Un labirinto di bambù per un moderno collezionista e mecenate delle Arti. Nel Medioevo queste opere avevano un significato religioso, nel Settecento abbellivano ville e castelli, ma il labirinto ha sempre rappresentato una metafora dell’esistenza umana
Ho avuto recentemente modo di leggere un interessantissimo articolo su uno nuovo progetto di Landscape design, realizzato a Fontanellato nelle vicinanze di Parma grazie alla dedizione di un famoso ed illuminato mecenate italiano.
L’ideatore del progetto è un uomo di grande cultura, appassionato di storia dell’arte e collezionista di libri e di oggetti artistici. Dopo aver lavorato una vita nel settore dell’editoria e della grafica, si è ritirato a vita privata e ha completato il progetto su cui meditava da sempre: realizzare il più grande labirinto vegetale esistente al mondo.
Il parco che lo contiene aprirà ufficialmente al pubblico il prossimo primo maggio. Il disegno del labirinto si ispira ai percorsi geometrici raffigurati nei mosaici romani ed è caratterizzato da una complessa pianta a stella. Si estende su un territorio di ben sette ettari intorno ad un quadrato centrale. A differenza dei progetti realizzati dai romani, questo si compone però di un intricato insieme di biforcazioni, bivi, vicoli ciechi e ramificazioni che rendono l’insieme assai particolare e molto suggestivo. Chi passeggia tra i viali, che compongono per stratificazione il progetto, ha a disposizione ben tre chilometri di stradine che richiedono più di un’ora per essere percorsi a piedi. Sempre che non ci si perda tra le siepi di bambù alte oltre cinque metri!
Quest’essenza è presente in ben venti specie tra loro diverse, da quelle di piccole dimensioni a quelle giganti. Esse provengono dai più disparati angoli del pianeta: dalla Francia, dall’Italia e persino dalla Cina. Il bambù è stato volutamente scelto, a seguito di attente valutazioni e studi approfonditi, in luogo del più tradizionale bosso. Quest’ultimo avrebbe infatti necessitato di decenni e decenni per raggiungere un adeguato grado di sviluppo ed a trasformare così un mero disegno in una articolata realtà tridimensionale. In pochi anni il velocissimo bambù, impiantato in sito in dimensioni adeguate, ha infatti già raggiunto il pieno sviluppo e svetta ora alto verso il cielo. Muri verdi, scomposti e ondeggianti al vento, compongono un articolato disegno geometrico che si staglia all’orizzonte e che però, solo dall’alto, si può effettivamente percepisce nel suo pieno sviluppo.
Il bambù è poi una pianta eccezionale in quanto, assorbendo grandi quantità di anidride carbonica, purifica, tramite la sua crescita rapida e quasi prodigiosa, l’aria. Proprio per questo motivo, la fondazione del proprietario del parco ne mette a disposizione della collettività ben trenta diverse varietà. Esse sono disponibili per restaurare il paesaggio, per rivestire i lati delle autostrade, per nascondere il degrado e persino per ricucire le ferite causate alla campagna dalle speculazioni edilizie. A riprova di ciò e grazie al miglioramento dell’aria nella zona circostante al Labirinto, anche gli uccelli sono tornati a nidificare e le poiane sono diventate tanto numerose da essere oggi quasi un problema.
Il progetto del Labirinto è stato pianificato a quattro mani dal suo proprietario insieme ad un giovane architetto, la cui tesi di laurea sulla ricostruzione dell’isola di Citera è stata pubblicata del nostro editore-mecenate qualche anno fa.
Il parco circonda un complesso di edifici di circa cinquemila metri quadrati, di mattoni di un rosso tenue all’esterno e neoclassici all’interno con stucchi, colonne e busti in marmo. Essi completano in modo sobrio ed elegante l’idea progettuale che ha il verde come suo elemento dominante e centrale.
Sulla falsariga di quanto fece il principe de Ligne nel diciottesimo secolo, negli edifici sono già contenute le sconfinate collezioni d’arte del proprietario: libri, volumi, intere collane editoriali e le pubblicazioni di una vita… Verranno poi aggiunte, in un altro complesso di edifici, importanti raccolte di sculture, realizzate sia da autori antichi e celeberrimi quali Bernini e Canova che dai più moderni Carracci ed Antonio Ligabue. A completamento del complesso e per valorizzare il territorio parmense verranno poi realizzati anche un bistrot, un ristorante, uno spaccio di prodotti locali.
Ciò che colpisce del Labirinto è però, in ultima analisi, il significato profondo del progetto. L’intrico dei viali e lo smarrirsi tra di loro simboleggia la vita, il suo articolarsi, il perdersi ed il continuo ritrovarsi delle persone nel tempo. E’ una metafora dell’esistenza umana tra certezze illuministiche ed altalenanti, continue divagazioni.
L’ondeggiare dei bambù, molli e cedevoli al vento, accompagna costantemente il visitatore nel percorso, dissimula le vie di uscita e gli fa al tempo stesso da guida. Confonde ed indirizza. Nasconde prima, rendendo il percorso ignoto, ma poco dopo svela cosa si cela in realtà al di là dell’angolo.
Il progetto del Labirinto è spesso specchio dell’anima del suo proprietario: articolata e complessa. La sua ideazione progettuale postula forse una comprensione delle cose che si può formare solo attraverso il lento stratificarsi delle più disparate conoscenze e delle infinite esperienze, maturate nel corso di un’intera vita.
Filippo Leone Roberti Maggiore e Emanuele Deplano
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