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Qual è il futuro del sistema industriale italiano? In particolare di ciò che parzialmente sopravvive di quella che un tempo fu la gloriosa industria pubblica di Stato? Un estratto dell'inchiesta pubblicata sul numero 56 di Era Superba
Il declino industriale italiano e genovese è sotto gli occhi di tutti. Pensiamo all’intricata situazione dell’impresa siderurgica Ilva, il destino della società cantieristica Fincantieri, l’ipotesi di cessione del ramo trasporti del gruppo Finmeccanica, dunque Ansaldo Breda e la genovese Ansaldo Sts. Tutte realtà che nel territorio ligure conservano importanti presidi che equivalgono a diverse migliaia di posti di lavoro.
Per esaminare la questione industriale in Italia abbiamo contattato due fra i maggiori esperti in materia, Luigi Vergallo docente presso l’Università di Milano e Giuseppe Berta docente di Storia Contemporanea dell’Università Bocconi; è importante sottolineare come entrambi concordano su almeno due punti: il paese, da lungo tempo, è privo di una vera politica industriale; inoltre, così com’è oggi, senza una profonda riqualificazione, l’apparato produttivo nostrano non sembra in grado di superare le sfide della modernità e della spietata concorrenza al ribasso – soprattutto relativa al costo del lavoro – in vigore nel mercato globale.
«Paghiamo lo scotto dell’assenza di una politica industriale degna di questo nome fin dagli anni ’70, periodo in cui possiamo collocare l’inizio di una crisi per le economie avanzate, dalla quale poi in sostanza non si è più usciti – spiega Vergallo – Da qui ha preso il via un enorme processo di deindustrializzazione. In quegli anni avremmo avuto necessità di una strategia di sviluppo industriale, ed economico in senso più ampio, invece è mancata, e tuttora manca, una politica industriale forte, capace non dico di dettare la linea, ma almeno di indicare un percorso possibile. Si sono persi anni importanti. E soprattutto si continua a perdere troppo tempo dal punto di vista della ricerca».
«Aggiungo che la storia dell’industria italiana non sarebbe stata la stessa senza l’apporto dell’intervento statale – commenta Berta – che ha giocato un ruolo fondamentale di apripista e guida. Perciò non è vero che dobbiamo smantellare l’industria pubblica italiana. Bisognerebbe lanciare una grande operazione come l’inchiesta industriale del 1870-’74, o la commissione economica della Costituente nel 1946, in cui le istituzioni interrogano gli operatori da un lato per redigere un bilancio dell’esistente, e dall’altro per cercare di tirare fuori linee concrete di sviluppo. Su che cosa dobbiamo puntare? Dove concentriamo le nostre energie e risorse? Manca questa visione d’insieme».
Nello stabilimento di Genova Cornigliano i dipendenti sono 1750, di cui 1450 con contratti di solidarietà (il recente accordo tra Governo e parti sociali ha garantito la continuità di reddito e l’integrazione salariale grazie ai lavori di pubblica utilità fino a settembre 2015, quando potranno ripartire i contratti di solidarietà).
«Il cuore del problema è Taranto, e adesso l’unica strada percorribile è quella di una soluzione internazionale – sottolinea Giuseppe Berta – Ma un grandissimo operatore dell’acciaio perché compra? Può essere interessato sia ad un tentativo di riqualificazione degli impianti, sia ad un intervento di riduzione della concorrenza. Io temo che possa sussistere anche quest’ultimo aspetto». L’incognita principale, però, per il momento è soprattutto relativa a chi dovrà affrontare il costo del risanamento del sito pugliese, «dubito che il compratore voglia accollarsi simili ingenti oneri economici» . L’altro interrogativo riguarda il ridimensionamento della produzione. Un operatore internazionale che subentra di solito tende a ridurre la capacità produttiva. «Da un lato bisognerebbe riqualificare la produzione, per produrre un acciaio più sofisticato, d’altro canto si tratta inevitabilmente di ridurre la capacità produttiva, e dunque anche l’occupazione – continua Berta – I nodi critici sono tanti, e finora non sono stati affrontati con chiarezza. La siderurgia italiana ha varie faccie. Ha la faccia dell’Ilva, che è quella più problematica, ma ha pure i volti di Arvedi, di Danieli, e di altri operatori, che producono acciai speciali. Sicuramente c’è ancora spazio per la produzione italiana, tuttavia, l’Ilva dovrebbe puntare sulla produzione di acciai di qualità alta».
