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L'evasione fiscale ci costa più del sistema pensionistico, ma si scontenterebbero troppi elettori e l'illegalità diventa ammortizzatore sociale
L’evasione fiscale ci costa 120 miliardi l’anno. La stima (prudenziale) è quella fatta da Nunzia Penelope nel libro Soldi Rubati (2011, Ponte alle Grazie). E appare assolutamente realistica, perché basata su stime di organi pubblici come la Corte dei Conti.
D’altra parte, che non si tratti di un numero campato in aria, lo si capisce considerando che solo con l’ultimo condono sono stati rimpatriati 100 miliardi di capitali (dai quali, per inciso, lo Stato ha ricavato la miseria del 5%). Per dare un metro di paragone, in base a quello che è scritto nella lettera che Berlusconi ha portato a Bruxelles la scorsa settimana, l’effetto correttivo sui bilanci pubblici di tutti gli interventi “lacrime a sangue” presi dal Parlamento quest’estate sarà pari, da qui al 2014, a 60 miliardi di euro.
Il che vale a dire che basterebbe non sconfiggere, ma dimezzare l’evasione fiscale per risparmiarci gran parte dei sacrifici che il dissesto dei conti pubblici, la crisi economica e la speculazione internazionale ha reso necessari. Tant’è vero che il governo ha cominciato a battere sul tasto del recupero dell’evasione come leva per il risanamento. Peccato però che non si possa fare molto affidamento su un incasso virtuale. E’ come per quelle società che mettono a bilancio, in attivo, i crediti non recuperati: sono soldi dovuti, è vero, ma non sono a disposizione (e chissà mai se lo saranno).
Infatti l’Europa ci ha avvertito che non si fida di quelle che, allo stato attuale, rischiano di essere promesse che non si possono mantenere. Combattere l’evasione non è facile. In particolar modo in Italia. Per quale motivo? Si potrebbe cominciare dicendo che un premier imputato più volte per reati fiscali potrebbe avere qualche remora a inasprire le leggi contro i reati fiscali. Se poi questo stesso premier, a parole, legittima l’evasione, quando la tassazione agli occhi del contribuente appare troppo alta, è chiaro che poi passano messaggi poco proficui. Ma dare la colpa di tutto a Berlusconi sarebbe un errore.
I grandi evasori si sentono tutelati grazie a leggi “benevole” fatte da governi di destra e di sinistra. E non ci sono solo i grandi evasori: il partito di chi non paga le tasse è trasversale. Sappiamo tutti che a non fare lo scontrino o a non rilasciare le ricevute sono un po’ tutte le categorie di commercianti e liberi professionisti. Solo il lavoratore dipendente non evade (ma unicamente perché non può, dato che le tasse gli sono detratte direttamente in busta paga).
Arriviamo così al nodo del problema: uno stato di illegalità diffusa che coinvolge un po’ tutti e che costringe i politici che vogliano mantenersi la poltrona a non calcare troppo la mano contro l’evasione fiscale. Come siamo arrivati a questo?
Con le soluzioni all’italiana, ossia tollerando l’evasione come ammortizzatore sociale. Le tasse sono alte, è vero, ma tanto si da per scontato che nessuno, grande o piccolo che sia, si mette a pagare tutto. E comunque l’economia va abbastanza bene, lo Stato si indebita ma riesce a fare un minimo di spesa sociale e tutti riescono più o meno ad adattarsi.
Ma poi arriva la crisi. Ci si accorge che i conti non sono poi così in ordine e finanziare il debito costa sempre di più. Qualcuno comincia addirittura a paventare il rischio di insolvenza. Allora si taglia prima di tutto la spesa pubblica (cioè i servizi e gli incentivi). Poi si aumentano le tasse (più o meno occultamente). Ma fino a un certo punto.
Come ha scritto una volta Michele Boldrin su Il Fatto Quotidiano, se prendiamo il PIL italiano, scorporiamo la stima del lavoro nero che non è tassato (il 12,5% secondo i conti dell’economista) e lo dividiamo per quello che incassa lo Stato, otteniamo una percentuale che registra la nostra pressione fiscale come la più alta del mondo! Superiamo persino quella dei paesi scandinavi, dove però ci sono servizi pubblici di altissima qualità.
Morale: dato che le tasse sono già altissime, se non si vuole deprimere completamente l’economia, per fare cassa bisogna trovare altre soluzioni. Arriviamo così all’ultima novità: toccare il costoso sistema pensionistico. L’evasione invece, che ci costa forse anche di più, al di là degli spot, non si tocca: si scontenterebbe troppa gente.
La nostra debole politica si può permettere di colpire solo le categorie più deboli, oppure di scaricare i sacrifici sulle spalle dei cittadini nel modo più ampio e indiscriminato. Perché gli Italiani sono l’unica categoria che non è abbastanza compatta per organizzare una protesta coerente.
E’ così che siamo finiti in un tunnel da cui non sappiamo come uscire. Certo, ci sarebbe sempre la via più semplice: prendere provvedimenti che non abbiano a che fare con il calcolo elettoralistico di accontentare o di scontentare qualcuno, ma con la giustizia. Tanto per fare un esempio, si potrebbero colpire i privilegi indebiti, i comportamenti illegali e le inefficienze costose. Basterebbe appellarsi all’equità e dire: dobbiamo fare questo e questo non perché è conveniente per qualcuno, ma semplicemente perché è giusto. Peccato che quando l’illegalità è la regola, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non si distinguono più.
Andrea Giannini