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Finlandia, Tampere e Helsinki: profumi, luoghi e persone

Sui gradini della grande cattedrale in legno che domina Helsinki, seduto tra coppie di innamorati e turisti giapponesi, scaldato dagli ultimi raggi di una splendida settimana di sole attendevo il tramonto, nelle orecchie passava "Diavolo risso" di Paolo Conte


11 Ottobre 2013Rubriche

finlandia-helsinki-gabbiani-DILeggevo “Caduta libera” di Nicolaj Lilin quando uno scrollone mi ha fatto capire che l’aereo stava iniziando la fase di atterraggio. Superate le mille isole che formano uno spettacolare arcipelago siamo entrati dentro una nuvola per poi uscire sopra le verdi foreste finlandesi. Le punte degli alberi parevano grattare la pancia dell’aereo e la pista di atterraggio ancora non si vedeva. Improvvisamente è apparsa una piccola striscia di asfalto, le ruote si appoggiano dolcemente e l’aereo si ferma dopo un’iniziale brusca frenata. In attesa che aprissero i portelloni osservavo un addetto dell’aeroporto fuori dall’oblò, aveva un giaccone arancione allacciato fino al collo, un berretto in cotone che metteva caldo solo a guardarlo e dei guanti da operaio, nonostante la bella giornata ho pensato ci fosse freddo e mi sono preparato psicologicamente. Mentre scendevo le scale un raggio di sole caldo mi ha abbracciato e il termometro sopra la baracca del piccolo aeroporto segnava ventotto gradi, mi sono voltato a guardare quell’uomo tutto bardato, con una smorfia di interrogazione mi sono avviato verso l’uscita.
L’aeroporto di Pirkkala è uno dei più piccoli che io abbia mai visto, la sala d’attesa è composta da alcune sedie in legno come quelle di scuola, un bar al piano superiore e uno shop di souvenir chiuso se il personale è impegnato nelle operazioni di check-in. Ho preso la navetta che con sei euro mi ha portato nel centro di Tampere in compagnia di alcuni studenti italiani che scontavano il loro periodo di Erasmus.

In stazione mi aspettava una vecchia compagna di classe delle elementari che mi avrebbe accompagnato all’ostello, mi sentivo emozionato a rivederla dopo tanti anni. Il bus si è fermato nella piazza della stazione dove ho visto una ragazza con un cartello con scritto “Diego”, l’avrei riconosciuta comunque ma sono rimasto colpito dai mutamenti che può subire il corpo umano, era con il suo compagno, un ragazzo libanese che di mestiere fa l’interprete e il traduttore, nonostante il suo aspetto non fosse rassicurante era tuttavia simpatico e socievole. Mi hanno accompagnato in ostello, avevo un letto prenotato in una stanza comune per dodici persone, ho sistemato i bagagli e abbiamo fatto un giro veloce per le vie del centro. Ci siamo seduti sui gradini del teatro nella piazza principale, hanno deciso di raccontarmi la loro storia non priva di colpi di scena, mi hanno indirizzato verso alcuni posti da visitare per poi ritornare al loro destino, io ho proseguito solitario alla ricerca di un pasto caldo.

Il primo impatto con l’ostello è stato con l’uomo della sicurezza, un ciccione che stava seduto su una sedia a guardare un film in bianco e nero mangiando dei nachos. Il suo sguardo di pietra mi fissava, sembrava avesse visto un alieno, mentre mi avvicinavo notavo le briciole sul pizzetto e il labbro inferiore immobile con la bocca leggermente aperta e una mano ancora dentro il sacchetto. Ho percorso il corridoio che ci separava con un passo stile “Mezzogiorno di fuoco”, quando gli sono arrivato davanti era immobile, sembrava di cera. Qualcuno doveva rompere quel silenzio, ho esordito con un “good night” ricevendo in cambio un cenno del capo, con lo sguardo ha seguito i miei movimenti fino a  che non sono sparito dietro l’angolo. Nonostante l’uomo della sicurezza il Dream Hostel è un ottimo ostello dove pulizia e efficienza regnano sovrani, la cucina è aperta a tutti e la sera la sala è piena di ragazzi che parlano, si conoscono, giocano a poker e utilizzano il WiFi gratuito. La mia compagnia serale era formata da un croato iperattivo sulla quarantina, un tedesco in sedia a rotelle, un disadattato italiano con una maglia nera dei Megadeath, un francese e un marocchino residente Bologna che non sapeva neanche il motivo per cui si trovava a Tampere. Giocavamo a poker per passare le serate, le partite duravano fino a quando il croato decideva di smettere sollevando il tavolo e rovesciando tutto quello che c’era sopra, era chiaro che non sapeva perdere, il ciccione della sicurezza arrivava puntuale a tavola ormai rovesciata guardandomi con occhiate sospette.