Secondo Berta «La colpa del nosto paese è di non aver visto un mondo in evoluzione. Basta guardare la Germania, oppure la siderurgia coreana. Quanti e quali passi avanti hanno fatto nell’ambito della riduzione dell’impatto ambientale della siderurgia. Noi, invece, cosa abbiamo fatto? In questi ultimi 25 anni è cambiato il mondo dell’acciaio, mentre in Italia siamo rimasti al palo. O perlomeno, sono cambiati soltanto alcuni nostri segmenti».
Lo storico stabilimento Fincantieri di Genova Sestri Ponente, dove sono stati costruiti transatlantici reputati tra i migliori al mondo per la loro qualità, dà lavoro a circa 560 dipendenti, oltre la metà dei quali attualmente in cassa integrazione. Tre anni fa il piano industriale del gruppo prevedeva la chiusura del presidio genovese. Oggi, fortunatamente, le ultime notizie parlano di un’imminente ripresa del lavoro. A metà luglio, infatti, si è svolta la cerimonia del taglio della prima lamiera per la nuova Regent (Seven Seas Explorer), nave da crociera extralusso che sarà realizzata nei prossimi mesi nel cantiere di Sestri, per essere consegnata all’armatore nell’estate 2016. Nel frattempo, secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe stato confermato l’ordine anche per un’altra nuova nave.
L’annuncio di due o tre anni di lavoro nel cantiere di Sestri Ponente è ovviamente una buona notizia per il sindacato. «Però, a maggior ragione perché è prevista la costruzione di una nave, probabilmente due, e questo ci rende più tranquilli, cerchiamo di capire cosa accade nel settore – sottolinea il segretario generale Fiom-Cgil Bruno Manganaro – La cantieristica vive proprio dei cicli, oggi la tendenza al “gigantismo navale” è un po’ in frenata».
Eppure ci sono nuovi settori sui quali ragionare, ad esempio «La costruzione dei cosiddetti traghetti verdi per risolvere il problema del costo troppo alto degli attuali combustibili – continua Manganaro – L’altra questione è quella energetica: parliamo della realizzazione di piattaforme off-shore per sfruttare forme energetiche alternative. Nel Nord Europa si punta molto sull’eolico in mare. L’Italia in tal senso è a zero, Fincantieri pure. Siamo indietro di anni. Insomma, dobbiamo studiare, fare ricerca sui materiali in mare, magari sviluppando nuove idee in Italia. Costruendo centri di ricerca, attraverso il legame con l’Università, ad esempio a Genova ci sarebbe tale opportunità. È il Governo che dà questi input? È l’azienda che ci pensa? Sennò, superato un momento di crisi, dopo che cosa farà Fincantieri? I singoli stabilimenti del gruppo devono essere in grado sia di realizzare una nave da crociera, sia altre tipologie di strutture, grazie alle specializzazioni, in gran parte di ingegneria navale, che potrebbero crescere al suo interno».
Senza dimenticare che Genova ancora attende il famoso “ribaltamento a mare” del cantiere, che consentirà a Sestri di superare diseconomie di scala penalizzanti. «Siamo in ritardo di 4-5 anni. Adesso abbiamo un nuovo ordine, ma una volta conclusa la commessa, senza il ribaltamento saremo di nuovo punto a capo», chiosa Manganaro.
Il nuovo Amministratore Delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, ha affermato di aver trovato “luci ed ombre” nella variegata galassia societaria del gruppo, ma anche “cose eccellenti”. Secondo Moretti “Finmeccanica fa troppe cose e deve, invece, concentrarsi sui prodotti a più alto livello tecnologico”. Quindi, una volta selezionati i settori sui quali investire, gli altri potranno essere venduti al migliore acquirente. Tra questi ultimi ci sarebbe il settore trasporti, ovvero Ansaldo Sts, azienda leader nella progettazione, installazione e manutenzione di sistemi di segnalamento, unica realtà di Finmeccanica ad aver mantenuto la sede legale a Genova, ed Ansaldo Breda, impresa attiva nella produzione di materiale rotabile.
Il presidio genovese di Ansaldo Sts conta oltre 600 lavoratori. Così, dopo aver vissuto l’uscita di Ansaldo Energia dall’orbita Finmeccanica (nell’ottobre 2013, infatti, l’84,5% delle quote societarie sono passate alla Cassa Depositi e Prestiti, che poi le ha cedute per il 40% ai cinesi di Shanghai Electric) Genova si appresta a vivere un simile processo pure per Ansaldo Sts.
Matteo Quadrone
L’inchiesta integrale su Era Superba #56