Oggi in Italia, a chi le tasse le paga, lo Stato prende 55 centesimi per ogni euro guadagnato: un valore che non ha eguali al mondo
C’era una volta, in un paese lontano lontano, un sovrano che vessava il suo popolo mandando emissari a riscuotere oboli altissimi, affamando così la brava gente. Ma un bel giorno tornò dal mare un principe che, radunati un gruppo di valorosi aiutanti, si nascose nel fitto della foresta e da lì cominciò a prendere d’assalto gli emissari del re, rubando il loro denaro per restituirlo ai poveri.
Ovviamente questa è la storia di Robin Hood, ma a ben vedere si tratta di una storia incredibilmente attuale. Ci sono governanti cattivi, tasse alte e un popolo in difficoltà: insomma, è l’Italia di oggi. Ecco, non è un caso se una delle storie più popolari e antiche della nostra cultura parla sostanzialmente di politica fiscale: la Storia dell’uomo occidentale, se vogliamo, è essenzialmente una storia di tasse. Il principe Giovanni di Robin Hood è lo stesso che nel 1215 concesse ai baroni inglesi la Magna Charta, che impediva al Re di imporre nuove tasse senza l’autorizzazione del Consiglio (la futura Camera dei Lord del Parlamento inglese). Ma anche la formazione del Sacro Romano Impero, la Riforma protestante, la Rivoluzione Francese e quella Americana furono tutti eventi in cui il problema della tassazione fu il primo motore del corso della Storia.
Anche oggi in Italia il problema fiscale è centrale. Per anni, e soprattutto nel recente passato, lo abbiamo affrontato a modo nostro: cioè con il pragmatismo e la morale cattolica, che sono elementi fondanti della nostra cultura. Il cattolicesimo, infatti, imporrebbe una condotta di vita piuttosto dura, improntata al sacrificio e alla castità: e proprio per questo motivo si da per scontato che non possa essere perseguita con successo dalla maggior parte delle persone. Nella realtà, quindi, pochi riescono davvero a porgere l’altra guancia e a non desiderare la donna d’altri: e questi, di solito, sono quei santi che spiccano, per l’appunto, nel nostro popolo fatto anche di navigatori e poeti. Insomma, in Italia la regola è eccezionalità, mentre la costante trasgressione si condanna in pubblico, ma è normale pragmatismo in privato. Se le tasse sono alte, il problema non si affronta: si aggira.
L’evasione fiscale ebbe la sua consacrazione e il suo sdoganamento ufficiale grazie all’ex-Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che in una conferenza stampa del 17 febbraio 2004 dichiarò: «Se lo Stato mi chiede il 50 e passa per cento, sento che è una richiesta scorretta, e mi sento moralmente autorizzato ad evadere, per quanto posso, questa richiesta dello Stato».
Oggi i tempi sono cambiati. Monti ha dichiarato pubblicamente, e non senza una qualche nota polemica rivolta proprio alla “linea politica” del suo predecessore, che sono gli evasori a mettere le mani nelle tasche degli Italiani. La gente poco a poco sta prendendo consapevolezza della gravità del fenomeno (120 miliardi all’anno è il mancato introito per le casse pubbliche stimato dalla Corte dei Conti); l’Agenzia delle Entrate ha intensificato i controlli a tappeto; il super-computer “Serpico”, a quanto pare, comincerà ad incrociare i dati dei contribuenti per scovare situazioni sospette. Insomma, sembra che sia cominciata la battaglia per riportare il fenomeno dell’evasione, sul lungo periodo, a percentuali in linea con quelle degli altri paesi europei.
Eppure il problema dell’elevata pressione fiscale resta. Oggi in Italia, a chi le tasse le paga, lo Stato prende 55 centesimi per ogni euro guadagnato: un valore che non ha eguali al mondo, andando a superare persino quello dei paesi scandinavi, che però offrono i migliori servizi pubblici che si conoscano.
Da noi, al contrario, l’enorme percentuale di gettito fiscale alimenta una spesa pubblica folle, deprime i consumi, spaventa l’investitore straniero e strangola l’economia. Se ne rendono conto tutti, non solo il Berlusconi del 2004, il quale non avendo alcuna cultura politica, ma essendo dotato in abbondanza di una beata ingenuità e di una spiccata propensione ad aggirare le leggi, era entrato nell’argomento come un elefante in cristalleria, proponendo, da uomo di Stato, di soprassedere a piacimento alle regole dello Stato (cosa che, tra l’altro, lui faceva già da tempo).
Ma il problema non può essere se pagare le tasse o evaderle: la legge va rispettata comunque. Ciò non toglie che dovremmo chiedere leggi che, per una norma di elementare buon senso, abbiano un senso e si possano effettivamente rispettare. Nel paragone tra l’Italia di oggi e la storia di Robin Hood c’è solo un fattore che manca: è Robin Hood stesso, vale a dire l’eroe. Ma quella è solo una leggenda. Nella realtà gli Inglesi fecero tutto da soli: cioè si ribellarono.
E in altri momenti della Storia ci furono re che persero la testa. Oggi fortunatamente sono “in voga” metodi più civili; ma il principio, quello di lottare per poter sottostare a delle leggi giuste anche e soprattutto in materia fiscale, resta. Nel corso della Storia è qui che è maturato il grado di civiltà di un paese. Se riuscissimo a perdere l’abitudine di fare leggi per il gusto di aggirarle, grida manzoniane che suonano bene a rileggerle, ma che sono sempre disattese nella vita reale, saremmo costretti a imparare a fare quello che come collettività non abbiamo mai fatto: affrontare i problemi. Fedeli al detto “calati iuncu ca passa a china” (calati giunco che passa la piena), siamo bravissimi ad aggirare gli ostacoli. Ma prenderli di petto è un’altra cosa. E anche se molti non avranno la più pallida idea di come questo si possa fare, in realtà esiste già un modo ben collaudato, che non comporta appendere la gente a testa in giù in Piazzale Loreto: benvenuti nel magico mondo della democrazia.
Andrea Giannini
Commento su “Tasse più alte d’Europa, evasione fiscale da record: cercasi Robin Hood”