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Superare il doublespeak: comunicare, condividere e comprendere

Utilizzare i termini per dare alla cose e alle azioni il reale significato. Spesso il nostro linguaggio utilizzare parole fuorvianti per plasmare concetti e reazioni. In Italia presto "stage" (che ormai ha connotazione negativa) verrà sostituito da "placement"...


13 Giugno 2013Rubriche > Nice to meet you, English!

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Come abbiamo visto nella puntata precedente, con il termine composto inglese Doublespeak si definisce il “dire senza dir nulla” al fine di fuorviare l’ascoltatore, nascondere la realtà a volte cruda e spiacevole dei fatti e arrivare in alcuni casi a capovolgere la verità.

Ecco quindi che in campo economico si parla di spending review invece che di “tagli indiscriminati”, mentre in politica estera vanno di moda le peacekeeping missions, le missioni di pace, conosciute anche dalle popolazioni che le subiscono come “vere e proprie azioni di guerra”, le quali costano ogni anno anche al nostro paese tante morti inutili e diversi miliardi di Euro nonostante – minuscolo irrilevante particolare – tali missioni siano ripudiate dall’Articolo 11 della nostra Costituzione.

Fingiamo invece di fare ciò che gran parte dei mass media non fanno quasi mai, ovvero andare nella direzione opposta del Doublespeak senza usare mezzi termini.

Partiamo dal campo della gestione dei rifiuti con il “termovalorizzatore”, nel quale proditoriamente è stata inserita la parola “valore”, dal significato rassicurante, per addolcire la descrizione di un impianto che in realtà è un inceneritore. Non è un caso che chi è a favore di questo tipo di impianti preferisca usare il primo termine. Matteo Renzi, per esempio, non li ritiene nocivi alla salute, mentre il suo avversario (o mentore?) Berlusconi piazzerebbe un bel termovalorizzatore vicino agli ospedali, forse per permettere ai malati di svolgere delle salutari sessioni di inalazioni respirando, invece che l’eucalipto, parte del vapore prodotto nell’incenerimento dei rifiuti.

Spostando l’attenzione verso il mondo del lavoro, si sta facendo strada il termine inglese placement, ancora poco noto e quindi sufficientemente elusivo, in affiancamento alla parola francese stage, la quale ormai nella percezione collettiva condensa il concetto di “periodo di lavoro gratuito in azienda con la flebile quanto illusoria speranza di arrivare dopo mesi a strappare un contratto sottopagato precario”. Un mio amico, giustamente, la definisce: “schiavitù dei giorni nostri”.

A proposito di stage, è bene chiarire alcuni punti prettamente linguistici. La pronuncia corretta della parola che utilizziamo in italiano per indicare un periodo in un’azienda è alla francese e fa rima con garage, la quale già da tempo fa parte del nostro vocabolario.

Anche in inglese esiste il termine stage, ma la pronuncia è diversa in quanto facente rima con page (“pagina”) o age (“età”). Essa ha principalmente due significati. Il primo è “palco”: All the world’s a stage, (“Tutto il mondo è un palcoscenico”) scriveva William Shakespeare, mentre il secondo è “fase”, “tappa”. Per esempio, possiamo affermare: Our relationship is going through a difficult stage (“la nostra relazione sta attraversando una fase difficile”) oppure The Giro d’Italia is a stage race (“il Giro d’Italia è una corsa a tappe”). Se vi rivolgerete a un interlocutore anglofono usando la parola stage come traduzione di “tirocinio”, non verrete compresi. Dovrete invece parlare di internship oppure, come detto, di placement.

Tornando al Doublespeak, sarebbe interessante verificare la reazione dell’opinione pubblica se fosse esposta alla nuda verità piuttosto che intontita con giri di parole astrusi e fuorvianti. E’ ora che i mezzi di comunicazione chiamino le cose con il loro nome. Potremmo a tale riguardo coniare un nuovo termine: Monospeak, oppure Unispeak: parlare per comunicare davvero… Quale preferite? See you!

 

Daniele Canepa

  


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