Al tempo stesso pittore, poeta, architetto e persino un po' moderno alchimista... Più che una professione è la “missione” di chi sa mediare tra arte, storia e natura, modificando il paesaggio con innata e non frequente sensibilità
Ho letto, con curiosità, l’altra sera un interessante articolo relativo ad un notissimo paesaggista italiano. Devo dire la verità, ne sono rimasto affascinato, profondamente. Non sono un neofita, ho visto i principali giardini d’Europa e del mondo. Ho letto molto, tanto gli autori inglesi (maestri nel campo) quanto gli scritti dei principali architetti italiani, qualcosa dei francesi e persino dei belgi… Ho addirittura comprato un volume sul “Landscape design” in Svezia ma devo essere onesto, ho ceduto di fronte all’impossibilità di comprensione linguistica. In un certo senso, sinora ho però solo capito di non sapere. Come opera e chi è veramente il paesaggista?
In fondo in tanti articoli che si sono succeduti nella nostra Rubrica non abbiamo mai definito questa figura. Ebbene leggendo quel brano e soprattutto ragionando sul tema forse ho in parte compreso. Non è un architetto, non è un artista, non è un botanico o un ingegnere, non può neppure essere definito un giardiniere. E’ un insieme di tutte queste cose, unite ad una indomita passione per il viaggio, alla sbigottita ed ingenua meraviglia di fronte allo spettacolo della Natura ed alla bizzarra fantasia dell’alchimista.
Il paesaggista deve possedere le doti del pittore, la sensibilità del poeta, deve capire il mondo naturale, distinguere le specie vegetali, percepire le leggi non scritte che regolano la vita delle piante… Deve essere un tipo “straordinario”, nella sua accezione di fuori dell’ordinario. Deve muoversi con sapienza tra rigide norme (architettoniche e botaniche) senza il rispetto delle quali crollerebbero i muri dei parchi, cederebbero gli argini dei torrenti, morirebbero le piante senza mai acclimatarsi, poter crescere o fiorire.
Deve però essere in grado di violare le regole e di sapere esattamente quando ciò deve essere fatto. Senza questo innato talento, il progetto sarebbe sterile, lineare e privo di quella aura vitale che solo la natura solitamente infonde. Il paesaggista deve rispettare il contesto ma saperlo, al tempo stesso, piegare docilmente al suo volere senza che ciò sia percepito o risulti mai percepibile. Il giardino apparirà così come parte del verde circostante, mera porzione del tutto, rispetterà il “genius loci” e, nell’impalpabile distaccarsene, lo esalterà.
I cespugli che sono costati ore di sapienti potature sembreranno così naturali e soltanto frutto di crescite regolari e continue. Gli alberi faranno da cortina al tutto come se fossero stati sempre lì, spuntati in basi alle casuali leggi della natura. I prati si perderanno tra i boschi, si confonderanno con i laghetti ed i ruscelli, avranno contorni smussati e si caratterizzeranno per una attenta e studiata trascuratezza. Il paesaggista deve quindi capire l’esistente, rispettarlo e sapersi imporre su di esso impercettibilmente e leggiadramente. Per questo pochi sono i progetti veramente riusciti, in cui il talento innato dell’autore spicca. A prescindere dai suoi titoli accademici. Per fare tutto questo è necessario un lungo percorso di studi, di viaggi, di curiosa visita a parchi e giardini di tutte le epoche e di tutti i paesi ma anche una lenta e profonda crescita professionale, personale ed umana. Serve acquisire una peculiare e non immediata sensibilità, un rispetto profondo per le cose e gli esseri viventi, animali e vegetali.
Per tutti questi motivi ho conosciuto molti paesaggisti ma pochi sono effettivamente all’altezza di tale nome in quanto questi soli sanno incidere nel contesto senza cedere alla naturale tendenza di apparire e di dominare la scena. Possono spontaneamente riuscire nel non facile compito di riprodurre il paesaggio senza copiarlo. Sono in grado di esaltarlo semplicemente, attraverso sapienti e mirate variazioni sul tema.
Come le fotografie qui riprodotte ben dimostrano forse per fare questa professione bisogna essere, al tempo stesso, innatamente poeti, avventurosi viaggiatori, artisti estrosi ed avere uno Studio, dall’apparente caotico disordine di una “wunderkammer”, simile a quello di un moderno alchimista!
Filippo Leone Roberti Maggiore e Emanuele Deplano
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