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Londra, la capitale sognata. Quel giorno trovai lavoro in un ristorante italiano…

Seduto sui bordi della fontana di Trafalgar square sognavo un futuro a Londra, la città di cui mi ero innamorato da piccolo con i racconti di Sherlock Holmes, il canto di Natale di Dickens e le avventure di Oliver Twist


11 Febbraio 2014Rubriche

londra (4)A Londra una madida coperta di foglie ingiallite colorava Hyde Park, avvolto nella foschia di un freddo mattino autunnale, l’aura intorno ai lampioni modellava dense sfere luminose alternate da grossi aceri popolati da indaffarati scoiattoli e paperelle assopite tra i crespi arbusti ricoperti da brillanti tele di ragno, ricordavano addobbi natalizi abbandonati a sé stessi.
La sagoma zoppicante di un uomo avanzava tra il grigiore della nebbia, si trascinava a fatica e senza una particolare voglia, sotto il braccio stringeva stretto una coperta di lana, in mano un sacchetto per la spesa con gli effetti personali e un cartone di vino, quella era casa sua. Camminava nella mia direzione, calzava vecchie e dure scarpe eleganti ridotte a malconce e sgualcite ciabatte, indossava una giacca, una qualunque, non aveva mai guardato il colore ma sapeva bene quanto era calda. Giunto davanti alla chiesa di St.James ha attraversato il cortile avvicinandosi sicuro verso l’ingresso, fece un cenno con la testa a qualcuno spingendo il pesante portone scomparendo nel buio.
Sono riuscito a entrare prima che la porta si chiudesse, la chiesa era vuota, tuttavia avevo la sensazione di non essere da solo. Una tenue luce colorata filtrava dai rosoni disegnando figure religiose sul pavimento di marmo, l’aria era satura d’incenso e tra le navate il silenzio era disturbato da spettrali brusii.
Il mio cuore si è sciolto quando ho visto il tappeto di corpi che dormivano distribuiti su tutta la pianta della chiesa, alcuni tenevano ancora una birra in mano, altri non avevano avuto nemmeno la forza di distendersi, c’erano anche coppie abbracciate tra gli inginocchiatoi e fedeli cagnolini rannicchiati vicino al padrone.
Le notti senza tetto di queste persone invisibili sono guerre infinite contro il freddo e la fame, lunghe battaglie che trovano pace solo alle prime luci dell’alba quando le quattro mura di una chiesa offrono tutto ciò di cui hanno bisogno, un semplice gesto e non le parole disperse in aria di una preghiera.


eros-piccadilly.londra-DIHo ripreso il cammino passando per Piccadilly Circus dove un flusso di energia ha rigenerato il mio umore attraverso luci e colori di un crocevia sempre vivo in ogni momento del giorno. Attraversando Leicester Square e New Road sono arrivato a Covent Garden, i primi saltimbanco preparavano i loro numeri da offrire agli spettatori, si sentiva anche l’eco di una chitarra acustica arpeggiare If dei Pink Floyd, uno di quei pezzi che si possono ascoltare solo a Londra. In cielo si allargavano chiazze azzurre come secchiate d’acqua su un pavimento di schiuma, un timido raggio di sole riflesso sulla strada ancora bagnata creava piccoli arcobaleni di luce, era un monito per proseguire a piedi fino alla successiva fermata della metro.

Lungo le scale della fermata di Holborn un signore elegante, probabilmente un impiegato, scendendo velocemente mi ha scontrato con la sua valigetta, con molta educazione mi ha chiesto profondamente scusa, non curandosi del suo ritardo mi ha regalato un piccolo inchino per poi riprendere la sua corsa frettolosa contro il tempo. Il treno per King Cross St.Pancreas sarebbe arrivato entro pochi minuti ma avevo camminato abbastanza da sentirmi stanco e mi sono seduto su una panchina ad attendere, vicino a me una ragazza leggeva una rivista di moda, era distratta dai sorrisi di un giovane operaio che si asciugava la fronte arrossendo ad ogni suo sguardo.

Lo strepitio delle rotaie annunciava l’arrivo del treno, un muro di vagoni frapposto tra loro li divideva, un’ultima occhiata dal finestrino le ha fatto perdere vivacità in volto, i suoi occhi brillavano speranzosi di rivederlo il giorno seguente. Quella mattina dovevo recuperare il mio amico Sergio, viveva in un monolocale nel retro di un pub di Seven Sisters, si era raccomandato di chiedere al barman la chiave per accedere alla sua stanza e come da indicazioni sono entrato fiducioso. Il pub era vuoto ad eccezione di pochi eletti, un uomo barbuto discuteva animatamente con un amico immaginario, il barman giocava a freccette tenendo con il piede il ritmo di “Yes sir, I can Boogie” dei Baccara cantata al karaoke da una donna grassa e sfatta, erano solo le nove del mattino. Il pavimento appiccicoso emanava un odore acre di birra stagnante, il barman era concentrato per il tiro, ho aspettato che la freccetta si conficcasse una decina di centimetri fuori dal cerchio per chiedere informazioni.



londra-chinatown-DIDovevamo andare in cerca di lavoro ma Sergio era ancora a letto con i postumi della sera precedente, dormiva su un materassino gonfiabile, non ne voleva sapere di alzarsi, farneticava nel sonno di naufragi e barche affondate, dopo l’ennesimo e vano tentativo ho rinunciato lasciandolo in balia delle onde. Riconsegnato la chiave al barman e salutato il barbuto e i suoi amici immaginari, ho preso al volo il primo treno per Soho, forse il posto ideale per trovare un occupazione. A Tottenham Court Road sono passato per le vie di China Town, ho sempre amato passeggiare spensieratamente tra le luccicanti anatre glassate nelle vetrine dei ristoranti e i market di frutta sconosciuta. Una coppia di sposi usciva da uno di questi, finito il pranzo di nozze low cost si facevano fotografare ai margini della via principale, lei indossava un abito rosso, lui era felice ma alticcio, si doveva far sorreggere da un amico per restare qualche secondo in posa.

