You know, Erm, Well, I mean, So, Right... sono alcuni dei fillers più comuni nella lingua inglese, in italiano si chiamano intercalari e sono utilizzati per la stessa ragione
“Don’t you hate that?” “Hate what?” “Uncomfortable silences.“ “Non odii tutto questo?” “Tutto questo cosa?” “I silenzi che mettono a disagio.” È questo, tra John Travolta e Uma Thurman nei panni di Vincent Vega e Mia Wallace, uno dei più famosi dialoghi del film cult Pulp Fiction diretto da Quentin Tarantino.
La conversazione orale è immediata, ha normalmente bisogno di essere riempita, quindi sentiamo l’esigenza di colmare i silenzi usando delle frasi o delle espressioni che in realtà dal punto di vista del contenuto non aggiungono molto, ma la cui funzione è, appunto, riempire un silenzio.
Non è così probabilmente in tutte le culture, come spiega l’esperto di comunicazioni interculturali Richard D. Lewis: in Oriente, al silenzio viene attribuito un grande valore, in quanto mostra il rispetto per quanto l’interlocutore ha precedentemente affermato. Tuttavia, è innegabile che nella nostra società così veloce e frenetica a una domanda debba far seguito una risposta in tempi brevi. Se però il concetto non è già ben delineato e pronto in testa ecco accorrere in aiuto i fillers, termine con cui in inglese si designano le parole aventi la funzione di colmare i vuoti. To fill peraltro dovrebbe essere un verbo piuttosto noto agli studenti di inglese, i quali più di una volta nella vita avranno dovuto svolgere un esercizio della tipologia Fill in the gaps (“completa riempiendo gli spazi vuoti”).
You know, Erm, Well, I mean, So, Right sono alcuni dei fillers più comuni. Non pensiamo, tuttavia, che il fenomeno sia circoscritto alla lingua inglese: anche in italiano usiamo abbondantemente espressioni equivalenti quali: “Sai”, “Ehm”, “Bene”, “Voglio dire”, “Appunto”.
Gli studenti arrampicati sugli specchi durante improbabili interrogazioni di storia, matematica o letteratura ricorrono a piene mani a “Cioè” come ultima ancora di salvezza a colmare imbarazzanti silenzi. Nonostante ciò, se le cose non sono cambiate da quando andavo a scuola, il rapporto: numero di “cioè” / voto finale è sempre irrimediabilmente inversamente proporzionale … See you!
Daniele Canepa
[foto di Diego Arbore]