Ma veniamo al dunque… Tampere sorge tra i laghi Nasijarvi e Pyhajarvi che hanno una differenza di altitudine di 18 mt, il centro è piccolo e scarno di grosse attrattive e neanche troppo ben frequentato, in contrapposizione la natura esplode in tutte le sue forme appena si esce dalla città. I ristoranti si contano sulle dita di una mano e non tutti ispirano fiducia, inoltre i prezzi dei piatti sono alti e l’istinto mi ha guidato verso il primo fast food disponibile, la catena Hesburger, l’omologo finlandese del McDonald’s con la differenza che i nomi dei panini sono scritti in finnico e di conseguenza è difficile fare delle scelte, fortunatamente l’inglese unisce tutto il mondo e un cheeseburger e delle crocchette di pollo sono state facili da ordinare.



Il primo giorno di buon mattino ho camminato sulle sponde del lago inferiore, lungo tutto il suo perimetro si percorre un sentiero dentro a un parco naturale, gabbiani, corvi, aironi e cormorani popolano le rive in attesa di qualche pesce da mangiare. Ho riposato su un prato che terminava con una piccola spiaggia, decine di persone godevano del caldo eccezionale, mi sono spogliato e immerso nel lago, nonostante la temperatura esterna le acque sono gelide a causa dell’escursione termica che avviene nelle ore notturne. Rigenerato e ancora inconsapevole del raffreddore che sarebbe arrivato dopo poche ore, mi sono incamminato verso il centro per pranzare. Dentro un palazzo della via principale ho trovato un vecchio mercato in legno, Kuppahalli, al suo interno banchi di carne di renna, alci e scatolette di orso, negozi di souvenir ed economici ristorantini, ho ordinato una zuppa di pesce con trancio di salmone da leccarsi i baffi e una pentola di cozze in umido. Il pomeriggio ho preso una bici a noleggio per visitare il lago superiore e un parco a nord della città, dopo tre ore di pedalate mi sono dedicato allo shopping nel piccolo centro di Tampere e terminare la giornata con una sontuosa cena da Hesburger.

Il mattino seguente ho preso il treno alle 8 del mattino per Helsinki, i costi dei trasporti sono altissimi ma il servizio è di un’eccellenza unica, la puntualità, la pulizia, il Wi-Fi gratuito e funzionante, il servizio di ristorazione, le poltrone con lo schienale retraibile, l’attacco per la corrente e per le cuffie della radio rendono il viaggio estremamente comodo e piacevole. Questo è quello che avrei scritto se non avessi preso il treno di ritorno in classe economica, gente ammassata come bestie al macello si spartiva un fazzoletto di spazio tra un vagone e l’altro, per un attimo mi sono sentito a casa.

Ad Helsinki ho prenotato una stanza presso l’ostello dello stadio olimpico, una volta sceso dal treno ho cercato le indicazioni e ho attraversato a piedi il parco con lo splendido lago che separa la stazione dallo stadio. Lungo le sue rive ci sono due piste, una ciclabile e una pedonale dove ad ogni ora del giorno centinaia di persone si tengono in forma facendo sport immersi nella natura pur essendo in centro città. Non immaginavo che l’ostello fosse parte integrante dello stadio, si trova infatti nella curva e l’idea di dormire in quel posto così originale mi affascinava sempre di più.
Helsinki è una città molto elegante, il centro è pulito e in ordine ed è facile veder passare alcuni senzatetto con grossi sacchi pieni di lattine e bottiglie vuote che inserite in appositi macchinari di smaltimento rifiuti differenziati pagano dieci o venti centesimi, un modo intelligente per tenere occupate le persone e rispettare l’ambiente.
Il mare mi attirava come una calamita trascinandomi fino al porto dove ho pranzato con un ottimo trancio di salmone fresco e verdure, preso un caffè e fumato una sigaretta tra banchi di frutta e pesce fresco che si alternano sulla banchina del porto dove mendicanti e artisti cercano di spillare qualche moneta ai numerosi turisti che si aggirano alla ricerca di un battello per visitare le isole.








Sulle note di “Spaced Cowboy” di Sly & the Family Stone sono salito a bordo della nave Mulligan per un tour di circa tre ore attraverso l’arcipelago, tempo necessario per vedere fari e verdi isolette con piccole case in legno, avvistare una foca, una coda di balena e ammirare il panorama della città vista da un’altra prospettiva.

Sui gradini della grande cattedrale in legno che domina Helsinki, seduto tra coppie di innamorati e turisti giapponesi intenti a fotografare ogni cosa, scaldato dagli ultimi raggi di  una splendida settimana di sole attendevo il tramonto, nelle orecchie passava Paolo Conte, nulla sembrava più appropriato di “Diavolo Rosso” e quelle bambine bionde, con gli anellini alle orecchie.

Il buio e il freddo dell’inverno reprime l’entusiasmo degli abitanti di Helsinki che esplode nelle stagioni più calde con manifestazioni artistiche e concerti lungo le vie della città dove tutto è più allegro e anche un viaggiatore solitario trova compagnia.
Il mio viaggio in Finlandia sarebbe finito il giorno successivo quando avrei preso il traghetto per Tallin, ma quello è un altro viaggio.
Un altro adesivo è stato attaccato sulla mia valigia, profumi, luoghi e persone di questa esperienza rimarranno sempre vivi nella mia mente come una fotografia da archiviare nell’album dei ricordi di una vita in giro per il mondo.

Diego Arbore


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