Troppo cibo invecchia la mente, ma le industrie farmaceutiche sono al lavoro per trovare il rimedio chimico
Mangiare troppo invecchia il cervello. Questo è l’ultimo allarme che ci arriva dal mondo della medicina. Secondo una ricerca, pubblicata sulla rivista “PNAS”, dal team dell’Università Cattolica di Roma, coordinato da Giovambattista Pani in collaborazione con Claudio Grassi, una iperalimentazione inibirebbe una proteina, nome scientifico Creb1, deputata a mantenere dinamiche le sinapsi neuronali, centri strategici per il passaggio delle “informazioni” chimiche dal cervello–periferia o dalla periferia-cervello che servono a mantenere l’efficienza dell’intero organismo.
Con l’avanzare dell’età, questa proteina va incontro ad una diminuzione fisiologica che innesca un processo progressivo di senescenza delle capacità cerebrali, non ultima quella della memoria, e che rende la nostra “centrale operativa” più esposta alle malattie tipiche della terza età quali demenza senile ed Alzheimer.
Creb1 agisce modulando l’espressione di altri geni tra cui quelli delle molecole della longevità, le sirtuine e, a sua volta, può essere modulata da fattori di crescita chiamati neurotrofine, da alcuni farmaci e, persino, da caffè e tè ma ridurre, con una dieta parca, di circa il 30% l’apporto calorico, sembra il metodo più immediato ed efficace per attivarla e ripristinare il corretto funzionamento delle sinapsi.
I risultati, emersi da sperimentazioni su topi, dimostrano, infatti, che animali sottoposti a restrizione calorica hanno migliori performance cognitive, sono meno aggressivi e non sviluppano, se non tardivamente, alterazioni simili a quelle della malattia di Alzheimer.
L’azione di questo prezioso meccanismo si estrinseca, in modo particolare, sull’area prefrontale, dove risiedono le funzioni legate alla memoria, area che è soggetta, coll’avanzare dell’età, ad una diminuzione di peso e volume quantizzabile in un calo di circa il 15% in un ottuagenario.
Nessun allarme per i buongustai nostrani: le industrie farmaceutiche sono già in moto alla ricerca di medicine in grado di sortire lo stesso effetto senza privarci del piacere della tavola, piacere a cui ci “sottopone” la nostra variegata cucina italiana, specialmente, in questo periodo dell’anno. Il fine, oltre a quello di fornire uno strumento per un benessere generale, è di migliorare malattie quali quelle legate a disordini metabolici come obesità e diabete.
A tal proposito, in un articolo del luglio scorso, pubblicato su Nature, si individuava nella guanfacina uno dei composti più promettenti per ‘ringiovanire i neuroni‘, un farmaco approvato per il trattamento dell’ipertensione negli adulti e i deficit prefrontali nei bambini. Ma il cammino è ancora lungo: non ci rimane che moderare i pranzi pantagruelici in agguato tra Natale e Capodanno non senza rivolgere lo stesso consiglio alla nostra vetusta classe politica che ogni giorno ci dimostra come l’immunità parlamentale non si applichi alle funzioni fisiologiche delle loro menti “eccelse”.
Adriana Morando