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Fino al 9 ottobre in scena al Teatro Duse di Genova il dramma borghese dell'autore siciliano che racconta, in un atto unico, la storia di un malato di tumore che indaga sui misteri della vita
Luigi Pirandello (1867-1936) comincia a scrivere di teatro mentre ancora prospera il “teatro borghese”, che propone tesi moral-sociali, anche d’avanguardia, ma sempre meno aderenti alla vita reale. Nella cornice del teatro del proprio tempo, l’autore immette la novità e l’energia di un pensiero singolare che, corredato da un dialogare serrato e viscerale, finisce per rompere “tranquillità” acquisite e far dubitare di ogni assetto precostituito. La vita, secondo Pirandello, è una beffa continua che non si lascia assaporare mai, fa vivere l’uomo in un’illusoria realtà del presente mentre lo lega ai ricordi del passato.
Il fulcro del pensare pirandelliano è superbamente centrato da L’uomo dal fiore in bocca, rappresentato per la prima volta nel 1922, quando la vena dello scrittore, in età matura, si stava rivolgendo dalla letteratura al teatro, con forme vigorose e drammatiche, rimaste latenti nel romanziere, che ne decretarono il successo.
La scena si svolge nel cuore della notte in una remota stazione ferroviaria: due uomini si incontrano e uno si porge con rara gentilezza all’altro che ha perso il treno, fradicio di temporale, carico di pacchetti destinati alle donne di famiglia, gonfio di invettive verso la vita insoddisfacente che conduce, a suo dire, a causa delle stesse.
Il personaggio lamentoso e “pacifico” dell’avventore ha in realtà lo scopo di fare da spalla allo sfogo sempre più incombente e incalzante dell’altro, affetto da un tumore dal nome tanto dolce da sembrare un musicale scioglilingua, ma che conduce inesorabilmente alla morte: il dialogo si trasforma in un monologo attraverso il progressivo ammutolimento dell’uomo “pacifico” che , fino alla rivelazione aperta, avverte il dramma senza comprenderlo appieno.
La consapevolezza della prossima fine della vita aumenta la ricerca della vita mediante l’osservazione di quella degli altri, comprese le azioni più ripetitive e insignificanti: il malato osserva ma anche spiega la vita al suo compagno e gli indica, quasi con gioia, come viverla godendo del quotidiano. Ma atteggiamenti bruschi e inattesi rivelano lo stato ossessivo del protagonista, teso, come tutti gli infermi, a commisurare la realtà alla propria situazione.
Nell’azione si inseriscono brani che vorrebbero fornire spaccati di vita coniugale e che rivelano la cattiva e banale opinione sul genere femminile maturata nell’autore dall’infelice riuscita del proprio matrimonio.
Interpretazione sublime, ambientazione indovinata, effetti sonori memorabili ed emblematici, come lo sbuffare della locomotiva a vapore di un treno che non si lascia mai prendere, nonostante il convulso agitarsi del viaggiatore.
Elisa Prato
+ “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello, al Teatro Duse fino al 9 ottobre 2016.
Regia di Gabriele Lavia. Con Gabriele Lavia, Michele Demaria, Barbara Alesse.