I sanpietrini bagnati dalla pioggia donano un fascino antico alla città vecchia, in alcuni angoli più caratteristici si torna indietro nel tempo. Musicisti, artisti e saltimbanchi si alternano nella salita che conduce alla collina della cattedrale, ai piedi del colle il Depeche Mode Baar
Quell’aria densa e gelida picchiava sulla barba incolta lasciandomi il sapore del salino sulle labbra screpolate dal vento, due gabbiani scortavano la nave ormai avvolta da un tetro grigiore di nubi e nebbia e in lontananza si distingueva una striscia nera di terra, era l’Estonia.
Un mozzo mi passa accanto e mi osserva curioso, sostavo in una zona della nave non consentita ma il richiamo del mare era troppo forte e avevo scavalcato cancello per accedere nella zona di prua. Ascoltavo la bellissima voce di Gary Brooker dei Procol Harum seguendo il sinuoso ondeggiare della nave avvicendare il mare al cielo e il cielo al mare. Un lembo di terra popolato da cormorani e aironi cenerini emergeva dall’acqua come la lingua sottile di un rettile nascosto sul pelo dell’acqua, il nostro passaggio ne fece volare alcuni, altri si tuffarono scomparendo in mare come aghi sottili. Un peschereccio ci passa a fianco lasciando la sua firma in cielo con il fumo nero della ciminiera, l’equipaggio era teso e impegnato e sembrava partire per una battaglia, li ho osservati allontanarsi fino a sparire dietro la linea dell’orizzonte. Navigare nei mari più freddi del pianeta mi permette di tornare bambino e giocare con la fantasia e immedesimarmi nel mio mito d’infanzia, il capitano Shackleton.
Ero circondato da iceberg incagliato nella penisola antartica a bordo dell’Endurance stretta nella morsa del ghiaccio. Partiti con l’intenzione di attraversare il polo sud a piedi e fermati da una sorte avversa, i miei uomini attendevano ordini, scendere dalla nave o resistere? Sentivo abbaiare i cani e il legno crepitare quando, bruscamente svegliato da una voce, sono ritornato alla realtà, si trattava solo dello scalpiccio degli stivali di un marinaio che mi ordinava di allontanarmi dalla zona vietata, potevo solo ubbidire.
La terra era ormai vicina ma ciò che vedevo aveva tutto meno che l’aspetto di un porto, sulla banchina di cemento decine di pescatori apparivano come statuine di un presepe nella nebbia del mattino. L’aria profumava di aghi di pino misto a salsedine e spezie, il mare era freddo solo a guardarlo e la temperatura non superava i cinque gradi, mi sono incamminato per scaldarmi e curiosare li intorno. Decido di prendere una via alternativa e incamminarmi lungo una strada ai cui lati si trovavano case abbandonate e diroccate, automobili d’altri tempi probabilmente ancora in uso e tizi poco raccomandabili che mi guardavano con sospetto. Ho preferito non prendere la macchina fotografica per motivi di sicurezza e sono salito sul primo taxi disponibile in direzione del mio hotel che distava cinque minuti a piedi dal centro di Tallinn.
Una doccia , una tazza calda di bergamotto e una scatola di cioccolatini per ricaricare le pile e mi sono incamminato. Un manifesto del concerto di Alice Cooper attirava la mia attenzione, com’era invecchiato, il suo viso era tracciato da solchi di vita sregolata e make-up come nei migliori film horror, manteneva però il fascino inossidabile della rock star.
Il cielo cominciava a raccogliere le nubi più scure e lacrimare fredde gocce di pioggia, tiro su il bavero del cappotto e accendo una Chesterfield, mi trovavo al centro di piazza Vabaduse dove decine di operai montavano il palco per un concerto che sarebbe andato in scena la sera stessa.
La piazza, originariamente chiamata Piazza della Vittoria durante il periodo di occupazione russa, è stata restaurata nel 2008 quasi a cancellare il ricordo di un passato di occupazione e imposizioni. Passeggiando nei giardini della chiesa di San Giovanni la mia attenzione è stata rapita da due ragazzi con la chitarra acustica che suonavano Stairway to heaven dei Led Zeppelin, osservavo il loro abbigliamento semplice e l’aria di chi inizia a scoprire i grandi della musica.
