La “doppia identità” germanica e francese dell’inglese è alla base della sua complessità. Cenni del passato per capire la lingua che studiamo nel presente…
Come insegnante di inglese mi è capitato di sentire questa affermazione: “L’inglese ha meno regole rispetto all’italiano”. Mi sono chiesto spesso la provenienza di questa sorta di urban legend.
Dal punto di vista sintattico, alla base del fraintendimento riguardo alla sua presunta “facilità” risiede forse il fatto che l’inglese ha un sistema flessivo ridotto, una caratteristica che è confusa con una maggiore semplicità in generale. Gli aggettivi, per esempio, sono invariabili: good (“buono/a/i/e”) rimane inalterato davanti a boy, girl o people, mentre in italiano si modifica l’aggettivo a seconda del genere e numero del sostantivo che esso accompagna. La coniugazione dei verbi è più agevole da memorizzare: ended è il passato del verbo to end (“finire”) e rimane invariato per tutte le persone, mentre in italiano abbiamo: “finiv-o”, “finiv-i”,ecc.
Il sistema flessivo non è sempre stato “scarno”. Per esempio, nell’Old English esistevano i casi: nominativo, accusativo, dativo erano presenti nell’inglese antico così come lo sono ancora nel tedesco. Oggi, tranne l’eccezione del genitivo sassone (Jim’s car, “l’auto di Jim”), di essi non abbiamo più traccia.
Il graduale cambiamento dell’inglese da lingua sintetica, ovvero dotata di un ricco sistema flessivo, ad analitica, è avvenuto lungo l’intero arco del Middle English. Sfortunatamente per noi, il graduale ridimensionamento della flessione non ha reso l’inglese una lingua priva di regole, anzi, come conseguenza è aumentato notevolmente il rigore relativo all’ordine delle parole nella frase.
Strettamente legata alla riduzione del sistema flessivo è la conversion, il passaggio di una parola da una categoria grammaticale a un’altra. Down (“giù”), che in origine era una preposizione, viene usata ormai anche come verbo. Nell’inglese da pub, to down significa “tracannare”: “Come on! Down it in one” (“Dai! Bevila alla goccia”).
Altro tratto peculiare dell’inglese è la corrispondenza quasi nulla tra pronuncia e grafia. Per esempio, la “o” viene letta come:
/ɔː/ in more;
oppure:
/ʌ/ in love;
Le radici della discrepanza risalgono al Middle English e alla difficoltà di amalgamare in un sistema unico due componenti così diverse come quelle germanica e francese. A questo fattore si somma il complesso di inferiorità nei confronti delle lingue classiche, che ha portato nel Cinquecento a ulteriori complicazioni dello spelling. Un caso evidente è quello di debt (“debito”): nonostante già dal XIV secolo la “b” non fosse pronunciata – non lo è tuttora – essa è stata tuttavia aggiunta nella grafia della parola, in ossequio al latino debitum.
Passiamo all’analisi lessicale. L’Oxford English Dictionary, il dizionario inglese più completo, contiene oltre 600.000 parole: il dato mi sembra già sufficientemente imponente per contraddire l’idea di una lingua “facile”.
Il francese e le lingue classiche hanno arricchito la base di parole germaniche, dando vita a una serie di doublets, ovvero sinonimi di origine diversa, come: liberty /freedom (“libertà”) e infant/child (“bambino”). Normalmente, il termine anglosassone è considerato meno formale di quello francese o latino. Per questo motivo, un italiano che usa la parola a lui più familiare commence anziché begin (“incominciare”) dà a un interlocutore inglese un’impressione immediata – ahimé poi spesso smentita – di grande padronanza della lingua.
La ricchezza del vocabolario inglese è inoltre dovuta all’espansione dell’Impero britannico e dei suoi scambi commerciali, cominciata nel Cinquecento, secolo che segna l’inizio del Modern English. L’Inghilterra e l’inglese si aprono al mondo, venendo a contatto con le lingue delle colonie. Nel vocabolario entrano parole come pundit (“esperto”, parola di origine sanscrita) e tattoo (dalla Polinesia), esempi di un processo che è ancora in corso…
Insomma, sembra che l’inglese non sia così semplice. Ma poi, esistono lingue facili e difficili? A questa e ad altre domande cercheremo di rispondere prossimamente. Bye!
Daniele Canepa
[foto di Diego Arbore]