Di anno in anno, per decenni, alberi grigiastri si trasformano, nel tiepido vento primaverile, in mutevoli chiome verdi dalle scintillanti infiorescenze
Ippocastani a primavera
Fluttuanti nuvole verdi, cangianti onde dai bianchi spruzzi che rifrangete l’altero sole, impassibile nel suo eterno fulgore. Vagate lente nello stanco vento, bagliori chiari, infinite sfumature, dal colore delle tenere foglie fino a quello delle alghe.
Uniformi alla brezza vi piegate, vi flettete come non materici. Non sembrano i bruni rami esservi di intralcio, impalcature mirabili nelle tempeste e leggiadre nella tiepida e quieta aria primaverile.
Candidi fiori come increspature nel mare in bufera, infrangono e dividono i mille toni del verde, scintillanti nel giorno che muore.
Sotto le vostre chiome ancora deboli di molli foglie, nella sferzante luce del sole secolari vi reggono i tronchi, incrinati dal tempo, corrugati dagli anni, immobili nell’eterno ed imperituro moto dei rami.
Alberi, sembrate, nel vostro bruno grigiore, apparentemente morti a primavera, nonostante la linfa vitale, lenta, già scorra.
Troppo forse sprezzanti dei secoli, resistete solenni, fino all’estrema, ultima, sferzata di vento, cui cederete, freddamente indifferenti e maestosi, nel lacerante scricchiolio dello schianto.
Filippo Leone Roberti Maggiore
[si ringrazia per i suggerimenti Lorenzo Fabro]