Utilizzare metafore concettuali per ottenere il consenso popolare o per addolcire la pillola amara della guerra: ne sa qualcosa l'America di Bush e le sue bombe intelligenti e pulite
“Devo investire il mio tempo libero nello studio dell’inglese.” Quante volte vi sarà capitato di sentire quest’affermazione o quante volte sarete stati voi stessi a pronunciarla! Se l’avete fatto, senza rendervene conto, avete utilizzato una metafora concettuale.
Vi chiedo scusa. Messa in questi termini può forse sembrare che abbiate commesso un’azione malvagia, della serie: “Hai usato una metafora, pentiti subito!” In realtà non avete fatto proprio nulla di male. Anzi, per quanto raramente ne siamo consci, l’uso delle metafore nella lingua quotidiana è assolutamente normale.
Infatti, ricorriamo in modo continuo e sistematico alle metafore quando parliamo; soprattutto, però, le utilizziamo quando pensiamo. Questo è il risultato al quale sono arrivati due studiosi americani, George Lakoff e Mark Johnson, gli autori della Conceptual Metaphor Theory (CMT), ovvero la Teoria delle Metafore Concettuali.
Nel loro libro Metaphors We Live By, pubblicato nel 1980, Lakoff e Johnson parlano della natura concettuale delle metafore, che invece normalmente vengono associate al linguaggio, in particolare a quello poetico. I due linguisti americani sostengono che ricorriamo a domini concettuali più concreti e immediatamente comprensibili per interpretare gli aspetti o i domini concettuali più astratti e complessi della realtà che ci circonda. Queste metafore concettuali trovano poi espressione nel linguaggio che usiamo quotidianamente. Per esempio, possiamo concepire il dominio concettuale del tempo, più astratto, attraverso quello più concreto del denaro. Da qui vengono generate espressioni linguistiche quali: “risparmiare tempo” e, appunto, “investire il proprio tempo” (in inglese “investing in one’s time”) come nell’esempio iniziale. Un’altra metafora concettuale esprime l’amore, dominio più astratto, partendo da quello più concreto del viaggio. La frase: “La nostra storia è giunta al capolinea” è un buon esempio linguistico della metafora concettuale L’AMORE E’ UN VIAGGIO.
Forse in ossequio alla metafora concettuale che vede la vita come un viaggio, Lakoff, così come un altro grande linguista, Noam Chomsky, ha iniziato un lungo percorso che l’ha gradualmente condotto ad applicare le sue teorie linguistiche alle scienze politiche, riscontrando in particolare un uso proditorio delle metafore nella ricerca del consenso popolare da parte dell’amministrazione Bush a sostegno dell’operazione Desert Storm contro l’Iraq durante la Guerra del Golfo (1991).
Le osservazioni di Lakoff non sono affatto paranoie complottistiche. Come già abbiamo avuto modo di vedere nella scorsa puntata, parole, pensieri e azioni sono strettamente connessi tra loro e come cittadini attivamente impegnati e informati è nostro compito filtrare sempre con grande attenzione ciò che ci viene detto dai media. Pensate alle peacekeeping missions, le cosiddette “missioni di pace” dei Blue Berets (i “caschi blu”). Per esempio, di quali azioni di peacekeeping si sarebbero resi protagonisti i soldati ONU a Srebrenica, durante il più sanguinoso genocidio avvenuto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale? Oppure vogliamo parlare delle “smart bombs”, le “bombe intelligenti” che ogni tanto si instupidiscono e colpiscono la popolazione civile? Che cosa dire poi delle clean bombs, armi di distruzione di massa, ordigni termonucleari definiti “puliti” (clean, appunto) soltanto perché limitano il fallout radioattivo? Pensiamo alla misura in cui espressioni di questo tipo agiscono da dolcificanti – per non dire anestetici – per la nostra mente, quando si parla invece di azioni militari, le quali spesso causano la morte di innocenti. Quanta ipocrisia! E quanta vergogna dovrebbe provare chi distorce con questi mezzucci linguistici la tragica verità della guerra!
Per concludere e sdrammatizzare – ma non troppo – torna alla mente una celebre scena di “Palombella Rossa” di Nanni Moretti: “Come parla! Le parole sono importanti,” urla il protagonista del film alla sua intervistatrice. A volte ci dimentichiamo di quanto questa frase sia semplice, ma vera… See you!
Daniele Canepa