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Lingue celtiche: in Gran Bretagna non si parla solo inglese

Analogie (poche) e differenze (tante) tra l’inglese e le lingue celtiche sopravvissute sulle British Isles…


13 Settembre 2012Rubriche > Nice to meet you, English!

L’inglese non è l’unica lingua parlata nell’Arcipelago Britannico. Se prendete un treno a Cardiff in Galles, noterete che gli annunci vengono dati in una lingua a voi comprensibile, l’inglese, e in una totalmente differente, il gallese. In Irlanda esistono due lingue ufficiali, ovvero inglese e gaelico irlandese e analogamente in Scozia, nelle Highlands, esiste una comunità di circa ottantamila persone che oltre all’inglese conosce il gaelico scozzese.

Ma quanto è simile ciascuna delle lingue sopracitate all’inglese? Più o meno tanto quanto l’italiano può essere simile al croato (quindi ben poco, ve l’assicuro per esperienza personale). Le varietà che ho citato appartengono alla categoria delle lingue celtiche. Vale a dire? Per capire meglio è opportuno fare alcuni passi indietro.

A partire dal XVIII secolo i linguisti hanno riscontrato, sulla base della comparazione tra diverse lingue, delle sorprendenti similitudini, specialmente nel vocabolario della vita quotidiana. Da questi confronti è stata ricostruita una lingua chiamata “indoeuropeo”, che rappresenta l’origine comune della maggioranza – non di tutte – delle lingue parlate ancora oggi dal Portogallo all’India. Alle lingue indoeuropee appartengono per esempio il gruppo delle lingue germaniche, tra cui l’inglese, le lingue romanze, tra cui l’italiano e, appunto, le lingue celtiche.

Se da un lato in Scozia, Irlanda e Galles le lingue celtiche hanno un forte valore identitario culturale, dall’altro hanno rischiato e rischiano ancora di estinguersi. Nel corso degli anni in queste regioni, per quanto percepito a lungo come lingua dell’invasore, l’inglese è diventato imprescindibile se si volevano trovare opportunità di crescita lavorativa e sociale, oppure semplicemente sopravvivere.

A questo proposito, bellissima, per quanto triste e violenta, è una delle scene iniziali di The Wind That Shakes the Barley del regista Ken Loach, in cui i soldati della corona britannica uccidono un ragazzo reo di rispondere in irlandese a una domanda posta in inglese.

Ormai, nell’Eire e in Scozia e Galles, i parlanti monolingui – una schiacciante maggioranza – conoscono solo l’inglese, mentre i bilingui parlano una lingua celtica e l’inglese. Nessuno parla soltanto il gaelico o il gallese.

In Scozia, a rendere il quadro ancora più variopinto è la presenza dello Scots, varietà germanica molto vicina all’English. Per gli scozzesi, lo Scots è una lingua a sé stante, con pronuncia e vocaboli differenti, come loch, kirk, hame, tae, ecc. invece di “lake”, “church”, “home”, “to”. Alcuni, soprattutto in Inghilterra, sostengono che lo Scots è un dialetto dell’inglese. Al contrario, per la maggior parte degli scozzesi è ovviamente una lingua. Siccome è la volontà della comunità che parla una varietà linguistica a determinare il suo status di lingua o dialetto, potremmo considerare lo Scots come una lingua, anche se il dibattito rimane ancora aperto. Tuttavia, esso è sicuramente distinto dal gaelico scozzese, che appartiene al gruppo celtico.

Proprio l’aggettivo “celtico” è salito alla ribalta da un po’ di anni anche in Italia Settentrionale. Per un certo periodo, un partito politico ha sbandierato tra i suoi cavalli di battaglia l’eredità celtica della Pianura Padana. Secondo alcuni leader di questo partito, tale patrimonio culturale celtico distinguerebbe il Nord dal resto dell’Italia e sarebbe uno dei motivi fondanti per un’eventuale secessione. Facendo questa affermazione, ci si dimentica che nelle regioni padane non parliamo lingue celtiche da secoli, ma lingue, o dialetti, derivati dal latino, veneto e “lumbard” compresi.

La guerra devastante terminata da pochi anni e a pochi chilometri da casa nostra, in Yugoslavia, è iniziata anche facendo leva su clamorose balle storiche e linguistiche, per cui dovremmo andare cauti con certi argomenti. E poi, senza scomodare la storia, basterebbe conoscere l’origine del proprio nome: Umberto e Roberto, per esempio, sono nomi longobardi, popolo e cultura germanica e non celtica. Lasciamo in pace Re Artù, lui, sì, celtico doc.

Daniele Canepa
[foto di Diego Arbore]


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