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Le espressioni politicamente corrette riflettono un atteggiamento di particolare sensibilità nei confronti di determinate categorie di persone, affinché tali gruppi non si sentano in alcun modo offesi
Tra le tante parole, espressioni, frasi della lingua inglese che sono penetrate nell’italiano, ce n’è una particolarmente frequente: politically correct. Le espressioni politicamente corrette riflettono un atteggiamento di particolare sensibilità nei confronti di determinate categorie di persone, affinché tali gruppi non si sentano in alcun modo offesi, turbati o discriminati.
Questo, in principio, era lo scopo della political correctness, espressione la cui origine, secondo il manuale di storia della lingua inglese di Geoffrey Hughes, A History of English Words, risale agli anni Sessanta.
Fu così che negli Stati Uniti di quel periodo, segnato dalle lotte per i diritti civili guidate da grandi leader come Martin Luther King o Rosa Parks, le parole black o negro vennero prima attenuate con coloured e successivamente sostituite da Afro-American o African-American, come si può ascoltare in questo discorso di un altro celebre attivista, Malcolm X .
Il guaio è che, come spesso succede, con il passare del tempo le ragioni che hanno portato a coniare nuove parole ed espressioni vengono perse di vista e allora accade che un sondaggio condotto negli anni Novanta negli USA riveli che una larga maggioranza di neri preferisca essere nuovamente chiamata black e non African-American, considerato che intanto le discriminazioni razziali sono ancora all’ordine del giorno.
Nel suo carattere puramente formale e spesso mancante di sostanza – come appunto nel caso di black / African-American – la political correctness è la spia di un atteggiamento falsamente paternalistico della nostra società occidentale piuttosto che autenticamente compassionevole nei confronti degli emarginati e degli ultimi.
A ulteriore riprova di ciò è l’esempio di with learning difficulties – “con difficoltà di apprendimento” – che in inglese ha sostituito mentally handicapped, considerato troppo diretto e quindi offensivo. Come riportato dal linguista David Crystal nella sua Cambridge Encyclopaedia of the English Language, negli anni Novanta fu lo stesso direttore del marketing di Mencap, un’organizzazione benefica, ad affermare che i bambini per prendersi in giro si chiamavano “LDs” (acronimo di Learning Difficulties). Se dietro alle parole non c’è una sincera intenzione, possiamo anche parlare di genius anziché LD ma il nostro intento di base risulterà comunque discriminatorio.
Altri esempi divertenti sono quello di vertically challenged (“che ha un handicap verticale”, ovvero “che è basso”) anziché short o mentally challenged anziché unintelligent o stupid… Folically challenged, poi, per le persone calve, si commenta da sé.
Per concludere il discorso sulla political correctness, suonano quanto mai opportune le parole di un filosofo inglese del Seicento, Sir Francis Bacon: “Men imagine that their minds have command of language: but it often happens that language bears rule over their minds.” (“Gli uomini pensano che le loro menti controllino il linguaggio: ma accade spesso che sia il linguaggio a dominare le loro menti.”) See you!
Daniele Canepa