L’inglese è la global lingua franca ma quante persone in effetti lo parlano? Hanno tutte lo stesso livello di competenza e scorrevolezza?
L’inglese è la lingua franca globale, ma questo non significa che tutti gli abitanti del pianeta lo sappiano parlare. Non è necessario andare lontano per rendersene conto: nelle nostre famiglie, per esempio, i meno giovani non sono normalmente in grado di parlare inglese perché a scuola hanno studiato altre lingue. Se ne accorgono subito anche i tanti visitatori che vengono in Italia per constatare, loro malgrado, che un gran numero di operatori in campo turistico non sanno andare oltre a “What’s your name?”
A tale proposito, apro una parentesi con una considerazione personale. Credo che gli investimenti nella formazione linguistica – e non solo – degli italiani dovrebbero diventare una priorità in ambito pubblico e privato. La nostra classe dirigente, fatta non solo di politici, ma anche di imprenditori e manager, parla sovente della necessità di riguadagnare competitività, ma come si possono presentare le qualità dei nostri prodotti o del nostro paesaggio sul mercato internazionale se non si è in grado nemmeno di scrivere un’email in inglese? Sarebbe bene partire da queste problematiche concrete, invece che dalle discussioni sui massimi sistemi, e agire di conseguenza. Chiusa parentesi.
Su una popolazione mondiale di sette miliardi di persone, possiamo stimare un numero di circa due miliardi di English speakers. La cifra è destinata a crescere, visto che ogni anno milioni di nuovi studenti si avvicinano all’inglese.
Questi due miliardi di parlanti non costituiscono una massa omogenea: normalmente gli studiosi li dividono in tre macro-categorie a secondo del paese di provenienza.
Da un lato, abbiamo territori dove l’inglese è la lingua madre, English as a Native Language (ENL) , come per esempio l’Inghilterra, gli Stati Uniti o l’Australia. Curiosamente, né in Inghilterra né negli USA il ruolo dell’inglese è stabilito de jure, probabilmente perché è stato sempre dato per scontato. Tuttavia, si registrano forti spinte verso un’istituzionalizzazione del ruolo dell’inglese specialmente negli Stati Uniti, dove la presenza di altre lingue – spagnolo in testa – è in costante aumento.
Dall’altro lato, troviamo territori in cui l’inglese, seppur non parlato dalla totalità della popolazione, è la seconda lingua, English as a Second Language (ESL), o comunque ha un ruolo ufficiale e viene usato in contesti specifici quali quello accademico o amministrativo: è il caso di grandi paesi come l’India, la Nigeria o il Pakistan.
Infine, abbiamo paesi dove l’inglese è una lingua straniera, English as a Foreign Language (EFL). Questo blocco può essere a sua volta suddiviso in due sottogruppi: nel primo inseriamo la Svezia, l’Olanda, la Danimarca e altri paesi in cui l’inglese è quasi una seconda lingua, sebbene non abbia un ruolo ufficiale. Esempi del secondo sottogruppo sono invece l’Italia, la Russia, il Giappone e la Cina: in questo caso, l’importanza dell’inglese è percepita per il suo ruolo di lingua internazionale e per le opportunità di carriera che può offrire.
Ovviamente, se il grado di conoscenza della lingua e di scorrevolezza – in inglese fluency – è generalmente alto e uniforme tra gli speakers del gruppo ENL, il quadro diventa più eterogeneo nei paesi ESL e EFL, dove si passa da parlanti che padroneggiano l’inglese allo stesso livello dei madrelingua a casi di conoscenza molto più superficiale.
Cerchiamo di dare ancora qualche numero, in particolare riguardo alla proporzione tra il numero dei native e quello dei restanti due gruppi. Il gruppo ENL conta all’incirca mezzo miliardo di persone: ciò significa che dei due miliardi di speakers of English soltanto una persona su quattro è madrelingua. In altre parole, avete molte più probabilità di parlare inglese con qualcuno che come voi non lo ha appreso dalla nascita, ma ha iniziato a studiarlo in età più avanzata.
Dal punto di vista didattico, credo che a questo aspetto non sia stata ancora data la rilevanza necessaria, ma questo è un tema sul quale torneremo prossimamente… See you soon!
Daniele Canepa
[foto di Diego Arbore]