Circa il 43% delle lingue parlate nel mondo potrebbe estinguersi entro la fine del ventunesimo secolo. Vox populi o leggende metropolitane dicono che la colpa dell’estinzione delle lingue sarebbe da attribuire all’inglese
“L’estinzione di una lingua comporta la perdita di un patrimonio scientifico e culturale di grande valore e può essere paragonata all’estinzione di una specie.” È questo, in sintesi, il grido d’allarme lanciato da endangeredlanguages.com, pagina Internet di un progetto il cui scopo è quello di proteggere le lingue che rischiano di morire.
Circa il 43% delle lingue parlate nel mondo potrebbe estinguersi entro la fine del ventunesimo secolo: non si tratta delle percentuali spaventose vicine al 90% che ogni tanto vengono tirate in ballo, ma la cifra è comunque impressionante e preoccupante.
Uno studio condotto dal sociologo indiano Ganesh Devy ha rivelato per esempio che nel sub-continente indiano un quinto delle lingue parlate fino a cinquant’anni fa è scomparso. Opinione comune, vox populi o leggende metropolitane dicono che la colpa dell’estinzione delle lingue sarebbe da attribuire all’inglese, lingua “vorace” che miete vittime in tutto il pianeta e che, chissà, potrebbe anche minacciare l’italiano stesso, considerando il sempre crescente numero di prestiti inglesi nella nostra lingua.
Certamente, l’inglese in quanto lingua franca internazionale ha avuto e ha un ruolo nel processo di perdita di prestigio (e di parlanti) di molte lingue, ma la colpa, se così si può dire, non è affatto ascrivibile soltanto all’inglese.
Le cause dell’estinzione di diverse lingue risalgono al XIX secolo, periodo in cui si afferma l’idea di identità di lingua e nazione. Ma in quale modo si radica la “lingua dello Stato” nella popolazione? Attraverso la scuola, che diventa la fucina di una lingua nazionale standard, il modello di riferimento a cui tutti guardano. Essere in grado di padroneggiare la lingua insegnata a scuola permette di avere maggiori opportunità di trovare un buon lavoro e di aspirare a una posizione sociale più elevata; d’altra parte, quello della padronanza della lingua “corretta” come status symbol è un discorso non nuovo alla nostra rubrica, che relativamente all’Inghilterra avevamo già affrontato qualche tempo fa.
Ma è possibile, a fronte di questo pericolo di estinzione di così tante lingue, opporre un qualche tipo di resistenza? La materia che si occupa di queste problematiche si chiama pianificazione linguistica, è molto complessa e non la si può affrontare in poche righe. Ciò che comunque ci interessa sapere è che il lavoro dei pianificatori nel tempo ha dimostrato che basare la rivitalizzazione di una lingua facendo leva su ragioni di tipo “morale” o “sentimentale” ha ben poca presa. Il tempo è poco, la vita è breve, l’istinto di sopravvivenza la fa da padrone e quindi, per quanto idealmente toccate dall’argomento, le persone compiono scelte linguistiche che abbiano una qualche convenienza e le aiutino a vivere meglio.
Partendo proprio da questa considerazione sono nati dei progetti i quali, anziché parlare esplicitamente del valore culturale della protezione del patrimonio linguistico, esaltano i benefici tangibili nella vita quotidiana della salvaguardia di una lingua. Per esempio, l’iniziativa nata in Irlanda, a Galway, con il nome di Gallhim le Gaeilge (“Galway in irlandese”) ha un carattere essenzialmente economico. Essa mira a far notare agli operatori turistici e ai commercianti di Galway che la lingua irlandese può essere un ottimo sponsor per la città. L’idea è quella di persuaderli a usare il gaelico nelle insegne dei negozi e nelle pubblicità come tratto distintivo e caratterizzante della città.
Usiamo esempi come questo come spunto per salvare i nostri dialetti, anziché piagnucolare e lamentarci – in italiano – di quanto fossero belli i tempi passati in cui per le creuze di Genova e della Liguria si parlavano solo il genovese o il savonese …
See you!
Daniele Canepa
[foto di Diego Arbore]