Guardavo la scenografia di Singing in the rain fuori dal Palace Theatre proprio nel momento in cui un tuono ha scosso l’aria e una cascata d’acqua si rovesciava sui marciapiedi. Mi sono riparato in un ristorante e ho approfittato dell’ora di pranzo per mangiare una pizza aspettando che cessasse il maltempo. Il titolare era originario di Genova, si chiamava Alberto, abbiamo parlato a lungo della nostra terra e di come si era trasferito a Londra negli anni sessanta scommettendo sulla qualità del cibo italiano, in principio aprì Cappuccetto come una pasticceria, nel tempo è divenuto uno dei ristoranti italiani più buoni della città. Gli ho raccontato la mia breve vita, sembrava interessato e soprattutto gli ero simpatico, così ha deciso di assumermi per un breve periodo dandomi opportunità di lavorare servendo ai tavoli nell’ora di pranzo.

Volevo festeggiare e vista l’occasione ho comprato degli spaghetti da Lina Store, un negozio di alimentari italiani nel cuore di Soho, la sera volevo cucinare per tutti ed ero sicuro che soprattutto Graham apprezzasse. Graham è un poliziotto, quelli che da queste parti chiamano Bobby, lo sguardo buono ma deciso di chi sa di servire la sua nazione e le grandi braccia per stringere forte le sue bambine. Il suo orgoglio si legge nei baffi come Peter Sellers e le camicie di Fred Perry, la birra al pub delle diciotto e la cura con cui mantiene verde il suo prato, la medesima che usa per accudire la famiglia. Ha sposato Maria, un insegnante genovese di lingue che negli anni ottanta ha trovato amore e lavoro lungo le sponde del Tamigi chiudendo nel cassetto dei ricordi le gite in vespa in riviera e quel pesto il cui profumo le bussa alla porta nelle tediose giornate del Surrey. Soggiornavo da loro per un tempo indefinito, dormivo nella calda mansarda della casa di Thames Ditton, un paesino a sud di Wimbledon raggiungibile solo con il treno, mi avevano accolto come un figlio ed io con loro mi sentivo a casa.

Passavo le notti in sala imparando i primi accordi con la chitarra di Graham oppure ascoltando vecchi vinili sdraiato sul tappeto persiano ad aspettare l’alba nascosta dalle nubi delle prime ore del giorno. La mattina era facile trovarmi riverso a terra con le cuffie ancora nelle orecchie e il disco ormai fermo, la loro unica premura era di coprirmi con uno scialle di lana, poi sarebbero andati entrambi al lavoro, adesso toccava a me ricambiare con una bella spaghettata, mi sembrava un giusto ringraziamento.

Seduto sui bordi della fontana di Trafalgar square sognavo un futuro a Londra, la città di cui mi ero innamorato da piccolo con i racconti di Sherlock Holmes, il canto di Natale di Dickens e le avventure di Oliver Twist. Sono arrivato a Victoria station percorrendo The Mall e assistendo al cambio della guardia di Buckingam Palace, non vedevo l’ora di raccontare a Maria del nuovo lavoro e sono salito sul primo treno per Thames Ditton. Le campane della chiesa suonavano puntuali, come ogni sera, le foglie degli alberi cadevano a ritmo di ogni rintocco e il loro suono solenne era trasportato in ogni direzione come un’onda del mare. Attraversavo il piccolo ponte in pietra sul Tamigi, dove il suo corso è calmo e l’acqua meno torbida.
Alcuni bambini giocavano a calcio su un prato in attesa che le mamme li chiamassero per cena, li osservavo invidioso, avrei fatto volentieri qualche tiro ma volevo arrivare presto per cucinare.
Seguendo con gli occhi l’azione di uno di questi, non mi sono accorto di un piccolo cespuglio che mi ha fatto inciampare, gli spaghetti sono rotolati nel fiume e si sono allontanati per poi sprofondare insieme alla cena.
Le finestre illuminate si riflettevano sulla strada ancora bagnata, una colonna di fumo grigio saliva dal camino e la luna appena sorta si prendeva gioco di me con il suo malizioso sorriso.
Mi sono lasciato alle spalle il cancello e dalla porta è apparso Graham con i folti baffi e i suoi occhi scuri come nocciole che mi osservavano curioso, avevo il viso stanco e sembravo preoccupato.
Mi chiese se andava tutto bene, io sorrisi come se avessi vinto alla lotteria “Ho un lavoro caro Graham, stasera pizza per tutti, offro io!”

Diego Arbore


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