E' corretta la linea che sta portando avanti il nostro governo tecnico? Un video su youtube ci svela quanto la politica italiana oggi sia lontana da un vero e costruttivo dibattito politico
L’altro giorno, girovagando su youtube, mi è capitato di pescare un dibattito in cui venivano discussi temi economici di più stretta attualità. I due invitati si scambiavano giudizi di questo tenore:
«Oggi il PIL non restituisce una buona misura di cosa succede alla nostra società e alla nostra economia».
«Di cosa abbiamo bisogno quindi? Di un mondo in cui ogni paese non punti a commerciare in surplus [puntare tutto sulle esportazioni, n.d.r.]; cosa che i tedeschi ritengono sia possibile, mentre il resto di noi ha questo problema di non riuscire a farselo andare bene [ironico, n.d.r.]».
«Ci sono un mucchio di ragioni per non avere un ritorno generale al protezionismo […]; ma la giusta idea a cui rapportarsi è quella di una società decente con una forte rete di protezione».
«La teoria standard è che con il libero mercato i paesi nel loro insieme vadano a stare meglio, perché i paesi vincitori compensano i paesi perdenti. Peccato che [in realtà] non lo facciano mai».
«Gli avvocati della globalizzazione, mentre parlano delle meraviglie della globalizzazione, allo stesso tempo dicono che per competere devi rimuovere ogni rete di protezione sociale: e in questo senso fanno male doppiamente alle classi medie e basse».
«La Germania sta facendo relativamente bene in questa crisi; non – io penso – così bene come credono loro, ma hanno fatto relativamente bene. [Anche se] quando l’euro andrà in pezzi, allora scopriranno di avere qualche problema. Ma quello che è stato davvero incredibile è guardare i conservatori del nostro paese assumere la Germania come un’icona: “Loro hanno l’austerità!”. Cosa che in realtà non hanno affatto. Perché allora la Germania è stata in grado di esportare così bene? Pagano salari molto alti […]; hanno uno stato sociale molto esteso […]; hanno un’educazione tecnica molto buona, con una collaborazione molto stretta tra il sistema educativo e l’industria; uno stato forte […]; e la forza lavoro ha la sua rappresentanza nei consigli d’amministrazione».
«C’è questo fatalismo: “è l’economia globale”, “non c’è niente che si possa fare”, “è una cosa estrema”, “non si può avere quel tipo di società relativamente equa e quella giustizia sociale che forse erano possibili tempo addietro, quando il resto del mondo era in rovina”. Sento queste cose tutto il tempo. Ma date un’occhiata a certi paesi: quelli scandinavi sono riusciti a mantenere un alto livello di distribuzione [sociale] dei benefici derivanti da un’alta crescita economia e da un’alta produttività. Quindi, non è inevitabile essere dove siamo adesso. […] Sono scelte. Sono scelte che riguardano il modo in cui gestiamo i mercati. Perché la ridistribuzione dei guadagni del mercato non è qualcosa di garantito da Dio: c’è una logica da usare per influenzarla. E ha anche a che fare con quello che si fa dopo: se si garantisce una copertura sanitaria universale, se si garantisce un supporto decente, se si assicura un sistema educativo con solide basi a tutti, e non solo alle persone a cui capita di vivere nel quartiere giusto».
«L’idea che si deve tenere una tassazione bassa sui guadagni alti, per via delle straordinarie ricadute, semplicemente non è giusta: non è supportata dalla teoria né dai fatti. Un’alta tassazione sui grandi guadagni sarebbe invece perfettamente ragionevole».
«[L’America] aveva un deficit negli anni prima della crisi. E gente come me pensava non fosse una buona idea. Perché? Perché George Bush voleva tagliare le tasse a chi aveva entrate alte e portare avanti un paio di guerre che non avevano fondamento. E questo non aveva niente a che vedere con gli stimoli all’economia che possono venire dallo Stato».
«Date un’occhiata a chi è nei guai in termini di debito. Viene fuori che sono SOLO i paesi che non hanno più una loro propria moneta».
«E’ semplicemente una correlazione grossolana quella per cui i paesi con alto debito finiscano per avere una bassa crescita. Se cominciate a osservare la cosa, scoprite che è esattamente l’opposto: sono i paesi che hanno scarsa crescita a finire per avere un debito alto».
«[…] Abbattere, tagliare le spesa, mentre le entrate fiscali diminuiscono: abbiamo già fatto questo esperimento. Il Fondo Monetario Internazionale ha forzato questa sperimentazione su un bel numero di altri paesi, e la Banca Centrale Europea lo sta facendo sulla Grecia. E abbiamo scoperto due cose a riguardo: 1. i paesi sono andati in depressione, 2. il deficit non va giù come ogni volta si spera. E tutte le volte si dice: “Ops, questa si che è una sorpresa!”. Io invece sono sorpreso che ci sia chi si sorprende!».
«Una delle dottrine standard dei liberisti è: salari più flessibili, niente sindacati e l’economia andrà meglio. Eppure i paesi che hanno sindacati forti e migliori protezioni per il lavoro hanno fatto meglio in termini di risposta alla crisi».
Volete sapere chi raccontava queste serie di evidenti panzane? Chi metteva in discussione la vulgata del nostro tecnicissimo e competentissimo governo? Quale gruppo di ingenui grillini? Oppure quali pericolosi no global dei centri sociali?
Il primo fan di Casaleggio è Paul Krugman, professore a Princeton, editorialista del New York Times e premio nobel per l’economia nel 2008; l’altro inguaribile stalinista è Joseph Stiglitz, professore alla Columbia, ex-vice presidente e capo economista della Banca Mondiale, e premio nobel per l’economia nel 2001. La conferenza (in inglese) la trovate qui.
Ora, vorrei che le implicazioni fossero assolutamente chiare. Queste cose in Italia, semplicemente, non vengono dette. O se vengono dette, c’è sempre qualche persona davvero intelligente che alza il sopracciglio o accenna a un sorrisetto di scherno. Eppure negli Stati Uniti (che non sono la Corea del Nord) certe cose le possono dire tranquillamente i più grandi economisti, senza per questo rovinarsi la carriera. Vogliamo ammettere quindi, una volta per tutte, che la nostra informazione è completamente appiattita sul pensiero unico del governo non perché sia l’unica opzione possibile, ma perché evidentemente bisogna convincere la gente che sia così?
Ma le parole di Krugman e Stiglitz dimostrano anche un’altra cosa: che la sinistra italiana ha divorziato dal suo storico ruolo riformista non perché – come ci hanno sempre raccontato – il pensiero di sinistra non fosse più realisticamente sostenibile, ma per la precisa scelta di privilegiare il rapporto con il potere industriale e finanziario a scapito della difesa di lavoratori, sindacati e pubblici servizi. Vogliamo perciò smettere, una volta per tutte, di definire queste forze politiche “di sinistra” visto che nella pratica sono “diversamente di destra”?
Andrea Giannini
[foto di Diego Arbore]