I sanpietrini bagnati dalla pioggia donavano un fascino antico alla città vecchia, in alcuni angoli più caratteristici si torna indietro nel tempo, si osservano carrozze e locandieri in costume attirare l’attenzione dei turisti con stuzzichini e battute illustrando il menu del giorno in tutte le lingue… non è stato difficile dire di si ad uno stinco di maiale con patate e una birra bionda.
La pioggia fece un nuovo tentativo di rovinare la giornata, purtroppo per lei mi sono riparato dentro un negozio di vinili usati passando un’ora a sfogliare album di tutti generi di musica, quando sono uscito, ormai arresa alla mia ostinazione, aveva già lasciato il posto al sole. Musicisti, artisti e saltimbanchi si alternavano nella salita che conduce alla collina della cattedrale, uno in particolare mi affascinava, le sue bolle di sapone lunghe dei metri volavano liberamente come figure eteree per poi esplodere e dissolversi in aria, le cose semplici sono sempre le più belle ed emozionanti.
Dopo la visita alla cattedrale sono sceso dal colle per ristorarmi al Depeche Mode Baar, uno splendido locale dove ascoltare i pezzi di David Gahan e bere uno dei tanti drink che prendono il nome dalle loro canzoni, ho ordinato un Personal Jesus curiosando tra foto, video e cimeli della band britannica, una vera chicca da non perdere. Il mio amico Massimo si trovava a Tallinn per lavoro, approfittando di questa coincidenza ci siamo dati appuntamento al mercato dei fiori situato dall’antica porta per un aperitivo prima di cenare. Sua moglie è originaria del luogo e lui conosce bene i migliori locali, abbiamo brindato con un bicchiere di vodka e ci siamo incamminati attraverso le piccole viuzze sempre più traboccanti di persone.
In piazza Raekoja, sede del municipio medioevale, Massimo mi fa conoscere la più antica farmacia d’europa in funzione ininterrottamente dal XV secolo, essa sempre mantiene gli stessi arredamenti composti da piccoli cassettini in legno incastrati nelle splendide credenze intarsiate. La sera cominciava a calare il suo velo e la mano gelida del vento passava ad accendere i primi lampioni come le luci di un presepe, un uomo di strada cerca la sua coperta di lana color ocra adagiandola sulle gambe deformate dalla malattia e dai sedentari giorni passati davanti a quel muro sgretolato.
Abbiamo atteso l’ora di cena seduti a parlare su una poltrona del pub with no name dedicato agli U2, un’altra dimostrazione di come la cultura musicale allontana Tallinn dall’immagine che la lega al regime sovietico, questo si evince anche dal comportamento dei suoi abitanti e dalla voglia di rinascere presente nell’entusiasmo che sgorga da ogni dove. Nel frattempo, davanti a noi, sgorgava vodka, il locale era colmo di tifosi che seguivano la nazionale di basket impegnata con la Grecia, alla sesta vodka il match era concluso con la vittoria dell’Estonia, un’orda di vichinghi ubriachi mi ha offerto il settimo bicchiere e mi trascina in piazza a festeggiare, siamo sgattaiolati nel primo vicolo allontanandoci senza farci notare, forse erano più ubriachi di noi.
Ci siamo rifugiati da Vapiano, la nota catena di ristoranti italiani presenti in tutta Europa ma non in Italia e abbiamo ordinato fusilli gorgonzola e noci ridendo come bambini ancora brilli dei bicchieri di troppo. Ci siamo fatti largo attraverso la movida, gruppi di ragazzi avanzavano come bufali infuriati noncuranti di ciò che si trovava sul loro percorso, una ragazza dai capelli rossi camminava scalza con la camicetta di jeans leggermente aperta, alcuni uomini la osservavano passare con lo sguardo delle iene affamate, quando salì sul taxi, il branco si era già sciolto.
Conclusa la serata in un piano bar degno di un quadro di Edward Hopper, ho salutato Massimo e sono tornato in albergo a piedi, la mattina seguente dovevo alzarmi presto per tornare ad Helsinki, la nave salpava alle otto e non avevo ancora riposato. La strada bagnata si disperdeva come un quadro a tempera ancora fresco, un uomo dormiva alla fermata del bus coperto da una giacca scolorita poggiando la testa su una vecchia valigia. Frugando nelle tasche tirai fuori una barretta di cioccolato al latte, mi sono chinato per posarla al suo fianco quando si volse verso di me aprendo un occhio guardandomi, lo chiuse subito e pensò fosse un sogno.
Diego Arbore