se siete di sinistra, se pensate quest’Europa debba cambiare pur senza uscire dall’euro, se ritenete che, per quanto flebile, questa sia l’unica speranza; allora non c’è dubbio: Tsipras è il vostro candidato. Non duri, ma puri.
Gli EURO-CONVINTI – È il gruppo più affollato. Vi rientrano a buon diritto (da destra verso sinistra):
1. Nuovo Centro Destra (fronte PPE, candidato presidente Jean Claude Junker);
2. Centro Democratico di Tabacci, Scelta Civica di Monti, e Fare per Fermare il Declino di Boldrin, uniti nella piattaforma Scelta Europea (fronte ALDE, candidato presidente Guy Verhofstadt);
3. Partito Democratico (fronte PSE, candidato presidente Martin Schulz).
Queste formazioni si dividono sul tipo e sulla quantità di interventi da fare in un contesto continentale che certo così com’è non va. Ma una volta pagato pegno allo scontento generale, alla domanda “cosa dobbiamo fare in Europa?” la risposta è presto detta: proseguire su questa strada. Votando Scelta Europea si va “avanti tutta”, votando l’NCD di Alfano si chiede qualche ritocco “da destra” e votando il PD di Renzi si chiede qualche ritocco da… qualche altra parte. In ogni caso l’affermazione di queste compagini sarebbe un chiaro segnale di sostegno verso l’attuale establishment, dato che il PPE e il PSE erano fino a ieri i due blocchi che si spartivano il parlamento europeo. Usato garantito.
Innanzitutto bisogna considerare che ci saranno almeno due diversi esiti: c’è un esito nazionale, tutto interno al gioco politico italiano, e c’è un esito europeo, dove le singole sfide nazionali si sommano, con un diverso peso specifico.
In Italia il voto è stato presentato come una sfida tra PD e M5S, complice anche la propaganda elettorale, condotta tutta contro l’avversario allo scopo di galvanizzare e compattare l’elettorato di riferimento. In questa dialettica, il PD è il polo “conservatore”, il M5S il polo “progressista”: la vittoria dell’uno o dell’altro determinerebbe, in teoria, se occorra rafforzare la strategia attuale o cambiare rotta. Tuttavia è lecito dubitare che da questo duello emerga qualche verdetto inappellabile. L’unica possibilità sarebbe un’affermazione netta, oppure un clamoroso tracollo, di uno dei due contendenti: all’opposto qualche punto percentuale sopra o sotto, nel testa a testa che si prospetta, non servirà a nulla, se non a sprecare parole.
Allo stesso modo a niente servirà fare la conta dei critici o dei sostenitori di questa Europa, che è pur sempre l’orizzonte di riferimento politico del duo Renzi-Napolitano. Il Presidente è già stato chiaro; per di più il M5S si presenta da solo, e dunque difficilmente ci sarebbero prospettive per fare un nuovo governo con nuove elezioni; infine sappiamo che il parere degli elettori può essere tranquillamente messo da parte, anche in modo molto sfacciato. Morale: a meno di eventi clamorosi, i rischi per la tenuta dell’esecutivo sono minimi. Ciò detto, si possono attendere indicazioni importanti su altre questioni, quali ad esempio: il peso elettorale della battaglia anti-euro (soprattutto nel caso “plastico” dato dalla Lega Nord, e nonostante un’informazione compattamente pro-euro), l’appeal di Renzi, le potenzialità della critica dissacrante di Grillo, la rilevanza residua di Forza Italia, eccetera.
Queste dinamiche, che hanno valore a livello nazionale, potrebbero però essere completamente ribaltate sul piano europeo. Visto da lontano, infatti, il voto italiano sarà giudicato in modo molto sommario: tutti quelli che non appartengono al gruppo degli euro-convinti saranno buttati nel calderone dell’euro-scetticismo e trattati di conseguenza. Questo approccio, nonostante tutto, ha un suo senso: serve a valutare se la visione dell’attuale leadership europea sia sostenibile politicamente. E in quest’ottica è probabile che il voto italiano si rivelerà una vittoria complessiva dell’euro-scetticismo, e dunque una sconfitta per questo modello di Europa.
Se poi il responso delle urne dovesse andare in questa direzione anche negli altri paesi, si aprono scenari imprevedibili. Una frattura insanabile potrebbe venire da una netta affermazione dell’euro-scetticismo in quei paesi (per esempio Francia e Inghilterra) dove il fronte non è diviso in vari partiti rivali (come avviene da noi). Ma se anche ciò non dovesse accadere, i rischi non sono per questo scongiurati. Un europarlamento con una forte minoranza euro-scettica (che è lo scenario più probabile), per quanto eterogenea questa minoranza possa essere, sarà comunque una novità destabilizzatrice. Bisognerà valutare, allora, il reale livello di stress delle istituzioni europee, già indebolite da una ripresa che non si vede, dall’incapacità di rinvenire una strategia alternativa, dalla pessima gestione della questione ucraina e dalle pressioni degli Stati Uniti; i quali, dopo aver fatto la loro parte con una politica economica espansiva, appaiono oggi sempre più innervositi dal peso morto per l’economia globale dato dal nostro autolesionismo.
Pertanto, anche se probabilmente ci sarà la maggioranza per continuare su questa strada, la contezza della sua inevitabile insostenibilità politica sul lungo termine potrebbe suggerire una ritirata anticipata. Restano ovviamente possibili entrambi gli scenari: l’incrinatura potrebbe bastare per rompere il bicchiere, oppure all’opposto potrebbe rafforzare la determinazione di chi crede nel progetto e non intende darsi per vinto. In ogni caso l’ampiezza della marea euro-scettica servirà a testare la resilienza del sistema.
Su queste basi possiamo azzardare un pronostico. La mia impressione è che Grillo sconterà certe sparate e il fatto di aver perso il voto degli anti-euro; ma chi sta davvero rischiando è il PD di Renzi, il quale, dal canto suo, ha solo da perdere e si presenta alle urne con molti handicap. Tra questi: la debolezza degli alleati, l’alta astensione, lo scandalo expo, le minori motivazioni degli euro-convinti, la recondita convinzione di alcuni di questi che una scossa euro-scettica farà comunque bene, le performance economiche non esaltanti e via dicendo. Il premier probabilmente se la caverà lo stesso, ma dovrà poi vedersela coll’esito del voto nel resto d’Europa e con i cambiamenti che ne seguiranno. La mia scommessa è che, a differenza di quello che succede da noi, negli altri paesi si terrà in maggior conto (o sarà più difficile occultare) un responso che minaccia di terremotare il continente.
Andrea Giannini