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Sentieri delineati da muri di pietra che separano i giardini delle splendide ville, il verde brillante dei prati pare moquette e le case adagiate sopra da una mano gigante. Ecco la splendida Ile de Brehat
Leggero come una foglia trasportata dal vento il suono di un’arpa accompagnava i miei passi attraverso la via che conduceva al molo, i fiori si alternavano ai bordi della strada in una moltitudine di colori, e il mare era mosso solo da una leggera tramontana, una romantica cornice per due innamorati che si abbracciavano davanti al faro.
Il piccolo porto di Ploubazlanec in Bretagna è utilizzato solamente come collegamento con l’Isola di Brehat per i turisti e i rifornimenti ed è composto da una piccola banchina in legno, un casottino per i biglietti e un bar per ristorarsi in attesa di navigare nel breve tratto di mare dell’arcipelago. La musica proveniva da una ragazza seduta sugli scogli vicino alla barca, accarezzava le corde della sua arpa con le dita lunghe e affusolate fondendosi con lo strumento in un unico essere, i capelli biondi ballavano al ritmo del vento in netto contrasto con la sua espressione malinconica.
Non potevo non riconoscere Bridge Over troubled water di Simon and Garfunkel, una canzone che risvegliava i ricordi del mio primo periodo londinese quando al mercatino di Camden Town ho acquistato la musicassetta con i loro successi.
La giornata era serena, il mare uno specchio e le poche nuvole presenti sembravano pecorelle smarrite, tutti i presupposti per una navigazione tranquilla. Il battello, poteva contenere cinquanta persone al massimo, seduto al piano scoperto per godere del paesaggio e della brezza marina ho preso la reflex e ho iniziato a scattare, mentre alcuni gabbiani seguivano l’imbarcazione volando perpendicolari alle nostre teste sfruttando le correnti senza bisogno di battere le ali. Navigando l’arcipelago attraverso piccole isole dove sorgevano spettacolari ville costruite su misura, barche a vela, pescatori e grossi fari che fino ad ora avevo visto solo in cartolina, ho incontrato il faro di Paon, tra i più famosi della tradizione della Bretagna, un’asimmetrica costruzione di pietre bianche che brillano nelle azzurre acque del canale della manica.
I cormorani osservavano i movimenti in acqua dall’alto di grandi boe, pronti a tuffarsi in caso di qualche sfortunato pesce, gli aironi si bagnavano le zampe sulle rive degli isolotti non curandosi del passaggio di alcuni pescatori.
Una volta attraccati all’Ile de Brehat mi sono incamminato in mezzo ai sentieri delineati da muri di pietra che separano i giardini delle splendide ville composti da alberi e fiori di una bellezza unica e naturale, cresciuti in un luogo che, almeno quel giorno, sembrava il paradiso terrestre.
Piccole strade salivano in ogni direzione per poi scendere in picchiata verso il mare, seduto tra ortensie e ginestre, sotto le fronde di una betulla mangiavo una pesca osservando le acrobazie dei gabbiani dall’alto di un colle, il sole riscaldava e saturava i colori ricordando i paesaggi dei quadri di Monet.
Ho ripreso a passeggiare e fotografare ogni angolo di questa tranquilla isola senza una meta precisa, attraverso passaggi sotto archi di pietra e piccole strade fiorite sono arrivato a un bivio al cui centro un gatto si riscaldava al sole. Scegliere la direzione è stato facile, il felino alzandosi si è incamminato verso destra dove una stradina scendeva verso il mare. L’ho seguito come Alice seguiva il coniglio bianco, arrivando in un piccolo golfo dove decine di persone prendevano il sole e si ristoravano al bar ascoltando le note di una Jazz band che suonava di fronte alla spiaggia. Mi sono fatto servire un trancio di pesce con patatine fritte e, seduto in riva al mare con i piedi a bagno, ascoltavo il contrabbasso suonare Fever di Elvis Presley e la tromba condire di originalità il brano.
Mi sono riposato qualche minuto e sono ripartito con una bicicletta in affitto che mi ha permesso di raggiungere gli estremi più impervi dell’isola come una bellissima scogliera a picco sul mare dalla quale ho avvistato una foca, lontana da fotografare ma sempre emozionante da vedere.
La zona più interna dell’isola ricorda un presepe, il verde brillante dei prati pare moquette e le case adagiate sopra da una mano gigante. Un piccolo uomo uscito da una porta blu mi è venuto incontro… Lui, originario di Saint-Brieuc, un paese della costa francese, racconta che le notti d’estate sono illuminate da miliardi di stelle, tante da far confondere i fari e il vento leviga la pelle facendolo sentire sempre più giovane e affascinante.
Ci siamo salutati con una forte stretta di mano, un altro personaggio componeva il puzzle dei miei viaggi e questa è la cosa che mi arricchisce maggiormente.
Nella parte più alta dell’isola sorge una piccola chiesa, dietro ad essa una strada conduce al centro del paese dove sono presenti i soliti negozi di souvenir, bistrot e creperie.
L’isola è abitata principalmente da francesi in villeggiatura per l’estate, solo poche anime ci vivono tutto l’anno, nonostante questo i servizi sono completi e adeguati per affrontare gli inverni più rigidi.
La giornata volgeva al termine, il battello delle diciannove era l’ultimo e dovevo affrettarmi, riconsegnata la bicicletta mi sono incamminato verso il molo osservando per l’ultima volta i colori dell’isola e la sua natura. Quando vuole l’uomo riesce a convivere con lei senza distruggerla.
Diego Arbore
[foto dell’autore]