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Stepchild adoption e unioni civili, a mancare è stata la chiarezza: le adozioni per coppie gay esistono già

Dopo mesi di dibattito intorno al ddl Cirinnà sono tanti i punti ancora da chiarire. Il disegno di legge originario con la stepchild adoption prevedeva davvero le adozioni omosessuali? Ecco come stanno le cose nella nostra ultima puntata dello speciale sulle adozioni, in cui abbiamo fatto una lunga chiacchierata con i responsabili di Arcigay Genova e Liguria


26 Aprile 2016Inchieste > Adozioni

unioni-civili-gay-prideUnioni civili, stepchild adoption, e ddl Cirinnà sono stati gli argomenti che hanno caratterizzato per mesi l’agenda politica italiana. E hanno rappresentato anche lo spunto da cui siamo partiti per il nostro viaggio alla scoperta di come funziona il sistema di adozioni e affidi, con particolare riferimento alla nostra città e alla nostra Regione. Tra favorevoli e contrari, il dibattito sulle unioni civili è stato un tema caldo, attorno al quale sono state montate campagne mediatiche importanti, non prive di strumentalizzazioni.

Stepchild adoption: facciamo il punto

È bene sottolineare che la stepchild adoption (in italiano adozione del figliastro o, più elegantemente, del “configlio”) è già prevista nell’ordinamento legislativo italiano dalla legge 184 del 4 maggio 1983, il cui art 44 “adozione in casi particolari”, riconosce al genitore non biologico il diritto di adottare il figlio, naturale o adottivo, del coniuge dopo tre anni di matrimonio. Nel 2007 questo diritto è stato esteso anche alle coppie eterosessuali non sposate, in grado di dimostrare di aver vissuto more uxorio (“secondo il costume matrimoniale”, ossia convivendo) per almeno tre anni. Nonostante questo, le coppie etero in questione, al momento della richiesta, devono risultare sposate.

Con lo stralcio dell’articolo 5 del ddl Cirinnà si è sostanzialmente impedito che questo diritto fosse esteso anche alle coppie composte da due individui dello stesso sesso e non la possibilità che queste ultime potessero adottare un minore esterno alla coppia. L’adozione in casi particolari non è stata esclusa del tutto da quello che è stato definito il Cirinnà bis (approvato in Senato), ovvero l’ultima frase dell’art. 20 del maxi emendamento. Con il testo “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti” si mira di fatto alla conservazione della giurisprudenza in materia, che in alcuni casi ha riconosciuto la stepchild adoption a membri di coppie omosessuali.

Il commento di Arcigay Liguria

Illustrazione di Nicoletta MIgnone

Illustrazione di Nicoletta MIgnone

«La stepchild adoption esisteva prima del disegno di legge Cirinnà e continuerà ad esistere anche dopo – sottolinea Damiano Fiorato, Dirigente Nazionale e responsabile sportello legale Arcigay Genova – in Italia qualche adozione da parte di un genitore omosessuale è già stata concessa. Quello che oggi non è previsto dall’ordinamento italiano è che una coppia eterosessuale non sposata o una coppia omosessuale possa adottare dei minori non legati biologicamente a un componente della coppia. Attualmente la legislazione per l’adozione è a un punto morto – continua Fiorato – è anche vero che una sempre maggiore applicazione dell’articolo 44 fa sì che venga sempre di più concesso l’affido del minore al cosiddetto genitore sociale, vale a dire al partner del genitore naturale anche se dello stesso sesso».


«La stucchevole strumentalizzazione della stepchild adoption, che in breve tempo ha tramutato il dibattito intorno al ddl Cirinà in una specie di sondaggio pro o contro gay – continua Fiorato – è servita innanzitutto a edulcorare la proposta di legge originale e secondariamente, a impedire che si arrivasse a dimostrare, come accade in altre parti del mondo, che i figli delle famiglie gay sono in tutto e per tutto identici a quelli delle coppie eterosessuali. Questo, e lo dico in maniera provocatoria, ha creato anche un po’ di paura a chi oggi gestisce il business degli “orfanotrofi” perché porterebbe a una diminuzione degli ospiti e, di conseguenza, delle sovvenzioni, in un futuro non troppo lontano».

Stando ai dati di Arcigay, il 5 % della popolazione italiana è dichiaratamente omosessuale. Questo dato può essere applicato anche alla popolazione ligure. Raccogliendo i nominativi degli iscritti a club culturali e ricreativi si può stimare che in Liguria sono circa 4600 le persone che orbitano nel mondo lgbt, con l’eccezione del capoluogo: «A Genova siamo forse un po’ sopra la media, intorno al dieci per cento – sottolinea Claudio Tosi presidente di Approdo Arcigay Genova – mentre gli iscritti direttamente ad Arcigay sono all’incirca 170, un dato comunque interessante, soprattutto se consideriamo il momento di sofferenza che sta vivendo l’associazionismo».


Conseguenze del dibattito sulla stepchild adoption in Liguria

Le conseguenze del dibattito sulla stepchild adoption non sono state positive per le attività di Arcigay Liguria come racconta sempre Tosi: «La campagna diffamatoria fatta sulla legge Cirinnà, di fatto presentata come quella che avrebbe dato il via libera alle adozioni gay, ci ha creato diversi problemi con uno dei progetti a cui stiamo lavorando da tempo: creare delle campagne informative all’interno delle scuole».
Le resistenze da parte degli istituti scolastici ad aprire le porte alle associazioni appartenenti al mondo lgbt sono già molte e il dibattito sul ddl Cirinnà non ha fatto altro che aumentarle, come sottolinea sempre il presidente di Arcigay: «Creando un’ampia disinformazione sulla legge in questione, non riusciamo più a fare attività di informazione nelle scuole perché diversi professori pensano che sia nostro obiettivo portare tra gli studenti elementi preoccupanti, mentre noi vogliamo far vedere che ci siamo e che siamo disposti ad ascoltare e ad aiutare chi ritiene di doversi rivolgere ad associazioni come la nostra».

Le nuove sfide di arcigay: la questione profughi

Molte nuove adesioni ad arcigy Liguria provengono, invece, da profughi che vogliono farsi riconoscere lo status di rifugiato come omosessuale: «In questo momento è l’emergenza numero uno – sottolinea Tosi – perché senza aver fatto la minima pubblicità veniamo contattati in media una volta a settimana per questo motivo. I profughi che si rivolgono a noi lo fanno per conoscerci e spesso portano con loro storie agghiaccianti. Come associazione ci stiamo muovendo per far sì che lo status di rifugiato come omosessuale venga applicato con maggiore intensità dalle commissioni d’esame».


Andrea Carozzi


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